Le risposte giuste alle domande sbagliate sono perlomeno inutili ma, spesso, anche pericolose. E il nucleare è una pericolosa risposta ad una pessima domanda.

Don't nuke me

4/9/2010: A Venezia più di mille persone partecipano alla prima manifestazione per il no al nucleare, portando sul red carpet tutto un altro film di questo paese e della voglia di ribellarsi che lo attraversa. Applausi a scena aperta.

5 / 9 / 2010

Mostra del Cinema, Venezia. Applausi. “Don't nuke me”: finalmente un film diverso, un newrealismo italiano con bravissimi attori tutti non professionisti. Presa diretta, camera a mano e tutto in esterni, perché non parla – o solo indirettamente – dei palazzi e delle stanze del potere, delle decisioni prese su un canovaccio scritto da mediocri cricche di affaristi che cricche di attori professionisti della compagnia politicienne inscenano poi nel teatro della democrazia, per convincere un pubblico il cui unico potere, del resto, coincide con il suo obbligo: pagare il biglietto.

“Don't nuke me” è un film virale. Chi lo vede ne è protagonista e lo può replicare, ampliare, diffondere, radicalizzare, perché il soggetto del film è, in fondo, semplice e lineare: “ribellarsi è giusto” (che è anche il sottotitolo), di fronte alla violenza che viene scaricata sulle vite di tutti, sulle comunità locali, sulla nostra terra e sull'ecosistema, reclamare indietro la sovranità è giusto, costruire un'autodifesa è giusto.

Il primo ciack l'hanno girato il 4 settembre oltre 1000 persone che, partendo da Venezia, Padova, Chioggia e Vicenza, si sono ritrovate al Lido di Venezia, dando vita ad un corteo colorato, vivace, determinato a testimoniare che non c'è spazio né per il nucleare né per altri veleni in questa terra già martoriata dalla chimica, dai rifiuti e dalla generazione di energia sporca.

La prima autodifesa è riprendersi il potere delle parole, del linguaggio:

                           Le parole per sempre conterranno il loro potere.

                           Le parole offrono la via al significato

                           e per quelli che ascoltano mostrano la verità.

                           E la verità è che c'è qualcosa di orribilmente sbagliato in questo mondo.

                           Giustizia, libertà, dignità sono più che solo parole: sono prospettive.

                                         (liberamente ascoltato da V per Vendetta)

Il potere delle parole ci dice che se il nucleare è la risposta giusta, allora il problema è la domanda. Che è evidentemente sbagliata.

Una domanda che si chiede come mettere ancora una volta, e ancora di più, tutto un pianeta a disposizione del profitto e dell'accumulazione. Una domanda che si chiede come esercitare controllo, come ingabbiare la vita di tutti e di ciascuno nelle forme e nei modi che siano utili a mantenere in piedi un sistema di nessi sociali e produttivi che ha portato a ciò che abbiamo di fronte: società allo sfascio, ingiustizie insopportabili, predazioni indegne di beni comuni, disastri ambientali e l'esaurimento delle risorse necessarie alla vita.

Una domanda che non si chiede come restituire giustizia e dignità ovunque, ora e subito, che non si chiede come consegnare ai nostri figli un mondo in cui vivere sia più bello di ora.

Una domanda ricca di bilanci ma non di prospettive, di interessi miserabili ma non di slanci e di entusiasmi.

Una domanda che non è nemmeno intelligente quel poco sufficiente a comprendere che l'accumulazione infinita non può avere un futuro in un mondo finito. Una domanda che in realtà non può essere diversa da sé stessa perché parte dai presupposti sbagliati: che la legge zero della dinamica sia il mercato.

Poiché le risposte giuste alle domande sbagliate non servono a nulla – e sono spesso molto pericolose – mostrare un altro film, veramente newreal, significa rigettare non solo la riposta irricevibile, ma anche la domanda. Significa sparigliare, portare sconcerto al concerto ordinato dei fiati e dei tromboni, cambiando la chiave e le regole degli s-partiti.

Ora le domande le fanno i ladri di biciclette, partendo dalla vita reale di tutti e di ciascuno, che parla di terre avvelenate, di clima che cambia, di beni comuni, di cura e preservazione, di reddito insufficiente e di bios che proprio si è scocciato di essere ritenuto e messo a servizio in tutto il suo tempo, le sue attitudini, la sua potenza, financo nel suo dna.

Non ci dispiace affatto per il disappunto dei vari partiti democratici che non riescono più a condurre i dibattiti autistici sui loro palcoscenici: non solo non siamo più disposti a pagare il biglietto, né a rimanere in platea, ma addirittura smontiamo e rimontiamo i palchi, i copioni, gli spartiti. Presa diretta.

La produzione di energia oggi è come il portare acqua con un secchio pieno di buchi. La risposta giusta alla domanda sbagliata consiste nel continuare ad aggiungere secchi pieni di buchi. È ovvio che la risposta giusta è pericolosa e la domanda è sbagliata, per chiunque abbia una prospettiva diversa dal vendere sempre più acqua senza curarsi di quante ce n'è, arraffare il malloppo e poi.. ah già. E poi?

