Diritto di Polizia

di Marco Rigamo, Liberitutti

17 / 11 / 2008

Se Canterini indossa ancora il casco


Quanto accaduto all'interno della scuola Diaz è solo un episodio dei tanti tra le prove tecniche di regime che caratterizzarono quei giorni del G8. Probabilmente nemmeno il più significativo. Un'operazione orchestrata per permettere di recuperare l'immagine della nostra Polizia di Stato agli occhi del mondo dopo che nel pomeriggio le televisioni avevano mostrato solo pestaggi a sangue di gente inerme con le mani alzate. I giornalisti vennero convocati a tempo di record dall'addetto stampa del Viminale, ma finirono per testimoniare le modalità di quella che Fournier, braccio destro di Canterini, definì un'azione da macellai. E' dal Viminale, sede della presidenza del consiglio e del ministero dell'interno, dall'esecutivo, che partì la direttiva. Sul campo c'era La Barbera, secondo in gerarchia solo ad Andreassi: il discorso su "chi ha ordinato che cosa" potrebbe agilmente finire qui.

Ma c'è una sentenza con cui fare i conti, anche se il dispositivo di sostanziale impunità per tutti non sorprende nessuno, tranne forse coloro che hanno dato l'anima per sostenere un tema di prova che poteva apparire inaggirabile. E c'è un dopo sentenza molto istruttivo. Parla il capo della polizia Manganelli che, impegnandosi con molta eleganza a lavare i panni sporchi in famiglia, cerca di far dimenticare quella telefonata del suo predecessore De Gennaro all'ex questore Colucci affinché rettificasse la deposizione. C'è la lettera di Canterini agli agenti del primo Reparto mobile, che indossando ancora il casco insieme a loro lancia avvertimenti ai piani alti (… eravamo consapevoli di quanto era importante quello che ci era stato ordinato di fare) e ai movimenti (…facciamogli vedere che alla lunga saremo noi a vincere). Ricorda a tutti l'ex comandante, ora questore, che da tempo immemorabile vige nel nostro paese il Diritto di Polizia.
Diritto che tratta di norme non scritte che prevedono la salvaguardia della catena di comando, dell'amnistia preventiva che garantisce l'impunità degli assassini in divisa da qualsiasi atrocità, del lodo perenne e bipartisan che fornisce loro un inattaccabile salvacondotto giudiziario. Canterini, ricordando a tutti che fu uno sporco lavoro, ma che qualcuno doveva pur farlo, ci rammenta anche che, come sempre, bisogna guardare avanti. Perché la partita è lunga.

A Genova ha preso forma un modo nuovo di affrontare il terreno del conflitto, della lotta per la democrazia diretta contro quella fasulla che divora gli spazi della nostra vita, la democrazia della casta globale. Ha reso visibile il rifiuto di un sovrano determinato dal mercato e da questo autorizzato a esercitare un diritto di vita e di morte. Ha affrontato la questione in maniera attuale, non caricaturale, non ideologica. Ha accettato lo scontro con la sanzione penale.
Da allora l'uso della forza contro i movimenti è stata una costante sistematica e l'unico guizzo di originalità la magistratura l'ha messo in campo con la "compartecipazione psichica". Trovata utile a condannare pesantemente una manciata di manifestanti tra i tanti impegnati a praticare quel diritto all'autodifesa che impedì che il bilancio di quelle giornate fosse ancora più tragico.

E' necessario ripartire da quel diritto sedimentato nelle giornate genovesi per espanderlo a sistema di garanzie per i movimenti, alla luce degli scenari di conflitto che si stanno delineando in questo periodo, dalle discariche alle basi di guerra al mondo della scuola e dell'università. Un Diritto dei Movimenti come categoria interna alle dinamiche di lotta, come affermazione del terreno conquistato sul piano della determinazione dei propri bisogni. Questo ha poco a che fare con il semplice denunciare, testimoniare, chiedere verità. Ha a che fare con il casco che Canterini e i suoi "ragazzi" indosseranno domani. Riguarda le iniziative da prendere perché tutti i nostri compagni condannati a Genova siano liberi e come loro tutti quelli imputati nella stagione di processi che ne è seguita. Riguarda la possibilità di manifestare, le regole d'ingaggio, l'interdizione all'uso delle armi, la riconoscibilità del personale di polizia.
L'improcessabilità dei conflitti. Riguarda il nostro futuro.