Di cancel culture, satira e censure

8 / 5 / 2021

Oggi parte del dibattimento pubblico culturale verte sulla cosiddetta cancel culture, qualunque cosa significhi questo inglesismo

Una comicità che definire mainstream sarebbe nobilitarla e che cerca di introdurre un dibattito sull’impossibilità di usare parole come “negro, troia, giudio, frocio” [1] etc per fare spettacolo/polemica ridicola, ma che comunque ha trovato spazio nei giornali di destra e nei titoli "acchiappa like" di quelli liberali.

Una parte di quella che si autodefinisce l'intellighenzia di sinistra è letteralmente terrorizzata dal dibattito social e politico portato dalle nuove generazioni su temi come razzismo, sessismo, machismo, ambientalismo e puntualmente risponde in maniera che si potrebbe definire isterica.

Il termine cancel culture o call-out culture è una locuzione inglese usata per indicare una presunta (ma non comprovata) forma moderna di ostracismo nella quale qualcuno verrebbe estromesso da cerchie sociali o professionali - sia online sui social media, che nel mondo reale, o in entrambi.

Da mesi molti dei più importanti giornalisti, autori, scrittori, comici hanno iniziato questo surreale dibattito sulla libertà di espressione nei media italiani riprendendo in malo modo discussioni d'oltre oceano. Scrivono sulle pagine di importanti riviste e quotidiani, parlano sulle reti nazionali, pubbliche e private, sono presenti sui social, sia quelli da anziani che quelli più young, e si lamentano di essere oscurati, censurati, ostracizzati. Già questo basterebbe per palesare il surrealismo di questo dibattito. Lamentano che "il libero scambio di informazioni e idee, la linfa vitale di una società liberale, è diventato ogni giorno più ristretto", che viene negato il diritto di critica e di satira e di giusta comicità, che ogni giorno per dar retta alle parole e ai fatti del momento si restringe sempre più il campo di quel che si può dire.

I “censurati”, molti dei quali bianchi, ricchi, etero, sulla scena da decenni, maschi (ma non mancano donne eccellenti) dotati di contatti e risorse, sostengono che hanno paura di essere messi a tacere, che la cosiddetta cultura dell'annullamento è fuori controllo e che temono per il loro lavoro e il libero scambio di idee. Tutto questo mentre parlano dalle riviste più prestigiose del paese, o in diretta sulla rete nazionale.

Alcuni dei problemi che sollevano sono reali e preoccupanti, ma non sono tendenze, almeno non nel modo suggerito in cui se ne sta discutendo. In realtà, il loro argomento allude ma non espone chiaramente esempi specifici e mina la causa stessa che si sono incaricati di sostenere. Mancano il punto: l'ironia, o il surrealismo, è che nessuno di loro, da nessuna parte, mai, pone il punto di vista degli esclusi della società attuale. Queste figure non menzionano come le voci emarginate siano state messe a tacere per generazioni nel giornalismo, nel mondo accademico e dell'editoria.

Non viene mai affrontato il problema del potere: chi ce l'ha e chi no.

Vedo e leggo questo come una reazione caustica a un'industria in diversificazione, che sta iniziando a sfidare le norme istituzionali che hanno protetto il fanatismo, il conservatorismo, le retoriche piccolo borghesi italiane.

Gli ostracizzati in massima parte usano concetti seducenti ma nebulosi e un linguaggio in codice per oscurare il significato reale dietro le loro parole, in quello che sembra un tentativo di controllare e far deragliare il dibattito in corso su chi può avere diritto al dialogo e alla diffusione. Viene loro concesso il tipo di capitale culturale dei social media che è tradizionalmente conferito a persone per lo più bianche e cisgender. Le loro parole riflettono una testardaggine a lasciare andare l'elitarismo che ancora pervade l'industria dei media, una riluttanza a smantellare i sistemi che tengono persone come loro dentro e il resto di noi fuori.

