L'esperimento del Laboratorio dei beni comuni a Napoli

Democrazia partecipata a Napoli

25 / 8 / 2011

Circa un decennio fa, in occasione di un rinnovamento profondo delle forme politiche espresse dalla base delle società umane, le foucoultiane «politiche dei governati», si iniziò a rielaborare le storiche proposte di democrazia dal basso nelle nuove corde della democrazia partecipata, spesso formulata nei «social forum» o negli esperimenti di bilancio partecipativo di singole amministrazioni.
Nel corso degli ultimi dieci anni si sono effettivamente provati tutta la lungimiranza del concetto di partecipazione democratica ma anche tutti i limiti delle formulazioni messe in atto.
Molto spesso poi l'indole autoreferenziale se non verticistica dei governi e dei dispositivi governamentali, ha proprio oberato qualsiasi tentativo di includere le spinte politiche e democratiche provenienti dalla società reale.

Tuttavia la ventata democratica tinta d'arancione che l'ultima tornata elettorale è riuscita a portare in diversi territori della penisola, ha riaperto la questione partecipativa. È ovvio che figure virtuose di candidati hanno saputo bene interpretare la spinta volontaria proveniente dalle comunità ma è altrettanto vero che sono state proprio queste ultime ad esprimere sommovimenti incisivi in tal senso, nei termini tanto dell'uso sociale dei propri corpi quanto della capacità di utilizzare altri codici politici, senza mai peccare nella radicalità della proposta. Il protagonismo dei tumulti contro la crisi così come in difesa di conoscenza e cultura nonché dei beni comuni primari, è stato il punto di partenza per colui che si trova oggi a ricoprire l'incarico di Assessore alla Democrazia Partecipativa e ai Beni comuni ma che viene dai movimenti e dalla parte critica dell'accademia: Alberto Lucarelli, uno degli studiosi attenti da anni a dare una sostanza articolata al concetto di comune, oltre le categorie moderne di pubblico e privato.

Così Lucarelli ha scelto in primis di accoppiare l'iniziativa amministrativa relativa alla tutela e alla valorizzazione dei beni comuni (primo esperimento in Europa) con quella concernente la partecipazione sociale, intesa proprio come comprensione nelle attività di governo metropolitano delle pratiche e dei contenuti provenienti dai territori. Quindi, consultandosi con le realtà in movimento nei nodi sociali partenopei, sta strutturando 12 consulte permanenti e una periodica assemblea plenaria insieme ai comitati, alle associazioni, alle reti, ai gruppi informali e ai singoli abitanti, con lo scopo di sperimentare un dispositivo veramente partecipato che sappia incidere nella gestione della cosa collettiva oltre la formalità delle modalità oramai tipiche dell'interazione con la società civile e con quelle fette subalterne di popolazione che sono riuscite negli anni a darsi una modalità di relazione politica, conflittuale o partecipativa, con le istituzioni.

Questo ovviamente non può che passare dal nodo fondamentale della una diretta dei beni comuni (materiali ed immateriali, quindi dall'acqua e dal territorio alla formazione e all'arte) e dall'apertura di un fronte di interpretazione positiva dei fermenti anche rivoltosi che si posso dare in uno scenario metropolitano, tanto più complesso come quello napoletano.