Perché l’Italia
non deve tornare al nucleare
e deve invece sviluppare le energie rinnovabili
Siamo un gruppo di docenti e ricercatori di Università e Centri di
ricerca. In virtù della conoscenza acquisita con i nostri studi e la
quotidiana consultazione della letteratura scientifica internazionale,
abbiamo già da tempo sentito il dovere di esprimere la nostra opinione
sul problema energetico con l’appello riportato sul sito:
www.energiaperilfuturo.it. Poiché le Regioni sono direttamente coinvolte
nelle scelte di politica energetica, in occasione delle ormai prossime
elezioni vogliamo illustrare anche a voi, candidati Governatori, i
motivi per i quali riteniamo che il ritorno dell’Italia al nucleare sia
una scelta strategicamente sbagliata e ogni sforzo debba invece essere
concentrato sullo sviluppo delle energie rinnovabili.
Una corretta politica energetica deve basarsi anzitutto sulla riduzione
dei consumi mediante l’eliminazione degli sprechi e l’aumento
dell’efficienza energetica, poi sullo sviluppo dell’energia solare e
delle altre energie rinnovabili. Le Regioni italiane possono e devono
giocare un ruolo importante, anche perché la direttiva europea 28/2009
obbliga l’Italia, entro il 2020, a ridurre i consumi, ridurre le
emissioni di CO2 e a coprire il 17% dei consumi finali con energie
rinnovabili. E’ un percorso virtuoso, nel quale non c’è spazio per il
nucleare.
Mentre i costi delle energie rinnovabili scenderanno certamente nei
prossimi 10 anni, i costi del nucleare sono per loro natura non ben
definiti e destinati ad aumentare, tanto che probabilmente la
costruzione delle centrali, se mai inizierà, dovrà essere molto
probabilmente sospesa perché fra dieci anni il nucleare non sarà più
economicamente conveniente.
In molti paesi d’Europa, Germania in testa, è in atto una silenziosa
rivoluzione basata su una filiera che parte dalle attività di ricerca
nelle Università, negli enti pubblici e nelle aziende e si estende alla
produzione di materiali, alla sperimentazione di impianti su larga scala
e all’installazione diffusa di impianti domestici. L’idea di un
abbattimento sostanziale delle emissioni di CO2 e di una forte
indipendenza energetica sta, in quei paesi, uscendo dalla dimensione del
sogno utopico e entrando in quella di un concreto fattore di sviluppo
che traina l’economia e produce posti di lavoro. L’enorme ulteriore
vantaggio di una scelta in favore delle energie rinnovabili sta nel
fatto che un euro di investimento oggi può cominciare a produrre energia
e a contribuire all’indipendenza energetica in pochi mesi. Nel caso del
nucleare, invece gli enormi investimenti di oggi porteranno a produrre
nuova energia nel migliore dei casi tra dieci o quindici anni.
Una politica rivolta allo sfruttamento delle potenzialità del solare e
delle altre fonti rinnovabili e alla riduzione razionale dei consumi
sarà un motore importante per una nuova fase di sviluppo nel nostro
paese.
Nel documento allegato vengono esaminati in dettaglio i motivi per un no
al nucleare. Nel chiedervi di aderire all’appello sulle scelte
energetiche pubblicato sul sito www.energiaperilfuturo.it che è già
stato firmato da più di 2000 docenti e ricercatori e da oltre 8000
cittadini, siamo a vostra disposizione per discutere il problema
energetico in modo più approfondito nelle sedi opportune.
Il Comitato energiaperilfuturo.it
Vincenzo Balzani (Presidente), Università di Bologna
Vincenzo Aquilanti, Università di Perugia
Nicola Armaroli, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna
Ugo Bardi, Università di Firenze
Salvatore Califano, Università di Firenze
Sebastiano Campagna, Università di Messina
Marco Cervino, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna
Luigi Fabbrizzi, Università di Pavia
Michele Floriano, Università di Palermo
Giovanni Giacometti, Università di Padova
Elio Giamello, Università di Torino
Nazareno Gottardi, già ricercatore dell’EURATOM (Commissione Europea)
Giuseppe Grazzini, Università di Firenze
Francesco Lelj Garolla, Università della Basilicata
Luigi Mandolini, Università “La Sapienza”, Roma
Giovanni Natile, Università di Bari
Giorgio Nebbia, Università di Bari
Gianfranco Pacchioni, Università Milano-Bicocca
Giorgio Parisi, Università “La Sapienza”, Roma
Paolo Rognini, Università di Pisa
Renzo Rosei, Università di Trieste
Leonardo Setti, Università di Bologna
Franco Scandola, Università di Ferrara
Rocco Ungaro, Università di Parma
Allegato: I motivi del no al nucleare
Come è noto, il Governo centrale spinge per il ritorno dell’Italia al
nucleare e l’ENEL ha stipulato un accordo preliminare con la ditta
francese AREVA per l’acquisto di quattro centrali di tipo EPR da 1650
MW. Per dar ragione di questa scelta si fa ricorso ad argomentazioni che
a prima vista possono apparire fondate, ma che in realtà sono
facilmente confutabili sulla base di dati ampiamente disponibili nella
letteratura scientifica ed economica internazionale.