Sebbene il dibattito sia formato sugli eventi delle ultime settimane non si basa sul nulla: effettivamente in Italia esiste una battaglia di lunghissimo corso sulla libertà di espressione. Una battaglia che è stata per lungo tempo storica della sinistra; si possono anche ricordare esempi eccellenti come Il male, o come il Vernacoliere di Livorno. Pure nel mondo della destra questo dibattito ha comunque sempre generato interesse; sembrò di viaggiare a corrente alternata quando da un lato Silvio Berlusconi vestì i panni di editore in grado di pubblicare libri che lo indicavano come il principio di tutti i mali italiani e dall’altro fu responsabile del cosiddetto “editto bulgaro”, dove precluse dalla televisione nomi eccellenti dell’intellighenzia italiana. Questo per citare un esempio non troppo lontano, ma potremmo andare ulteriormente indietro passando per Andrea Pazienza, Pier Paolo Pasolini e giù indietro fino agli albori della Repubblica se si considera che il Codice penale Rocco (da non confondere col codice di procedura penale omonimo sostituito nel 1988-ndr) è ancora in vigore benché livellato a più riprese dai legislatori.

È ironico, tuttavia, che il dibattimento dia uno spazio molto ampio se non esclusivo ad alcune delle persone più ben pagate e visibili nei media, nel mondo accademico e nell'editoria.

Queste sono le stesse persone che possiedono i soldi e il prestigio per condividere le loro idee in quasi tutte le pubblicazioni editoriali, televisioni e di social network presenti. Alcuni hanno persino piattaforme, siti web, giornali di proprietà. Ci sarà dunque sempre un posto dove far sentire la propria voce. Internet lo ha ampiamente dimostrati negli ultimi 15 anni.

Con il pretesto della libertà di parola e del libero scambio di idee, la destra e anche tanti sedicenti libertari di sinistra sembrano chiedere la libertà illimitata di sposare e diffondere i propri punti di vista senza conseguenze o critiche. Ci sono solo così tanti sbocchi, dibattiti aperti e gruppi di espressione e sebbene questi individui abbiano la capacità di scrivere in essi, non hanno alcuna intenzione di condividere quello spazio o riconoscere il loro ruolo nel perpetuare una cultura della paura, del silenzio, della violenza.

Molti di loro chiedono il rifiuto di "qualsiasi scelta tra giustizia e libertà". Sembra nel migliore dei casi ottuso e inappropriato, e nel peggiore dei casi pro attivamente razzista, menzionare le proteste e rivendicazioni in corso che chiedono ad esempio l'abolizione della legge sulla clandestinità o maggiori diritti e tutele per la comunità LGBTQ+ e poi procedere a sostenere che sono i giornalisti, i comici, etc, che stanno "pagando il prezzo con il rischio della carriera ". È particolarmente offensivo che abbiano scelto ora, un periodo segnato da "potenti proteste per la giustizia razziale e sociale", per sminuire la conversazione pubblica su chi può avere una voce e in che modo

È impossibile vedere come questi elementi stiano contribuendo alle grandi lotte del nostro tempo in questo momento di resa dei conti diffusa sui temi sociali oppressivi. La loro posizione cerca di mantenere lo status quo e dà la priorità al segnale del loro disagio di fronte a valide critiche. La libertà intellettuale degli intellettuali bianchi etero cis non è mai stata minacciata in alcun modo, soprattutto se paragonata a come gli scrittori di gruppi emarginati sono stati trattati per generazioni. In effetti, non hanno mai affrontato gravi conseguenze, solo un disagio momentaneo.

Al contrario di questi l’enorme sottobosco del mondo culturale ed intellettuale meticcio italiano che lavora nei teatri, nelle associazioni e similia ha vissuto negli ultimi 20 anni un costante attacco ai propri temi e alle proprie parole. Oggi parole come solidarietà, accoglienza, inclusione sono al pari di bestemmia. Per non parlare di termini come rivendicazione, lotta di classe, mutualismo che pubblicate e mezzo stampa varrebbero una denuncia o quantomeno una possibile ispezione dei carabinieri a casa.

A sinistra risulta evidente la necessità di ribaltare il dibattito, di riappropriarci delle vertenze sulla libertà di espressione e di tornare ad egemonizzare la questione.



[1] I termini utilizzati sono quelli rivendicati da comici, giornalisti, intellettuali lo scrivente li indica a fini di chiarezza