Emergenza Diritti!

Mentre in Libia si combatte la guerra a Gheddafi, nel nostro paese viene combattuta un’altra guerra: quella portata avanti dal Governo contro migranti e rifugiati

28 / 3 / 2011

La guerra è sotto gli occhi di tutti. Ad essere finita sotto le bombe in questa primavera è la Libia, una della più infernali e corrotte tra le frontiere che separano l’Africa dall’Europa, la vergogna della gestione, Europea, dei flussi migratori diretti verso le coste italiane. Vergogna perché i rifugiati, che dalla Libia sono passati, o forse sarebbe più appropriato dire che alla Libia sono sopravvissuti, ci raccontano che attraversare il deserto ed arrivare a Tripoli, sulla costa, significa essere venduti alla polizia, agli intermediari, essere incarcerati prima e affidati poi ai mercanti di esseri umani, che, fino ad oggi, con la vita dei rifugiati hanno fatto i propri affari con il beneplacito del governo Gheddafi e del governo italiano.

Nell’agosto del 2008 il nostro governo sottoscrive, infatti, con la Libia di Gheddafi, il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione”, mascherato da una tardiva urgenza di riparazione coloniale, con il qualel’Italia si impegna a realizzare progetti infrastrutturali per una spesa di 5 miliardi di dollari e per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni mentre la Libia si impegna ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel paese (come l’Eni, l’Impregilo, Unicredit, Finmeccanica e molte altre). La collaborazione prevede inoltre la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche al fine di combattere l’immigrazione clandestina in accordo con la politica dei respingimenti italiana, attuata senza controllare, ovviamente, lo stato dei centri di detenzione libici, la violazione, peraltro pluri documentata dei diritti umani, e non supervisionando l’operato della polizia libica a volte implicata essa stessa nei traffici.

Ma ormai questa è cronaca passata, non fa più notizia. Ciò che torna a far notizia è la minaccia dell’invasione rispetto alla quale l’isola di Lampedusa deve giocare il ruolo di monito biblico. La minaccia d’invasione risuona infatti su entrambe le sponde del Mediterraneo, e, in Italia, i soliti ministri fanno da eco alle dichiarazioni folli e retoriche di un tiranno agli sgoccioli e tradito, parlando di nuovo, su televisioni e giornali, d’emergenza immigrazione. “Emergenza” è di nuovo la parola chiave usata in riferimento agli sbarchi: parola che palesa la totale mancanza di volontà nel gestire i flussi migratori in maniera sostenibile per le comunità locali e nel rispetto dei diritti dei migranti, primo fra tutti il diritto d’asilo. Ma d’altronde nello scendere a patti con un dittatore si sarà anche messo in conto che la Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra, ritenendosi in questo modo, forse, esonerata dal rispetto dei diritti umani fondamentali. Quelli che ledono la vita e la dignità.

Ancora una volta l’immigrazione viene gestita con metodi polizieschi, e a testimoniarlo non è solo l’istituzione della figura del Commissario Straordinario all’immigrazione, l’attuale Prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, ma anche la natura delle iniziative che sono state messe in campo a Lampedusa e su tutto il territorio nazionale negli ultimi giorni. Una di queste, voluta dal Maroni e resa possibile proprio grazie ai poteri straordinari conferiti al Prefetto Caruso, è la conversione di un ex villaggio militare USA nei pressi di Mineo, un paesino di poco più di 5.000 abitanti in provincia di Catania, nel “Villaggio della Solidarietà”, ovvero un centro di detenzione che “ospiterà” fino a 2.000 richiedenti asilo. I primi ad essersi posti il problema dell’utilità di rinchiudere i rifugiati in una struttura simile sono stati però alcuni dei sindaci, forse sovversivi, dei comuni vicini prima indirizzando una Lettera al ministro Maroni e in seguito tentando d’impedire, con i propri corpi, l’accesso al campo ai primi pullman di rifugiati arrivati sul posto. Il risultato di queste proteste è stato un nulla di fatto.

Il centro è entrato in funzione, i primi pullman sono arrivati. La nostra testimonianza diretta riguarda i trasferimenti dal C.A.R.A. di Castelnuovo di Porto a Roma dal quale sono stati “spostati” i primi rifugiati. Inizialmente dovevano essere 55. Per fortuna la notizia è arrivata per tempo e la sera prima, le associazioni romane che seguono alcuni dei richiedenti asilo inclusi nella lista, sono riuscite ad evitarne il trasferimento in Sicilia, riducendo il numero dei deportati a 29, fornendo, semplicemente informazione, altrimenti negata, sulle conseguenze del trasferimento.

Provando a giocarsi di nuovo la carta dello stato d’eccezione, il governo italiano, o ciò che ne rimane, continua a portare avanti un’altra guerra, la cui ferocia consiste innanzitutto nella sproporzione delle “risorse belliche”: la guerra ai rifugiati e al diritto d’asilo. Una guerra che produce uno scenario in cui migranti e richiedenti asilo diventano prigionieri da spostare da un luogo di detenzione all’altro, scortati da polizia e militari, confinati in corridoi blindati in cui viene sospeso ogni diritto ed in cui salta ogni legame sociale ancora da costruire o già faticosamente costruito. Salta, cioè, ogni legame con le associazioni che, al posto dello Stato, curano le situazioni legali e amministrative dei singoli migranti, con le reti della solidarietà che si “prendono cura” dei nuovi arrivati, dando inizio ad un circolo vizioso (secondo il quale i migranti costituiscono oggi le figure paradigmatiche del lavoro di cura e assistenza alla persona). La cura, la gratuità, la solidarietà diventano cioè la misura della sottrazione dello Stato nell’adempiere ai propri doveri verso i cittadini in termini di Welfare e di garanzia di diritti fondamentali.

