Il palazzo e la strada

«Dentro» e «fuori», la verità della fiction

15 / 12 / 2010

 Alle 13,41 il voto nel Palazzo cambia l'umore della protesta. I giovani si rivoltano contro l'ultimo schiaffo e gli scontri esplodono in piazza del Popolo

L'uomo cammina da solo lungo via del Corso, sono circa le tre del pomeriggio. Parla al telefono con l'auricolare, sta dando a qualcuno delle informazioni, dice «poi Casini ha fatto quella dichiarazione...» ma potrebbe parlare invece di Bossi, o di Fini, o di Berlusconi o di Scilipoti, l'eroe della giornata, o di chiunque. Fa freddo, molto, e la frase si gela nell'aria, senza significato. Giù in fondo, da Piazza del Popolo, sale fumo, nero. A terra tracce di tutto: berretti di lana perduti, tavolini da bar capovolti, sedie curvate, vetri rotti, pezzi di legno, portarifiuti finto '800 rovesciati, e sanpietrini in quantità per ogni dove, citazioni di una stagione che fu o forse opera prima, senza citazioni, di una generazione che di quella stagione non sa niente. L'uomo procede, non guarda, continua a parlare: di Casini, Bossi, Fini, Scilipoti o chissà chi. Frasi gelate che dicono la distanza, gelida, fra quello che è successo «dentro» il Palazzo e quello che succede «fuori».

Ammesso che ci siano un «dentro» e un «fuori», e non piuttosto un diritto, la strada, e un rovescio, il Palazzo.Dentro elenchi, somme, calcoli cifrati: il governo va sotto di uno, no, è in vantaggio di due, Guzzanti vota la sfiducia anzi no, non la vota, alla prima chiamata ne mancano dieci, si asterranno? no, aspettano di vedere se sono decisivi, votano alla seconda. Retoriche in gara: le metafore a catena di Bersani, le iperboli di Bocchino, i teoremi di Cicchitto inchiodati a Tangentopoli. Sventolio di bandiere tricolori per il vincitore redivivo, di fianco ai fazzoletti e alla cravatte verdi dei Padani. Agguato a Fini , «dimissioni!», all'uscita dall'aula: si regolano pur sempre i conti fra ex fascisti, che di modi ruvidi se ne intendono. Tutta la politica, quando vuole, se ne intende: compravendite, false promesse, conflitti all'ok Corral e ricomposizioni artificiali, alleanze fatte a pezzi, governi morti senza sepoltura che sopravvivono come spettri, «abbiamo i numeri, andiamo avanti», il tutto all'ombra del galateo istituzionale. Dove sta la violenza, «dentro» o «fuori»?«Fuori» non c'è galateo. Non si ricorda a memoria un'invasione di campo a partita in corso come quella di ieri: studenti, precari, operai, terremotati, «rifiutati», cortei concentrici sul bordo del Palazzo. Mai come ieri, non c'era un «dentro» e non c'era un «fuori»: di qua e di là si giocava la stessa partita, «è ora di voltare pagina», e se dentro non ce la fate fuori ci sono i rinforzi. «Dentro», la pagina si è bloccata: «ho i numeri, vado avanti». «Fuori», non c'è posto per gli spettri: l'era berlusconiana va seppellita, per davvero, dai suoi prodotti più autentici: studenti senza università, terremotati senza casa, operai senza diritti, precari senza lavoro. Il diritto del rovescio.

La verità della fiction. Piazza del Popolo, la parola fine sulla sceneggiatura scritta e diretta da Silvio Berlusconi. Alle tre del pomeriggio «dentro» è tutto finito da un pezzo, pranzo compreso. «Fuori», Via del Corso non pullula di onorevoli. Saranno altrove, in via del Babuino, davanti all'Hotel De Russie, quello dove Tarantini preparava le ragazze per le cene a Palazzo Grazioli, e dove ora c'è la carcassa di una macchina bruciata? Non pullulano neanche lì. Le immagini di Roma bruciata impazzano sui siti e in tv, ma non è lo stesso che vederle dal vivo, e dal vivo non le guardano: il Palazzo è blindato, e non solo dalla polizia. Poi cominciano le geremiadi sulla violenza, i buoni e i cattivi, le proteste civili e quelle incivili. Il reale, però, non si lascia catalogare. Non tutte le fiction finiscono con l'happy end prescritto dall'autore. Qualche volta, finiscono a soggetto.