Report conclusivo sull'incontro Europassignano - settembre 2013

Di che cosa si è parlato e di che cosa non si è parlato a Passignano?

Nel tentativo di "cartografare il presente per individuarne le possibilità di sovversione", uscire dall'epoca dei "settarismi e dei Risiko di movimento"

21 / 9 / 2013

Di cosa s'è parlato, e di cosa non s'è parlato, a Passignano?

Report conclusivo (5/7 settembre 2013)

S'è parlato delle lotte in Turchia e Brasile; di diritto, critica del diritto e istituzioni del comune; di welfare/commonfare; di comunicazione; di Europa; di figure irregolari nella narrativa e nel teatro. S'è cercato, insomma, di cartografare il presente per individuarne le possibilità di sovversione.

Abbiamo cercato di chiarire un passaggio per noi essenziale: le lotte che in questi anni, a partire dalla Grecia, si sono diffuse a macchia di leopardo in Europa sono state a volte entusiasmanti e coinvolgenti, ma non sono finora riuscite a invertire il comando finanziario culla crisi. È un fatto, non prenderne atto sarebbe autolesionistico, e anche un po' stupido.

Non ci sono riuscite perché sono rimaste confinate ciascuna nella propria dimensione nazionale: per questo è necessario mettere in relazione lotte e movimenti su un piano europeo, attraverso una costituente dei movimenti che abbia l'Europa come quadro di riferimento. Questo, e non altro, per noi significa ripensare l'Europa: non creare cartelli, men che meno assumere prospettive elettorali che davvero non ci interessano. Là dove parliamo di una nuova carta dei principi, non pensiamo certo a un testo destinato a trattative, mediazioni, accordi e disaccordi: pensiamo a uno strumento di lotta su scala europea, alla costruzione collettiva di elementi di programma politico sui terreni del reddito, della salute, della comunicazione (per nominarne soltanto tre) che i movimenti possano tradurre in rivendicazioni e conquiste negli eterogenei contesti che costituiscono l’Europa. Questo significa per noi cominciare ad articolare una prospettiva costituente nella dimensione europea.

Sarebbe sciocco ignorare che le prossime elezioni europee costituiranno un momento di discussione generale sull'Europa: a noi interessa entrare in questa discussione e mutarne i presupposti e gli obiettivi, non certo una qualche seggiola in parlamento. Lo abbiamo detto chiaro e forte, lo ribadiamo: chi dice altro è disinformato o in malafede.

Da questa prospettiva europea deriva, per noi, un'analoga necessità "locale", cioè italiana, di dialogare con tutte quelle componenti di movimento, vecchie e nuove, organizzate e non, storiche e in fieri, che come noi condividano il progetto di sovversione del presente: questo è l'unico, vero discrimine che poniamo. Crediamo che debba essere chiusa definitivamente l'epoca delle sette, dei veri incrociati, dei Risiko di movimento in cui alla cartografia delle lotte si sostituisce la mappa topografica degli amici e dei nemici.

Anche qui, lo diciamo con estrema chiarezza: non siamo andati a Passignano per stipulare nuove alleanze, per creare cartelli, per fare giuramenti o anche soltanto per intraprendere rapporti privilegiati con questa o quella componente. Non c'erano sale della Pallacorda, e lady Oscar non s'è vista. Siamo andati a Passignano convinti che i movimenti debbano uscire dai settarismi, dai personalismi, dai veti incrociati che da almeno 10 anni inquinano e indeboliscono la nostra capacità di incidere nella carne viva del presente. È una scommessa, certo: che siamo disposti a fare, consapevoli del fatto che se questa scommessa è persa, perdiamo tutti.

Così come siamo certi della necessità di una ripresa dell'elaborazione concettuale che ci ha sempre caratterizzati, sin da quando abbiamo dato vita a quella che fu UniNomade. Periodicamente e puntualmente ci viene imputato il concettualismo, l'intellettualismo, la dimensione della ricerca teorica: come se tutt@ noi non fossimo donne, uomini, glbt, soggettività immerse nelle lotte, ovunque svolgiamo il nostro attivismo. Per questo rivendichiamo  di avere anche la capacità di ritagliarci spazi di riflessione, né dobbiamo sottovalutarne l'importanza per compiacere il tale o talaltro critico.

Quando abbiamo prodotto collettivamente Crisi dell'economia globale, il "nostro Operai e Stato”, abbiamo prodotto uno strumento di comprensione teorica generale che ha permesso di dare senso alle cartografie e alle cronache locali o puntuali della crisi (come è stata la rubrica "Diario della crisi" nel sito di UniNomade 2.0, ad esempio): perché quei concetti non erano elaborati in una qualche separata torre d'avorio, ma prodotti dall'interno dei movimenti e delle lotte nei quali eravamo e siamo immersi.

Infine, ma non certo per importanza, abbiamo cercato di cominciare a parlare un nuovo linguaggio, soprattutto nei tavoli tematici orizzontali che hanno contrastato quella verticalità delle relazioni che in altri momenti aveva (purtroppo) afflitto i nostri seminari: siamo convinti che, così come con il settarismo e con il discredito per l'elaborazione concettuale, i movimenti debbano farla finita anche con i linguaggi per addetti ai lavori, oscuri e criptici, nei quali si decrittano i documenti solo se si possiede una memoria storico-enciclopedica, nei quali si allude senza dire, magari per poter negare il già detto a seconda delle future convenienze delle micro-alleanze.

Vi sono certo elaborazioni teoriche per cui è necessario l’uso di linguaggi tecnici e complessi. Ma è ora di imparare a parlare anche un linguaggio comprensibile al liceale che dopo la prima manifestazione si affaccia sui nostri siti. Un linguaggio che parli di cose concrete, guardando avanti; un linguaggio che pratichi la critica, anche dura, a partire dalle progettualità che si vogliono criticare, non dalle singole individualità sempre facili da inquisire; un linguaggio finalizzato alle costituenti delle lotte che intendiamo creare: dopo tutto, l'aveva detto anche Lenin che la verità è sempre rivoluzionaria.

Dal blog: europassignano2013.wordpress.com