Ecologia e vita. Critica del valore e critica della natura

4 / 9 / 2019

Nel giorno in cui apre i battenti il Venice Climate Camp riprendiamo un prezioso testo di di Alice Dal Gobbo, che parte da una riflessione da lei presentata al convegno Ambientalismo Operaio e Giustizia Climatica tenutosi presso il Centro Studi Movimenti di Parma il 14 giugno 2019, pubblicato originariamente su leparoleelecose.it

Valore, Natura

Le categorie di Valore e Natura stanno emergendo prepotentemente nel dibattito dell’ecologia politica, nel dialogo che cerca di politicizzare il discorso e le pratiche legate alla crisi ecologica. Le due categorie sono caratterizzate da un certo grado di ambiguità, sono sdrucciolevoli e quasi paradossali. Da un lato, esse – ma soprattutto il loro nesso – sono un nodo centrale di una riflessione che, partendo dall’eredità del dibattito marxista sull’ecologia e dell’operaismo italiano, vuole prefigurare delle società future. Dall’altro, tuttavia, il rinnovamento delle nostre relazioni socio-ecologiche[1] richiede di ripensare profondamente, forse superare, il valore e la Natura.

Interrogare il nesso valore-natura all’interno della crisi ecologica (che però è anche economica, sociale, psico-sociale) ci porta a scavare fino al cuore della costituzione materiale delle società contemporanee. È infatti ragionevole sostenere che il valore sia uno degli elementi chiave nella configurazione ecologica globale del capitalismo, poiché l’accumulazione e la ricerca del profitto che caratterizzano il sistema necessitano processi di valorizzazione, di trasformazione del mondo in valore. Questi processi sono, per altro, sempre più pervasivi dato che il capitale cerca di abbracciare più e più ambiti di vita sia in senso “estensivo” (il capitale globale che non lascia scoperto più un angolo di terra), sia in senso “intensivo” (il suo infiltrarsi sempre più a fondo nelle radici della vita e del vivente, come per esempio nel caso della mappatura del genoma umano). D’altro canto, Natura è molto spesso la parola a cui ci appelliamo per costruire un ragionamento sul modo in cui le attività umane hanno alterato gli equilibri della biosfera. Ci paiono quasi due categorie antitetiche, spesso diciamo che i processi di valorizzazione sono incompatibili con le logiche naturali. L’idea che mi piacerebbe proporre al contrario è che la Natura sia più che altro una costruzione fondativa dei processi di accumulazione capitalisti, nonostante sia da essi stessi profondamente messa in pericolo.

Occorre allora domandarsi innanzitutto che cosa accomuni valore e Natura? Partirei dall’astrazione. Il valore così come si configura nel capitalismo è espressione e veicolo di una organizzazione economica, sociale e politica dell’esistenza[2] basata sull’astrazione. Lo scambio nel mercato capitalista necessita che le qualità concrete del mondo siano ridotte a entità quantitative e interscambiabili. Al contempo, la finalità dello scambio di mercato non è più la riproduzione della vita di per sé, i bisogni e i desideri di uomini e donne situati: l’obiettivo è invece l’accumulazione di capitale, una cosa di nuovo slacciata dalla concretezza del mondo e per definizione infinita. Astrazione e infinitezza dei processi di valorizzazione paiono essere in netta contraddizione con la Natura, che siamo soliti pensare come un che di materiale, concreto, qualitativo e finito. Seguendo questa linea di ragionamento si può sostenere che i processi di valorizzazione capitalista sfruttano, o incorporano, o ancora sussumono[3] la Natura secondo una logica che le è estranea e ciò dà luogo alla crisi ecologica. Per esempio, se io sottopongo o incorporo una natura che ha dei suoi cicli di riproduzione – tempi ritmi ed energie – ad una tensione produttiva astratta, lineare, sganciata da o indifferente a essi, ne erodo le basi riproduttive[4].

Pare tuttavia opportuno problematizzare questa visione per radicalizzarla. Addirittura, pensare in termini antitetici valore e natura potrebbe essere in ultima istanza poco utile ai fini di una critica, ma soprattutto della ricostituzione, della nostra organizzazione socio-ecologica. Alla luce di riflessioni ecofemministe e neomarxiste (non ultimo il contributo della World-Ecology)[5] possiamo infatti sostenere che l’idea che la Natura come concetto (e quindi entità) nettamente diviso dalla Civiltà emerge soltanto nella modernità e a seguito di una riorganizzazione sia discorsiva che materiale del mondo guidata da divisioni e categorizzazioni mutualmente escludenti. Da ciò deriva che la Natura stessa è astrazione: per come viene a questo stadio caratterizzata essa esiste solo come “cosa” separata dall’organizzazione sociale, dalle idee, dalla mente come elemento creativo. A questo punto, e solo a questo punto, essa si fa substrato inerte aperto ai processi di valorizzazione: quella risorsa “infinita e gratuita” a cui attingere a volontà. In altre parole, l’astrazione del valore richiede a sua volta che la propria base materiale diventi astratta: tale base materiale astratta è la Natura. Il suo dominio è infine giustificato dal fatto che, proprio in virtù della sua netta separazione, essa può essere manipolata a piacere e senza conseguenze da ciò che le è “superiore” (la mente, l’Uomo, la Civiltà).

