Ddl Zan, quando una legge non fa una comunità

Al Senato rispunta il testo della destra di governo. Il ddl rischia il vicolo cieco. Ieri diverse piazze in tutta Italia "per il Ddl Zan e molto di più". Breve analisi e riflessione sul testo del disegno di legge e su un’occasione mancata.

18 / 5 / 2021

Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un costante ed inarrestabile aumento delle violenze e delle discriminazioni a danno di donne, persone omosessuali, bisessuali, lesbiche e, in generale, persone con identità ed orientamenti considerati “non conformi” rispetto agli standard del patriarcato. Le notizie dei femminicidi riempiono pagine dei quotidiani, i necrologi riportano costantemente i volti di quelle donne strappate alla vita per mano di un uomo. Contemporaneamente, con cadenza sempre più ravvicinata e con inquietante regolarità, si susseguono le notizie di pestaggi omofobi, licenziamenti discriminatori per motivi sessuali, vessazioni psicologiche e stupri a danno di persone trans, omicidi brutali, bullismo nelle scuole a danno di studentə, umiliazioni e violenza nei confronti di persone con disabilità e abusi di potere da parte delle forze dell’ordine a danno di sex workers di ogni orientamento e identità.

Tutti questi episodi, lungi dall’essere una novità per la vita delle persone sotto attacco, rappresentano invece una gallina dalle uova d’oro per la cronaca mainstream e la politica istituzionale che, cieca e sorda davanti alle istanze di equità sociale, lavorativa, sessuale e salariale si trincera dietro alle porte chiuse dei Palazzi, uscendone solo per andare a ripetere odiose litanie nei salottini televisivi. 

Eppure, alcune cesure rispetto al passato ci sono state…

...ma non possiamo considerarci  soddisfattə.

Rispetto a ieri, oggi le vittime di condotte moleste idonee ad incidere in maniera significativa sulla loro quotidianità, fino a far loro cambiare abitudini di vita, creando stress e paura per l’incolumità loro e dei loro cari, hanno la possibilità di denunciare questi eventi attraverso il reato di stalking, introdotto nell’ordinamento giuridico all’art. 612-bis c.p. con la riforma del 2009. Questo, però, mentre si continua a romanticizzare, attraverso la narrazione tossica della stampa nazionale e locale, l’atteggiamento di chi pone in essere queste condotte perchè “troppo innamorato”, “sedotto e abbandonato”, “incapace di arrendersi alla fine di una relazione”. 

Rispetto a ieri, oggi il femminicidio è riconosciuto come l’uccisione di una donna per la colpa di essere una donna, ma di questo termine si riempiono le bocche vergognosi politicanti responsabili della scomparsa dell’educazione all’affettività nelle scuole, nonché le pagine dei quotidiani ed i tg, che non mancano mai di corredarlo con la bella fotografia di una coppia felice tutta sorrisi e care speranze. 

Rispetto a ieri, oggi chi diffonde materiale video-fotografico che ritrae una o più persone in intimità, è punibile per il reato di revenge porn, introdotto nell’ordinamento giuridico all’art. 612-ter c.p. con la riforma dell’estate 2019 (cd. Codice rosso), mentre però gli avvocati di un ragazzo accusato di stupro si prendono la libertà di minacciare la pubblica diffusione del video girato proprio in occasione della violenza, istituzionalizzando così un reato già abbastanza schifoso di per sè. Nel frattempo, nella stanza accanto, un altro uomo usa la propria fama ed il proprio peso politico per screditare le parole di una ragazza vittima di uno stupro di gruppo. 

Come è evidente, l’emanazione di una legge, per quanto questa sia necessaria e persegua obiettivi legittimi, non determina di per sé un cambio di paradigma a livello a sociale: se bastasse la formulazione di un articolo di legge per comportare queste evoluzioni, l’ipertrofia legislativa nostrana avrebbe fatto di questo Paese il paradiso terrestre dei diritti civili. 

Sappiamo bene, invece, che la chiave di volta per creare una società più libera ed inclusiva non risiede nella contrapposizione fra legale e illegale, punito e consentito, legittimo e illegittimo, bensì nella (ri)definizione del sistema valoriale in cui la maggioranza della società civile si riconosce. 

Per questo motivo l’approvazione del disegno di legge contenente “Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere o sulla disabilità” (cd. ddl Zan), rischia di essere considerato da solo, erroneamente, lo strumento risolutivo contro la barbarie machista e sessista che si sta consumando nella nostra società. 