Si sostiene che l’energia nucleare è in forte espansione in tutto il
mondo, ma si tratta di un’informazione smentita dai fatti. Da vent’anni
il numero di centrali nel mondo è di circa 440 unità e nei prossimi anni
le centrali nucleari che saranno spente per ragioni tecniche od
economiche sono in numero maggiore di quelle che entreranno in
funzione. In Europa il contributo del nucleare alla potenza elettrica
installata è sceso dal 24% del 1995 al 16% del 2008. L’energia elettrica
prodotta col nucleare nel mondo è diminuita di 60 TWh dal 2006 al 2008.
In realtà, quindi, il nucleare è in declino, semplicemente perché non è
economicamente conveniente in un regime di libero mercato. Se lo Stato
non si fa carico dei costi nascosti (sistemazione delle scorie,
dismissione degli impianti, assicurazioni), oppure non garantisce ai
produttori di energia nucleare consumi e prezzi alti, il tutto
ovviamente a svantaggio dei cittadini, nessuna impresa privata è
disposta ad investire in progetti che presentano alti rischi finanziari
di vario tipo, a cominciare dalla incertezza sui tempi di realizzazione.
Negli Stati Uniti, dove non si costruiscono centrali nucleari dal 1978,
il Presidente Obama, nel suo discorso di insediamento ha detto:
“utilizzeremo l’energia del sole, del vento e della terra per alimentare
le nostre automobili e per far funzionare le nostre industrie”. La
recente decisione del Governo americano di concedere 8,3 miliardi di
dollari come prestito garantito ad un’impresa che intenderebbe costruire
due reattori nucleari non modifica sostanzialmente la situazione. Obama
è evidentemente condizionato dalla fortissima lobby nucleare americana,
capeggiata dalla Westinghouse che, volendo vendere all’estero i suoi
reattori, deve costruirne almeno qualcuno in patria. La notizia,
peraltro, conferma la necessità per il nucleare di ricevere aiuti
statali ed è accompagnata (si veda Chem. Eng. News 2010, 88(8), p. 8,
February 22, on line February 18) da due interessanti informazioni: la
Commissione di sicurezza ha riscontrato difetti nei progetti della
Westinghouse e non ha dato il suo benestare alla costruzione dei
reattori in oggetto, e l’Ufficio del Bilancio del Congresso ha
manifestato preoccupazione perché c’è un’alta probabilità che il
progetto fallisca e vadano così perduti gli 8,3 miliardi di dollari dei
contribuenti.
Si sostiene che lo sviluppo dell’energia nucleare è un passo verso
l’indipendenza energetica del nostro Paese, ma anche questa è una
notizia falsa, semplicemente perché l’Italia non ha uranio. Quindi,
nella misura in cui il settore elettrico si volesse liberare dalla
dipendenza dei combustibili fossili utilizzando energia nucleare,
finirebbe per entrare in un’altra dipendenza, quella dall’uranio,
anch’esso da importare e anch’esso in via di esaurimento.
Si sostiene che con l’uso dell’energia nucleare si salva il clima perché
non si producono gas serra. In realtà le centrali nucleari, per essere
costruite, alimentate con uranio, liberate dalle scorie che producono e,
infine, smantellate, richiedono un forte investimento energetico basato
sui combustibili fossili. In ogni caso, le centrali nucleari che si
intenderebbe installare in Italia non entreranno in funzione prima del
2020 e quindi non potranno contribuire a farci rispettare i parametri
dettati dall’Unione Europea (riduzione della produzione di CO2 del 17%
per il 2020).
Si afferma anche che la Francia, grazie al nucleare, è energeticamente
indipendente e dispone di energia elettrica a basso prezzo. In realtà la
Francia, nonostante le sue 58 centrali nucleari, importa addirittura
più petrolio dell’Italia. E’ vero che importa il 40% in meno di gas
rispetto all’Italia, ma è anche vero che è costretta ad importare
uranio. Che poi l’energia nucleare non sia il toccasana per risolvere i
problemi energetici, lo dimostra una notizia pubblicata su Le Monde del
17 novembre scorso e passata sotto silenzio in Italia: pur avendo 58
reattori nucleari, la Francia attualmente importa energia elettrica.
Secondo voci ufficiali, la costruzione (si noti, solo la costruzione)
delle quattro centrali EPR AREVA che si vorrebbero installare in Italia,
costerebbe complessivamente 12-15 miliardi di €, ma la costruzione in
Finlandia di un reattore dello stesso tipo si è rivelata un’impresa
disastrosa. Il contratto prevedeva la consegna del reattore nel
settembre 2009, al costo di 3 miliardi di €: a tale data, i lavori erano
in ritardo di 3,5 anni ed il costo era aumentato di 1,7 miliardi di €;
ma non è finita, perché in novembre le autorità per la sicurezza
nucleare di Finlandia e Francia hanno chiesto drastiche modifiche nei
sistemi di controllo del reattore, cosa che da una parte causerà
ulteriori spese e ritardi e dall’altra conferma che il problema della
sicurezza non è facile da risolvere.
