DeCOALonize the planet. Bloccata la centrale a carbone di Fusina.

I centri sociali del Nord est bloccano la centrale a carbone di Fusina a Marghera. Alcuni attivisti salgono sugli impianti. Produzione bloccata per ore.

29 / 2 / 2020

Duecento attivisti e attiviste dei centri sociali del Nord est hanno fatto irruzione questa mattina nella centrale elettrica Palladio di Fusina. L'iniziativa ha determinato lo spegnimento della caldaia, con una sensibile diminuzione della produzione.

Si tratta della quinta centrale più grande d'Europa. Dopo aver bloccato il cancello di ingresso gli attivisti sono entrati nell'immensa struttura che consuma 7000 tonnellate di carbone al giorno. Con lo scopo di bloccare la fabbrica sono saliti su una delle strutture più alte per calare striscioni e occupare i nastri trasportatori del carbone.

L'azione si inserisce nel percorso di avvicinamento al Venice Climate Meeting che si svolgerà a Venezia il prossimo 4 e 5 aprile.

Il primo striscione calato recita: "One solution: revolution" a significare che per la vita delle persone non si possono accettare compromessi. Gli attivisti e le attiviste chiedono a gran voce la dismissione immediata di questa e di tutte le fabbriche di carbone d'Europa.

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Lo striscione "Siamo l'antidoto al capitalismo" viene fissato ai nastri trasportatori del carbone, mentre le persone all'interno si dividono in più gruppi e occupano varie zone della centrale; alcuni si arrampicano sulle strutture più alte dell'impianto. 

Iniziano gli interventi dalla centrale bloccata di Fusina: «Una centrale che brucia 7000 tonnellate al giorno, qualcosa che uccide migliaia di persone l’anno. Siamo qui con i nostri corpi e la nostra rabbia perché non possiamo più permettere questa strage. La nostra vita è già influenzata negativamente da anni di speculazione e profitto di pochi sulla pelle di molti, siamo qui e ci rimaniamo»

La centrale di Fusina rimane bloccata fino al primo pomeriggio. Dopo alcune ore, gli attivisti e attiviste decidono di partire in corteo all’interno della centrale e dirigersi verso i siti di stoccaggio del carbone. Più di duecento persone hanno deciso di utilizzare i propri corpi per determinare un blocco di un sistema produttivo che va assolutamente cambiato. Non sarà il passaggio dal carbone al metano che salverà il pianeta. La riconversione ecologica, cosi fatta, è irrisoria. 

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Stella, giovane attivista dei centri sociali del nord-est, commenta l'iniziativa e lancia il Venice Climate Meeting e la Marcia per il Clima di Venezia (4-5 aprile).

Di seguito il comunicato:

La concentrazione di CO2 in atmosfera nell’ultimo anno ha superato la soglia delle 415 parti per milione e continua a crescere. Il Pianeta sta letteralmente andando a fuoco. Gli effetti del surriscaldamento globale sono ormai evidenti a tutti e sembrano avanzare ad una velocità esponenziale.

In Italia sono presenti dodici centrali sparse tra Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna che producono elettricità bruciando carbone. Otto sono di proprietà dell’Enel, due di A2A, una della E.ON e una della Edipower. Nel 2014 hanno soddisfatto il 13,5 per cento del consumo interno lordo di energia elettrica a fronte delle emissioni di ben 39 milioni di tonnellate di CO2, circa il 40 per cento di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale. Il 90 per cento del carbone che bruciamo arriva via mare da Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Indonesia, Colombia, Canada, Cina, Russia e Venezuela. Allo stesso tempo, 521 persone muoiono ogni anno per cause legate direttamente agli effetti dell’esposizione ai fumi della combustione di carbone.

La centrale di Fusina, dentro questo quadro, rappresenta per molti aspetti uno dei simboli della non volontà politica ed economica di affrontare la crisi climatica, anzi di voler continuare a speculare sulla devastazione del territorio. Una delle più grandi centrali a carbone d’Italia, che al momento sta cercando di fare la conversione a gas metano, che pur se pubblicizzato come gas naturale, rimane sempre un combustibile fossile.

Il metano è un potentissimo gas serra, risultato della conversione da carbone a gas potrebbe determinare un aumento fino al 41% in più dei composti climalteranti presenti in atmosfera, e non invece la loro drastica riduzione come ci raccontano.

Senza contare poi che già oggi le guerre per il controllo geostrategico di questa risorsa stanno provocando migliaia di morti e l'esodo di milioni di persone; basti pensare a quanto sta accadendo in Siria, in Libia, in tutta la regione mediorientale.

Come se non bastasse, già da tempo si parla della riapertura dell’inceneritore di Fusina. L’impianto di termodistruzione a cui mirano Ecoprogetto e i soci privati di Bioman e Agrilux sarà il più grande del Veneto. Ancora una volta per Marghera e per l’area metropolitana di Venezia si prospetta un futuro da “pattumiera”. Il nostro territorio è sommerso dallo smog e dai veleni ma ambiente e salute dei cittadini non contano mai niente quando di mezzo ci sono grandi “affari”.

Tutto questo di fronte ai dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, che indica che nel 2019 ci sono state 372.000 morti in Europa per inquinamento dell’aria, di cui 80.000 solo in Italia. Anche l’OMS è cristallino nel dire che nel giro di pochi anni i morti per cambiamenti climatici si conteranno nelle centinaia di migliaia.

Siamo di fronte ad un meccanismo estrattivista, che attacca in maniera diretta il vivente, mettendo a valore la devastazione ambientale e sanitaria dei nostri territori; un sistema che rifiuta di riconoscere la propria insostenibilità e cerca di nascondersi dietro il velo troppo corto della transizione energetica verso il metano, ma che continua ad agire in maniera predatoria a 360 gradi.

Affermiamo che l’Italia dovrebbe puntare su un diverso modello energetico centrato sul risparmio, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili, partendo dalla generazione distribuita in piccoli impianti alimentati sempre più da energie rinnovabili allacciate a reti intelligenti (smart grid) integrate con efficaci sistemi di accumulo.

Per questo siamo qui oggi per bloccare questo meccanismo, che, bruciando ogni giorno 7000 tonnellate di carbone, ci sta togliendo ogni possibilità di avere un futuro che sia degno e vivibile, dove gli eventi estremi del cambiamento climatico non portino ad un ulteriore esacerbarsi delle differenze sociali, mettendo in ginocchio i più poveri e vulnerabili.

Siamo qua per gridare che è necessario un cambio rivoluzionario dei nostri paradigmi, che metta al centro la vita e la giustizia climatica, che per essere tale dev’essere anche giustizia sociale.