E la popolazione non cede al razzismo

Diario da Lampedusa

30 / 3 / 2011

La tregua dopo la tempesta. Forse. Questa è la sensazione che si respira oggi a Lampedusa. Dopo le proteste degli abitanti dell’isola, che ieri hanno prima bloccato la strada d’accesso principale al porto e poi occupato il municipio, oggi una calma apparente è scesa sul paese più a sud d’Italia.
Mentre i cittadini lampedusani continuavano a rimanere in stato di “consiglio comunale permanente” per chiedere al governo di intervenire e mettere in atto un piano serio di trasferimento degli stranieri, questi ultimi passavano la mattinata sulla banchina del porto, aspettando di essere divisi in gruppi e portati al C.I.E. per l’identificazione. È questo il primo passo necessario per andare via da Lampedusa, il carcere a cielo aperto diventato ormai troppo stretto tanto per chi qui è nato e vuole continuare a viverci degnamente, che per chi, appena sbarcato, non aspetta altro che poter andare via. L’attesa è il sentimento che meglio descrive lo stato d’animo che serpeggia oggi tra le viuzze di questa piccola isola, diventata in questi giorni l’unico snodo dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa. Sotto un sole incerto si consumano le aspettative di una popolazione stremata dall’immobilità del governo e dalla sua assoluta incapacità di tenere testa all’arrivo di poche migliaia di persone.

La straordinaria solidarietà dimostrata dai lampedusani non accenna a cedere a facili derive razziste: anche in una situazione disperata e ai limiti dell’insostenibile, gli abitanti dell’isola non hanno perso lucidità, individuando nel governo italiano l’unico responsabile dello stato di cose attuale. Lo striscione appeso ieri nella sala centrale del municipio recitava “Non è razzismo ma sopravvivenza”, e giù gli insulti a tutti i rappresentanti dello Stato sfilati nei giorni scorsi da queste parti. “Basta chiacchiere, vogliamo i fatti, stiamo annegando nell’indifferenza di un governo piegato dagli interessi della Lega Nord”, urla un ragazzo. “Qualcuno di noi è arrivato a pensare che Berlusconi e Maroni ci stanno trattando così per ripicca, per vendicarsi di quello che successe nel 2009, quando insieme agli immigrati presenti sull’isola protestammo contro le politiche di accoglienza e di gestione dei flussi”, ci spiega in maniera meno concitata un altro giovane lampedusano. Frasi che testimoniano una consapevolezza molto lontana dalle facili descrizioni dei giornali nazionali nei termini di una protesta anti-sbarchi o anti-immigrati.

La straordinaria capacità dei cittadini di non cadere nel tranello di un’inutile scontro tra poveri, comunque sempre dietro l’angolo a causa dell’insostenibile stato di abbandono, e di continuare a manifestare solidarietà e accoglienza anche dopo queste lunghe settimane, non sono passate inosservate agli occhi dei migranti. Il modo che queste persone hanno trovato per ringraziare l’isola è stato sfilare in corteo per via Roma (la strada principale) armati di scope, sacchi della spazzatura e cartelli dicendo “merci a tout le monde, merci Lampedusa”, “tutta l’Italia deve partecipare all’accoglienza”, “vogliamo solo partire”, “lasciateci andare via da qui”.

I gesti di solidarietà superano i confini dell’isola. Proprio ieri l’associazione Università Atlantidea ci hanno contattato attraverso il numero della campagna Welcome per chiedere di offrire accoglienza e lavoro alla mamma e al papà del piccolo nato in un barcone proveniente dalla Libia alcuni giorni fa. Grazie all’aiuto del Laboratorio Zeta e dei comboniani di Palermo è stato possibile far giungere a destinazione questa offerta.

Nonostante piccoli episodi di questo tipo si moltiplichino quotidianamente, la situazione non può essere lasciata al caso o all’iniziativa individuale di qualcuno. Il governo italiano oltre a non trasferire i migranti che aumentano ogni giorno, oltre a negare la protezione umanitaria che tanti di loro invocano per poter circolare liberamente in Europa e autodeterminare le proprie vite, continua a lasciare in un intollerabile stato di abbandono l’isola. Se fino ad oggi non erano garantiti i servizi elementari (docce, bagni, raccolta spazzatura) ma dopo ore di attesa era possibile ottenere un pasto, nelle ultime ventiquattrore centinaia di persone sono rimaste senza cibo e sono state sbrigativamente allontanate dalla polizia.

Il velo di tranquillità che ha oggi ricoperto Lampedusa è dunque percorso da fremiti che domani potranno essere interpretati meglio. Infatti se l’ennesima promessa di trasferire i migranti non verrà mantenuta il minacciato blocco totale di tutte le attività dell’isola diventerà un evento concreto, che soprattutto i giovani tengono a sostenere per rivendicare una possibilità di futuro che vada al di là delle cicliche politiche emergenziali che concorrono a precarizzare le loro esistenze. Del resto, neppure nel caso in cui il governo italiano realizzasse quanto promesso ai cittadini dell’isola la partita sarebbe chiusa. Da quel momento, infatti, la palla passerebbe a tutte le realtà antirazziste d’Italia intenzionate a monitorare gli spostamenti e le condizioni di detenzione dei migranti per mobilitarsi affinché l’accoglienza e il diritto di scelta venga garantito a tutte queste persone.

* Presidio Welcome sull’isola di Lampedusa

Pubblicato su Il Manifesto il 30.03.11