Noi tutte e tutti, che subiamo il comando, paghiamo l'acqua e siamo quelli che lavorano portando i secchi e svuotandoli dove ci viene detto, abbiamo deciso che vogliamo vedere un altro film. Che vogliamo scrivere un altro film. A partire dalla domande giuste, che si chiedono come si costruisce indipendenza per tutte le comunità ovunque, come si costruisce la possibilità di godere e condividere invece che di consumare e arraffare, come si garantiscono giustizia e dignità invece che comando e precarietà. Chiedono che la vita si autodetermini come più le aggrada invece che come è utile alla produzione. Si chiedono come si garantisce il reddito a tutte e a tutti – in ogni forma a partire dall'energia e dai beni comuni necessari e utili ad una buona vita – invece che un salario di indubbia indecenza.

In definitiva, prima di recepire le risposte – e pagarle di tasca nostra – vogliamo ridiscutere le domande. A cosa serve l'energia? Quanta ne serve? Chi la comanda e chi decide cosa serve e a chi serve? Per il momento a rispondere è il mercato che non è conosciuto per dare risposte oneste nemmeno alle domande che lo interessano.

Non è vero che l'uranio durerà per millenni, per lo meno non avendo lo stesso prezzo di ora e non richiedendo la stessa energia di ora per essere estratto e lavorato.

Non è vero che il nucleare non produce anidride carbonica e in generale non incide sui cambiamenti climatici; e lo farà in misura esponenzialmente crescente mano a mano che l'uranio disponibile richiederà sempre più energia per essere reso utile. E ciò avverrà tanto più velocemente quanto maggior uso se ne farà.

Non è vero che il nucleare è più conveniente di altre fonti energetiche. Non lo è energeticamente, quanto meno considerando che il 30-40% dell'energia che produce serve solo ad esistere, ovvero a costruire e smantellare fisicamente le centrali. Non lo è economicamente, almeno se si mettono a bilancio tutti i costi nescosti nella fiscalità generale.

Del resto, la maggiore convenienza consiste nelle spese che non si fanno. Incrociando i dati di un rilancio nucleare in italia con le previsioni prudenti dell'energy outlook dell'unione europea si scopre che le centrali che potremmo avere nel 2030 produrrebbero circa un terzo dell'energia che potremmo semplicemente non usare investendo nella ricerca sull'efficienza energetica. Ovvero, potremmo, con investimenti molto minori, non dover usare almeno tre volte tanta energia quanta ne produrremmo con la quantità di centrali nucleari che possiamo pensare di costruire (senza contare i costi energetici di costruzione, smantellamento e quelli senzafine di gestione dello stoccaggio).

Quanta intelligenza serve per trarne una conclusione?

Non è vero che le centrali sono “sicure”: riprendiamoci il potere delle parole e della conoscenza. La statistica ed il rischio tecnologico non spariscono per compiacere al mercato. Con sviariati trilioni di dollari in sviluppo e ricerca nell'ar co di 30 anni è ragionevole aspettarsi che con una prospettiva di crescita che arrivi al 30% di produzione mondiale di energia elettrica con il nucleare ci si attenda un incidente grave quanto Cernobyl ogni 50 anni. E a scalare si aggiungono proporzionalmente gli incidenti “meno gravi”, in numero crescente e maggiormente diffusi quanto “minore” ne è la gravità.

Non è vero che il confinamento delle scorie è un problema risolto: non esiste un solo deposito al mondo ritenuto sicuro, a meno che con “sicuro” non si intenda “sicuro di non essere svelato per quello che è”. Per restituire la cifra (anche umoristica) della sfida basta considerare che una commissione del governo USA incaricata di trovare un sistema simbolico efficace per segnalare un pericolo mortale a qualsiasi essere umano nel futuro, ha fallito. Non è sorprendente, considerando che si tratta di trasmettere un messaggio lungo un arco temporale 100 volte più lungo di tutta la storia del linguaggio umano.

Se allora esisteranno ancora gli insulti, certamente riguarderanno in buona misura noi, i cari antenati che con molto poca eleganza lasciarono allegramente in eredità milioni di tonnellate di scorie radioattive per centinaia di migliaia di anni a venire.

Ma ciò per molti potrebbe anche essere un trascurabile dettaglio di folklore.

Ciò che non è trascurabile è invece il fatto che l'organizzazione della rete energetica è connessa e isomorfa alla gerarchia delle leve di comando, ovvero alla rete complessa di nessi e dispositivi che determina, configura, costringe l'accesso ai mezzi per la soddisfazione dei nostri bisogni ed i mezzi stessi, e perimetrano le nostra attività, incanalandoci nelle pipelines utili alla produzione e, in generale, all'estrazione di ricchezza da ogni istante della vita, a partire dai deisideri.

Sorgenti e produzioni centralizzate e militarizzabili, e militarizzate, come gli idrocarburi ed il nucleare, escludono a priori ogni democraticità nell'organizzarne l'utilizzo e la distribuzione, e quindi nel definire e governare le forme e i modi del vivere, contemporaneamente riversando sui popoli la doppia nemesi degli sconvolgimenti ambientali, che rendono inospitali frazioni sempre più ampie del pianeta, e dei conflitti che necessariamente sono innescati dal drenaggio delle risorse, energetiche e non, verso i nodi centrali dell'accumulazione di ricchezza.

Come mantenere tutto ciò il più a lungo possibile è esattamente la pessima domanda per cui il nucleare è una delle ottime risposte, poiché contribuisce per un breve periodo di tempo a vestire il re.

Luca Tornatore

Venezia 4 settembre 2010 - No Nuke!

Venezia 4 settembre 2010 - No Nuke! Immagini di Nicola Nunziata