L’Italia non solo non ha uranio, ma non ha neppure la filiera che porta,
con operazioni di una certa complessità, dall’uranio grezzo estratto
dalle miniere all’uranio arricchito utilizzato nei reattori. Per il
combustibile dipenderemo quindi totalmente da paesi stranieri, seppure
amici come la Francia. Non bisogna però dimenticare che la Francia a sua
volta non ha uranio e che per far funzionare i suoi reattori ne importa
il 30% da una nazione politicamente instabile come il Niger.
C’è poi il problema dello smaltimento delle scorie, radioattive per
decine o centinaia di migliaia di anni, che neppure negli USA ha finora
trovato una soluzione. E c’è il problema dello smantellamento delle
centrali nucleari a fine ciclo, operazione complessa, pericolosa e molto
costosa, che in genere viene rimandata (di 100 anni in Gran Bretagna),
in attesa che la radioattività diminuisca e nella speranza che gli
sviluppi della tecnologia rendano più facili le operazioni. Si tratta di
due fardelli che passano sulle spalle delle ignare ed incolpevoli
future generazioni!
Il rientro nel nucleare, quindi, è un’avventura piena di incognite. A
causa dei lunghi tempi per il rilascio dei permessi e l’individuazione
dei siti (3-5 anni), la costruzione delle centrali (5-10 anni), il
periodo di funzionamento per ammortizzare gli impianti (40-60 anni), i
tempi per lo smantellamento alla fine della operatività (100 anni), la
radioattività del combustibile esausto (decine o centinaia di migliaia
di anni), il nucleare è una scommessa che si protende nel lontano
futuro, con un rischio difficilmente valutabile in termini economici e
sociali.
Di fronte ad una domanda di energia sempre crescente,fino ad oggi la
politica adottata in Italia e negli altri Paesi sviluppati è stata
quella di aumentarne le importazioni. Continuare in questo modo
significa correre verso un collasso economico, ambientale e sociale.
Oggi la prima cosa da fare è mettere in atto provvedimenti mirati a
consumare di meno, cioè a risparmiare energia e ad usarla in modo più
efficiente. Autorevoli studi mostrano che nei paesi sviluppati circa il
50% dell’energia primaria viene sprecata e che l’aumento dei consumi
energetici non porta ad un aumento del benessere, ma semmai causa nuovi
problemi: in Europa nel 2008 gli incidenti stradali causati
dall’eccessivo uso dell’automobile hanno provocato 39 mila morti e
1.700.000 feriti. E’ possibile diminuire i consumi energetici in modo
sostanziale con opportuni interventi quali l’isolamento degli edifici,
il potenziamento del trasporto pubblico, lo spostamento del traffico
merci su rotaia e via mare, l’uso di apparecchiature elettriche più
efficienti, l’ottimizzazione degli usi energetici finali. Anche in sede
Europea, la strategia principale adottata per limitare la produzione di
gas serra consiste nel ridurre il consumo di energia (20% in meno entro
il 2020).
Quanto alle fonti di energia, l’Italia non ha petrolio, non ha metano,
non ha carbone e non ha neppure uranio. La sua unica, grande risorsa è
il Sole, una fonte di energia che durerà per 4 miliardi di anni, una
stazione di servizio sempre aperta che invia su tutti i luoghi della
Terra un’immensa quantità di energia, 10.000 volte quella che l’umanità
intera consuma. Una corretta politica energetica deve basarsi sulla
riduzione degli sprechi e dei consumi e sullo sviluppo dell’energia
solare e delle altre energie rinnovabili. Come è già accaduto in altri
paesi europei, una diffusa applicazione delle energie rinnovabili
creerebbe in tempi brevi nuove imprese industriali ed artigianali e
nuovi posti di lavoro.
Bisogna anche sottolineare che l’eventuale rientro nel nucleare,
proprio a causa dei gravi problemi che pone e dei tempi che ipotecano
largamente il futuro, non può avvenire senza il consenso politico della
grande maggioranza del Parlamento e delle Regioni, alle quali spetta la
competenza dell’uso del territorio.
L’espansione del nucleare non è una strada auspicabile neppure a livello
mondiale in quanto si tratta di una tecnologia per vari aspetti
pericolosa. C’è infatti una stretta connessione dal punto di vista
tecnico, oltre che una forte sinergia sul piano economico, fra nucleare
civile e nucleare militare, come è dimostrato dalle continue discussioni
per lo sviluppo del nucleare in Iran. Una generalizzata diffusione del
nucleare civile porterebbe inevitabilmente alla proliferazione di armi
nucleari e quindi a forti tensioni fra gli Stati, aumentando anche la
probabilità di furti di materiale radioattivo che potrebbe essere
utilizzato per devastanti attacchi terroristici.
Infine, è evidente che, a causa del suo altissimo contenuto tecnologico,
l’energia nucleare aumenta la disuguaglianza fra le nazioni. Risolvere
il problema energetico su scala globale mediante l’espansione del
nucleare porterebbe inevitabilmente ad una nuova forma di
colonizzazione: quella dei paesi tecnologicamente più avanzati su quelli
meno sviluppati.