Ancora, la “politica dell’accoglienza” in termini militari e “eccezionali” vuole spezzare, piuttosto che creare, i legami con i territori nei quali faticosamente si costruiscono relazioni basate sulla condivisione materiale dello spazio e spesso anche delle condizioni di vita precarie e degradanti (testimoniate dalle statistiche sulle “nuove povertà”) che, sempre più, accomunano autoctoni e stranieri.

Siamo andati a Lampedusa come campagna Welcome, una campagna che al contrario, vorrebbe imporre nel discorso pubblico l’emergenza del diritto all’accoglienza, per renderci conto che anche Lampedusa è una messa in scena, una sorta di “isola dei famosi” (dove i famosi vengono sostituiti dai “disperati”, o dai “clandestini”, o dai “profughi”) dove vengono confinati i migranti intercettati al largo delle coste italiane, colpevoli del desiderio di libertà e dunque del potenziale reato di clandestinità. Ci giungono notizie dalla stampa ufficiale, così come dalle associazioni presenti sull’isola delle condizioni inumane nelle quali stanno vivendo sia i cittadini di Lampedusa che i migranti, i quali raggiungono cifre, che oggettivamente sono sproporzionate rispetto alla capienza e ai servizi del territorio. Se la lentezza del posizionamento italiano contro i massacri dei civili perpetrati da Gheddafi è spiegata dagli interessi economici, sorge spontaneo chiedersi il perché della lentezza dei trasferimenti dall’isola e del varo di un piano d’accoglienza.

E il “villaggio della solidarietà” di Mineo, che casualmente si trova a 37 km dalla base militare di Sigonella? Che ruolo gioca nello “svuotamento” promesso dell’isola di Lampedusa? Perché coloro che per ora vi sono stati deportati provengono da ogni luogo tranne che dall’”isola dei disperati”? Qual è il piano accoglienza gestito dal Ministero degli Interni che nella confusione generale costruita a colpi di escort e guerra, corruzione e emergenza immigrazione, sta attuando sotto i nostri occhi? Analizziamo le ultime notizie: “Stop al trasferimento dei richiedenti asilo nel Villaggio della Solidarietà di Mineo. Lo ha deciso l' Unità di Crisi del Viminale istituita per la gestione dell'emergenza umanitaria, presieduta dal ministro Maroni”. Ma come! Neanche un mese fa Mineo era la soluzione all’emergenza immigrazione nel suo complesso! Dove sono dirette allora le navi in partenza da Lampedusa cariche di centinaia di migranti? Cosa stabilisce l’accordo con le Regioni? Una generica ripartizione di esseri umani le cui cifre e i cui luoghi vengono taciuti fino all’ultimo. O forse ciò che il ministro La Russa dichiara con innocenza: la predisposizione dei poligoni di tiro per l’accoglienza dei profughi! Sembra sarcasmo, ma non lo è. Il criterio base proposto da Maroni, un profugo ogni mille abitanti, sembra demenziale ma è realtà.

Ora, molto si sta giocando, e non è una novità, su banali e pericolose confusioni linguistiche. Il profugo non è immigrato irregolare, ma il profugo proveniente dalla Libia e atteso da Maroni non è ancora arrivato. Per ora si tratta di persone provenienti dalla Tunisia. Dunque di chi si tratta? Nel dubbio, sempre meglio rinchiuderli e confinarli. Smistandoli prima in modo che le pazze idee di rivolta rimangano oltreoceano. Perché, si sa, uniti si vince, anche contro i dittatori. Noi non crediamo però ai giochi linguistici di una classe politica che sta distruggendo la cultura, la scuola, l’università e il futuro della nostra generazione. Crediamo piuttosto nel desiderio di ribellione dei giovani tunisini, egiziani, libici, siriani. E per questo vogliamo accoglierli. Per questo vogliamo ribellarci anche noi per liberare l’Italia dalla retorica della sicurezza e dell’emergenza. Per questo non crediamo alla legittimità di alcun “potere speciale” che produce razzismo e morte. Per questo vogliamo diritti per chi arriva, per chi vuole proseguire il proprio viaggio e per chi sceglie di restare.

Vogliamo trasparenza sul piano accoglienza, sulla rotta delle deportazioni da Lampedusa verso il continente. Vogliamo poter rintracciare tutti coloro che hanno pieno diritto alla Protezione Internazionale e verificare passo dopo passo i lavori delle Commissioni territoriali, le condizioni di vita nei luoghi designati dal governo, per svelare l’orrore che si cela nell’istituzione del reato di clandestinità. Vogliamo trasparenza sulla gestione del sistema Sprar che tende ad escludere, sempre, chi concretamente lavora con i migranti per garantire loro diritti e dignità. Vogliamo un diritto d’asilo europeo che ribalti l’immagine della Fortezza Europa e che inizi, ora e qui a costruire un’Europa dei diritti, dell’accoglienza, della democrazia e della libertà. Proprio come sembrano chiederci i nostri coetanei al di là della frontiera sud del Mediterraneo!

ESC – INFOMIGRANTE

Lunedì 28 marzo manifestazione sotto la prefettura di Roma per chiedere trasparenza e rispetto del diritto d’asilo nella gestione dell’accoglienza! No alle politiche d’emergenza!

Appuntamento ore 17:00 a P.zza SS. Apostoli

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