Ora, chiaramente questa costruzione dicotomica del mondo ha una netta impronta cartesiana, che è stata variamente criticata, in parte superata o comunque ripensata. Una serie di mutamenti sociali, intellettuali e scientifici hanno messo in evidenza l’inscindibilità del pensiero e della materia, dell’evoluzione sociale e di quella ecologica, dell’ambito della produzione (quello del valore) e della riproduzione (quello della natura). È divenuto contemporaneamente necessario riconoscere che la vita in quanto capacità di creazione non è da collocarsi da una o dall’altra sponda di presunte dicotomie che regolano l’esistenza; essa si esplica invece nei processi materiali e semiotici che costituiscono il divenire del mondo. Questo cambio di paradigma filosofico ha certamente problematizzato lo statuto della Natura quale entità divisa e quindi astratta dall’umano, aperto ad una nuova fase di riflessioni e pratiche che si sono definite “neo-materialiste” e che in parte hanno anche riportato in voga un certo materialismo di ispirazione marxista[6].

Questo dibattito critico ha spesso sostenuto che il superamento delle distinzioni gerarchiche tra Uomo e Natura aprano alla possibilità di superare il dominio dell’umano sul non umano. È tuttavia dubbio fino a che punto la de-reificazione della Natura abbia determinato un declino della nostra “altra” astrazione, quella del valore. A ben vedere, il capitalismo più che essere scosso dall’emergere di questa nuova ontologia pare che vi sia ben adattato e ne abbia anche promosso la diffusione[7]. Questo paradigma co-emerge (per quanto non le sia riducibile) con una nuova fase neoliberale di valorizzazione e accumulazione capitalista: molti di quegli ambiti e processi vitali che prima rimanevano formalmente esclusi[8] dall’economia produttiva in quanto “Natura” ne diventano direttamente parte[9]. Si risponde alle crisi economiche ed ecologiche che hanno segnato gli ultimi decenni ampliando il campo di ciò che può diventare merce, si sfruttano la crisi e il rischio ecologici come occasione di profitto (per esempio attraverso la loro finanziarizzazione).

In sintesi, la (con)fusione tra Natura e Società permette di valorizzare direttamente proprio quella Natura che, prima definita come esterna rispetto ai processi sociali, rimaneva non-valorizzata. Ciò, invece di segnare la fine del processo di astrazione che segna l’evoluzione mondiale a partire dalla modernità, ne configura la fase estrema. Si potrebbe infatti dire che la pretesa che la biosfera tutta, con i suoi processi riproduttivi, sia sottoposta e sottoponibile agli imperativi della valorizzazione è l’apice dell’astrazione: il mondo che diventa valore. Un mondo fluido e in divenire è astratto perché interscambiabile, indifferentemente aperto ad un processo che lo plasma e riduce ai propri disegni pur riconoscendogli una vitalità e una co-implicazione che prima non gli si riconoscevano. Ma il “motore” che lo plasma non è la vita: nel capitalismo si tratta di accumulazione e valorizzazione, due processi di nuovo astratti, e non immanenti, rispetto alle logiche della biosfera. Dobbiamo allora riconoscere continuità nella discontinuità, permanenza nel mutamento: nella globalizzazione capitalista la Natura (astratta, seppur mascherata di una nuova concretezza) deve permanere come correlato del valore.

Questo ragionamento apre a delle considerazioni parzialmente originali circa le radici della crisi ecologica e le possibilità di risposta ad essa. Si potrebbe infatti dire che, a mano a mano che i processi di valorizzazione abbracciano nuovi campi della biosfera, la crisi ecologica si intensifica. Non tanto perché i processi produttivi umani sono contraddittori rispetto a dei presunti processi “naturali”, riproduttivi e da essi separati. Il punto è invece che più sono le “parti di mondo” che vengono sottomesse alla logica astratta della valorizzazione capitalista, più sono gli ambiti della biosfera che si cerca di far funzionare a seconda di una logica estranea a quella della sua riproduzione: l’accumulazione attraverso la mercificazione è infatti indifferente alle dinamiche, ai ritmi, alle energie di dispiegamento della vita stessa.

Il problema allora non sta nel fatto che l’astrazione operata dai processi capitalisti di valorizzazione funziona, cosicché una presunta Natura viene “sussunta” al capitale (e così “snaturata”?). Assistiamo piuttosto al contrario: la crisi pare essere più che altro imputabile ad una base vitale che si dimostra tenacemente inconciliabile con i processi di valorizzazione. Per quanto sotto attacco, essa r-esiste, squarcia questi processi dal loro interno. Ce lo dimostrano fenomeni ed eventi tra i più disparati, sociali e non, che parlano sia del dolore di una vita che sfugge alle forme che le si impongono, sia di possibili vie di fuga, riparazione, costruzione. La stessa crisi ecologica può in questo senso essere immaginata come il sintomo della resistenza della biosfera rispetto a logiche e processi che le sono estranei.