Già approvato dalla Camera dei Deputati in data 4 novembre 2020 e da poco calendarizzato dopo mesi di colpevole blocco in Senato, il ddl Zan è un intervento necessario e non più rimandabile, ma è molto rischioso assecondare la narrazione mainstream per cui la sua emanazione determinerà la svolta epocale, facendo cessare le vessazioni, le discriminazioni e le violenze. Si tratta di un’illusione che non possiamo permetterci, non dopo quanto abbiamo visto accadere a seguito, fra le altre, delle emanazioni degli interventi normativi in materia di stalking e revenge porn.

Ma quali sono i punti focali del Ddl Zan?

Il disegno di legge dedica i suoi primissimi articoli alla modifica della lettera del reato di Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 604-bis c.p.), per renderlo «Propaganda di idee fondate sulla superio­rità o sull’odio razziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento ses­suale, sull’identità di genere o sulla disabi­lità», nonchè della relativa circostanza aggravante (art. 604-ter c.p.). 

Gli artt. 604-bis e 604-ter c.p. sono stati introdotti nell’ordinamento giuridico dalla l. 25 giugno 1993, n. 205 (cd. Legge Mancino) contenente "Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa". Come detto, purtroppo, se una norma di legge fosse sufficiente di per sè a determinare un cambio di rotta, negli ultimi 28 anni avremmo vissuto in un Paese diverso da quello in cui invece di ritroviamo: magari avremmo vissuto in un Paese in cui non si commettono attentati razzisti in pieno giorno, in cui non si tollera l’esistenza di partiti apertamente xenofobi al Governo e in cui l’accoglienza degna ed il rispetto delle persone migranti sono vissute come imperativi categorici. 

Pare che le cose siano andate diversamente. 

Disappointed, but not surprised.

Se poi ci fosse un modo per aiutare una norma a creare un cambiamento sociale, l’art. 4 del ddl Zan (rubricato, udite udite: Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) percorre esattamente la strada opposta, facendo una marchetta alla destra populista e mettendo al riparo “la libera espressione di convincimenti od opinioni, nonchè le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti”

Della serie: “Poveracciə, se te menano mi dispiace, non va bene, vediamo di sistemare ‘sta cosa, ma mo’ non ti incazzare pure se ti danno dellə frociə demmerda: è una legittima opinione e tu devi rispettarla!”

Non sia mai che un fascista si veda negato il suo diritto ad esprimere liberamente le sue legittime convinzioni. 

Si invoca la tutela della libertà di espressione, ma di quale libertà stiamo parlando? Quale libertà i bei cari (si fa per dire, che schifo) conservatori nostrani temono di vedersi strappare, mentre la più pallida imitazione della sinistra riformista si straccia le vesti per garantirgliela? Ma certo, che femmina sciocca che sono! Si tratta dell’irrinunciabile libertà di dire che un figlio gay lo brucerei nel forno, che i gay devono cominciare a comportarsi normalmente (spoiler: forse picchiare le donne rientra fra i comportamenti normali, astenersi ingenuità!), che il Gay Pride è “un deprimente palcoscenico di qualche migliaio di frustrati, vittime di aberrazioni della natura” e, perchè no?, della libertà di tuonare apertamente su una rete televisiva nazionale in prima serata la parola “FROCIO” (seguita da scroscianti applausi del pubblico in delirio per questa prova di disobbedienza civile davanti alla sanguinaria dittatura del politicamente corretto), pretendendo che nessunə si senta minimamente toccatə e ritenendo che debba, nel caso, “farsi una risata”

Ogni riferimento a consiglieri provinciali e comunali della Lega Nord, nonchè a comici bianchi ed etero che non fanno ridere nessunə è assolutamente intenzionale.

Non è facile dire se faccia una figura peggiore chi difende questa libertà dalla millantata “dittatura del politicamente corretto”, o chi gli dà ragione e lo mette nero su bianco. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se io un’idea già ce l’avrei. 

Negli articoli successivi, dopo ulteriori modifiche alle disposizioni della Legge Mancino (attinenti ad alcuni aspetti tecnici di procedura penale) ed all’art. 90-quater c.p.p. (Condizione di particolare vulnerabilità), il ddl Zan dedica la sua attenzione al riconoscimento del 17 maggio come Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contra­stare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, impegnando le scuole e gli uffici pubblici ad organizzare cerimonie, in­contri e ogni altra iniziativa utile per la re­alizzazione delle finalità predette… compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. 

