Dov’è l’umanità dell’Europa?

Reportage dalla staffetta #overthefortress: confini chiusi, proteste ed assenza di informazione

19 / 9 / 2015

"Quanti bambini sono ancora presenti?" Bilal ci risponde un centinaio. Ne vediamo parecchi aggirarsi tra le tende, i più piccoli, nati pochi mesi fa, sono accuditi amorevolmente dalle madri, al riparo dal sole cocente che sfiora i 40°. Partorire e nascere in un viaggio così duro e provante: solo a pensarci fa venire i brividi. È la testimonianza di quanta forza e coraggio hanno queste persone sospese per un lasso di tempo non prevedibile tra la vita e la morte. Altri bambini giocano tra loro, notiamo dei neonati nell’angolo morbido allestito dai volontari sotto un gazebo. I pochi rubinetti dell’acqua aiutano a combattere la calura.

Siamo al valico serbo ungherese tra Horgos e Roszke, teatro di una pagina buia della storia dell’Europa fortezza.

Le cariche brutali della polizia ungherese contro le donne e i bambini che avevano oltrepassato la barriera hanno certamente lasciato il segno, in tanti hanno deciso di incamminarsi verso i valichi di Sombor / Beli Manastir, Tovarnik e Batina / Bezdan, ma un gruppo nutrito di persone non desiste. Sono sedute per terra, davanti a loro la cancellata rinforzata dal filo spinato tagliente. Hanno cartelli con scritto "dove sono i diritti umani", "niente cibo niente acqua, staremo qua per sempre", "per favore Merkel aiutaci", "non abbiamo più case, dovremo vivere qua", "questa è una vergogna per l’Europa".

Ci dicono di essere in sciopero della fame, chiedono di passare, sono stremati e privi di informazioni ufficiali e riscontrabili. Per Orban, il capo del governo ungherese, la linea della fermezza però non è negoziabile, il confine rimane chiuso e presidiato da un numero spropositato di poliziotti.

Le persone rimaste accampate in questo valico sono ancora quattrocento.

A dare supporto un esiguo numero di volontari locali, assieme a dei ragazzi tedeschi, cechi, ungheresi che, oltre ad aver allestito lo spazio bimbi, distribuiscono cibo e acqua potabile. Nessuna organizzazione non governativa è presente, poco il personale medico della Croce Rossa con un’ambulanza al seguito.

Verso le 11 arriva un pullman vuoto. La polizia comunica alle persone che verranno portate al confine con la Romania, poi da lì potranno proseguire verso la Germania. I migranti non si fidano e il pullman rimane vuoto. Hanno capito che il governo serbo vuole spostarli solo per allentare la pressione dal confine, inoltre temono di essere trasferiti in un centro di identificazione.

Le informazioni della polizia non sono verificabili, non ci sono né autorità che gestiscono la situazione, né associazioni riconosciute e fidate che possono garantire e accertare la proposta. La possibilità di conoscere se quello che gli viene detto è vero, quindi avere delle informazioni certe, non è un diritto contemplato. Le persone sono sospese in un limbo dove è il caso a decidere per loro. I loro connazionali sono bloccati negli altri valichi, nessuno sa bene come muoversi e dove dirigersi. Chiedono a noi di verificare se ci sono delle novità, se i paesi dell’Europa occidentale stanno dando delle indicazioni o se li lasceranno fermi e dimenticati.

Lo sciopero della fame e il caldo afoso si fanno sentire e gli operatori sanitari devono soccorrere Bilal che stremato si accascia a terra. Bilal è tra i promotori dello sciopero e fa parte del gruppo di famiglie siriane che ci raccontano la loro storia.
Ci dicono di essere fuggiti dalla Siria per colpa della guerra e di aver scelto inizialmente il Quatar. Nel paese del Golfo Arabo avevano un lavoro sottopagato e senza diritti, costantemente minacciati di espulsione. Hanno perciò deciso di intraprendere questo lungo viaggio per richiedere asilo in Europa. Dalla Turchia a bordo di un gommone, hanno tentato tre volte di raggiungere l’isola greca di Mitilene. La prima volta hanno iniziato a imbarcare acqua perché erano più del doppio della capienza sopportabile e sono tornati indietro; la seconda sono stati arpionati da un peschereccio che gli ha affondati rubando il mezzo, l’intervento tempestivo della guardia costiera li ha tratti in salvo; l’ultima invece è andata a buon fine. Dall’isola sono stati trasportati nell’entroterra greco, poi hanno viaggiato per settimane fino ad accamparsi in questo valico. Si sono spostati a piedi, in bus e in treno, in alcuni tratti hanno pagato dei "passeurs". Un signore ci dice di essere stato picchiato e derubato dei soldi che aveva. Ognuno di loro, se andassimo a fondo, avrebbe il suo aneddoto drammatico e unico da svelare.
Se solo ci mettessimo anche un piccolo istante a comprendere cosa si cela dietro la scelta di mettersi in cammino capiremmo che, non avendone altre a disposizione, l’istinto umano è più forte di qualsiasi paura. Spogliati di tutto non resta che aggrapparsi con tutte le energie e speranze alla vita, per avere e dare un futuro a se stessi e ai propri figli. Questa determinazione, che si chiama dignità, non potrà mai essere sradicata.

Li salutiamo e ci dirigiamo a Sombor, con l’intento di raggiungere Beli Manastir in Croazia e verificare se i migranti sono riusciti ad oltrepassare le frontiera. Le agenzie di stampa che riportano le parole del ministro croato danno per certo che i valichi sono transitabili. Quando alle 17 arriviamo al confine la realtà è però diversa:300 migranti sono stati fermati e portati in un centro di identificazione serbo.
Il sindaco della città ci dice che la Croazia ha chiuso la frontiera in entrata e in uscita.

Constatiamo che è così e per raggiungere Beli Manastir siamo obbligati a raggirare il blocco passando dall’Ungheria, allungando la strada di 150 km.
Ogni valico è presidiato, la nostra auto viene perquisita, seconda la polizia potremmo nascondere un migrante nel bagagliaio o nel cofano. I camion sono fermi in lunghe code.
La follia securitaria dei confini sta producendo una reazione a catena anacronistica e molto pericolosa. Il passo verso il ritorno dei peggiori nazionalismi identitari è breve.

Staffetta #‎overthefortress, 18 settembre 2015

Tratto da:

Immagini dalla staffetta