Per rispondere alla crisi ecologica non è allora sufficiente, possibile o necessario appellarsi a dei presunti “processi naturali” che esisterebbero a prescindere dagli esseri umani. Invece, pare di dover non solo superare il valore, ma anche superare la Natura[10]: immaginare il mondo come costituito da incontri, assemblaggi, alleanze e frizioni che vedono l’umano e il non umano, il pensiero e la materia, le parole e le cose, formare concrezioni che certo poco hanno a che vedere con la categorizzazione della vita, eppure insistono in spazi e tempi propri e irriducibili.

Di questa dinamica di crisi e ricostruzione sono espressione evidente i movimenti che recentemente stanno conquistando uno spazio inedito nel campo sociale (quello femminista, quello indigeno, quello per la giustizia climatica, quello antispecista). Essi evidenziano il fallimento del sogno neoliberale che vedeva in una colonizzazione di tutti gli spazi vitali da parte del capitalismo la “fine della storia”, un conciliante spazio di benessere. E lo fanno dimostrando che quel progetto è al fondo incompatibile con la vita in quanto tale: la riproduzione, la sopravvivenza, la ricerca di un’esistenza che risponda ai desideri e alle aspirazioni di soggetti concreti e situati[11].

Queste soggettività politiche insistono indubbiamente su una base trasversale a umano e non umano, semiotico e materiale, società e biosfera. Si fanno carico della loro co-costitutività. Ma, portando al centro della contestazione anticapitalista la vita stessa, ancorandosi al proprio concretizzarsi qui ed ora in “assemblaggi” irriducibili, rifuggono la trappola dell’astrazione e superano sia valore che Natura. Il concreto ancoramento nella vita fa sì che essi non siano fluidi e manipolabili a piacere, non possano accettare un mondo ridotto a merce per il mercato capitalista. La loro r-esistenza dimostra che è la singolarità della vita ad essere direttamente in contraddizione con la logica di appiattimento che caratterizza la valorizzazione. Un mondo oltre la Natura e oltre il Valore può partire allora da queste resistenze vitali, la sfida sarà intrecciare nuove alleanze, inventare nuove logiche immanenti di emancipazione.

[1] Si veda: Salvo Torre, Contro la frammentazione. Movimenti sociali e spazio della politica, Verona, Ombre Corte, 2016.

[2] Non si tratta di una semplice questione economica: la modernità come epoca storica è stata caratterizzata in tutti i suoi aspetti dalla dualizzazione di astratto e concreto, particolare e universale, pensiero e corpo; ed essa ha segnato l’emergere delle sue istituzioni, delle sue pratiche, della sua cultura ed anche dei suoi modi di organizzazione del quotidiano.

[3] È importante non confondere queste definizioni, poiché implicano visioni molto diverse dei processi di valorizzazione. La loro disamina tuttavia va oltre lo scopo del presente scritto.

[4] Su questa costruzione per esempio si basa l’argomento del metabolic rift o frattura metabolica per come l’ha elaborato J. B. Foster.

[5] Jason W. Moore, Antropocene o Capitalocene? Scenari di Ecologia-Mondo nell’Era della Crisi Planetaria, Verona, Ombre Corte, 2017. Ariel Salleh, Ecofeminism as Politics: Nature, Marx and the Postmodern, London, Zed Books, 2017.

[6] Diana Coole e Sarah Frost, New Materialisms: Ontology, Agency, and Politics, Durham, Duke University Press, 2010. Bruno Latour, Politiche della Natura, Raffaello Cortina Editore, 2000. Donna Haraway, Staying with the Trouble, Duke University Press, 2016.

[7] Si veda l’articolo di Luigi Pellizzoni uscito su questo blog.

[8] Penso in particolare i processi riproduttivi, umani e non umani: per esempio, la capacità di ricostituzione degli ecosistemi, il lavoro di cura, la socialità, la biodiversità. Certo, essi hanno sempre costituito le basi dell’economia produttiva, ma il valore si riferiva esclusivamente ai processi produttivi umani.

[9] Maura Benegiamo, ‘Neghentropia e astrazione: pensare la sussunzione nel nuovo nesso natura-valore-lavoro. Riflessioni a margine del libro di Emanuele Leonardi, Natura valore lavoro’, Etica & Politica/Ethics & Politics. Emanuele Leonardi, Lavoro Natura Valore.

[10] Non solo con il superamento delle dicotomie tra umano e il suo “ambiente”: dobbiamo criticare anche pensieri e processi che fanno dell’immanentizzazione dell’esistenza, dell’appiattimento del mondo a unico piano ontologico, l’alibi per una cancellazione della distinzione tra astratto e concreto che di fatto vuole rendere il mondo tutto Natura, ossia un’astrazione, un che di indifferentemente manipolabile.

[11] Salvo Torre e Alice Dal Gobbo, L’Oblio e la Cura.