Si, avete letto bene. 

Senza nuovi oneri per la finanza pubblica. 

Ancora una volta, davanti all’unica azione concreta capace di determinare un cambiamento radicale sul medio termine, agendo nelle scuole, inserendo nuovamente i corsi di educazione alla sessualità ed all’affettività nelle offerte formative, creando dibattito, condivisione, informazione e fermento culturale a livello pubblico, la risposta è la medesima: non dovete costarci un soldo in più. Che poi quei soldi siano nostri, di lavoratrici e lavoratorə, sembra essere una questione senza rilevanza. 

Ancora una volta, c’è la conferma che gli investimenti nel mondo della cultura e della scuola non sono una priorità e, anzi, vengono scoraggiati dalle stesse forze che avrebbero invece la possibilità di insistere direttamente affinchè ci fossero. 

Proprio nell’ultimo anno abbiamo avuto modo di vedere le drammatiche conseguenze dei tagli inflitti nel corso degli anni al sistema di welfare e al sistema scolastico e di quanto sia allarmante e precaria la situazione creatasi. In questo contesto, davanti all’occasione per dare un segnale di cesura, si preferisce con una mano tenere alta la bandiera arcobaleno e, con l’altra, chiudere la porta in faccia a chi avrebbe diritto di parlarne, a meno che ovviamente non si dia per scontato che la divulgazione e la formazione debbano essere esercitate gratuitamente, senza compensi, appellandosi al buon cuore di chi ha studiato e ha realmente il desiderio di mettere in comune conoscenza e competenze. Ciò riconfermerebbe (e riconferma) la scarsissima considerazione che questo sistema-Paese riserva a professionistə della cultura e della scuola.

A chiusura del testo normativo, si inseriscono alcune modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, in materia di prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, nonchè l’art 105-quater del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, rubricato “Misure per il sostegno delle vittime di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, limitandosi ad inserire il rimando all’art. 604-bis e 604-ter c.p. così come modificati dal disegno di legge. Da ultimo, si prevede l’impegno per  l’Isti­tuto nazionale di statistica di svolgere una rilevazione statistica con cadenza almeno triennale, che deve misurare anche le opinioni, le discrimi­nazioni e la violenza subite e le caratteristi­che dei soggetti più esposti al rischio, ovviamente, ça va sans dire, rimanendo nell’ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali.

In definitiva, l’approvazione di un testo come quello del Ddl Zan è una necessità, non è infatti ammissibile che condotte mosse dall’odio e dalla discriminazione per motivi legati all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità non abbiano una previsione ad hoc all’interno dell’impianto normativo, ma è altrettanto inammissibile, alla luce dei fatti e delle cronache degli anni, considerare lo strumento repressivo statale risolutivo delle complesse dinamiche sociali da cui originano fenomeno violenti.

L’educazione non si fa nei tribunali o nelle procure.

La sicurezza delle persone che vivono quotidianamente le città non è tutelata dai posti di polizia nelle strade.

La società non cambia imponendo la forza muscolare statale, ma ascoltando le esigenze delle diverse compagini e creando, sulla loro scorta, luoghi sicuri, solidali e complici con tutte le forme di resistenza alla violenza sistemica che condiziona le nostre esistenze.

Dopo l’approvazione del Ddl Zan, la lotta per il riconoscimento di pari dignità e diritti per tuttə non si dirà soddisfatta, non potrà fermarsi, ma anzi farà sentire le sue voci con ancora più forza e determinazione.

Noi donne, persone omosessuali, trans*, lesbiche e tutta la comunità LGBTQ+ non esistiamo solo nel momento della difficoltà: il potere considera i nostri corpi solo quando sono massacrati, violentati, tumefatti e violati, ma i nostri corpi vivono le città e animano le strade ogni giorno, producono ricchezza e muovono istanze. Il potere ci vede solo quando può incarnare l’ideale machista del salvatore dellə indifesə, ma non quando deve fare i conti con una marea che non si fermerà fino a quando ci sarà davvero l’autodeterminazione. Non vogliamo la vostra carità, non ci accontentiamo di norme che ci tutelano contro la morte ma che non ci lasciano la vita: vogliamo tutto e lo vogliamo subito!