Energia nucleare e rapporti di classe

Seminario di sociologia per ingegneria (Padova marzo – luglio 1978): Il ruolo del tecnico nella produzione. A cura di Open Memory - Centro studi e documentazione Sherwood.

21 / 3 / 2022

Negli ultimi mesi, il tema del “nucleare” è tornato alla ribalta nel dibattito pubblico come fonte energetica “ecocompatibile”. Da un lato la “transizione ecologica, vero e proprio mantra della ripresa post-pandemica, dall’altro la guerra in Ucraina ci dimostrano come la questione energetica siano il principale campo di battaglia nella ridefinizione degli assetti economici, politici e sociali del capitalismo contemporaneo. In questo passaggio epocale centrale è il ruolo della scienza viene percepita come politicamente neutra, ma si concretizza nella tecnologia prodotta da una ricerca finanziata a partire da precisi interessi economici e politici. Per contrastare il martellante tentativo di convincere che il nucleare sia una delle soluzioni della attuale crisi “climatica” è estremamente opportuno riportare alla memoria quelle analisi che negli anni ‘70 alcuni compagni di eccezionale acume politico avevano condiviso con il nascente “movimento antinucleare”. Un movimento che nel decennio seguente risultò vincente nel riuscire a bloccare in Italia la produzione di energia elettrica attraverso le centrali nucleari. Conoscere il loro metodo e la concreta lettura politica può essere molto utile oggi mentre vediamo riproporsi le tre sequenze classiche: crisi del modello di produzione, riproposizione della teoria dell'emergenza, rideterminazione del comando del capitale sulla forza lavoro sociale. Nel 1978 nella facoltà di ingegneria dell'università di Padova il collettivo di ingegneria organizzò una serie di seminari sul ruolo sociale del tecnico nella produzione riuscendo anche a far rientrare nel piano di studi l’argomento. Come Open Memory - Centro studi e documentazione Sherwood siamo in possesso dei materiali originali e riteniamo opportuno pubblicare l'interessantissimo lavoro sul tema “energia nucleare e rapporti di classe”, dal taglio comprensibile e didattico, che apre uno spaccato sul metodo di coniugare competenze tecniche e politiche che ancora oggi può essere illuminante.

Abbiamo tentato di analizzare il ruolo sociale dell’ingegnere e del tecnico in generale, visto come mediatore della scienza (e del suo possesso da parte del capitale) nei confronti del processo di produzione.

Questa figura di tecnico, che praticamente media la scienza verso il processo di produzione, è la "figura sociale” che garantisce un  uso produttivo della scienza dentro il ciclo di produzione.

Abbiamo visto che questo uso produttivo della scienza determina sostanzialmente un incremento della produttività, sia del lavoro morto, accumulato nelle macchine che vengono inserite dentro il  ciclo produttivo; sia del lavoro vivo, cioè della forza lavoro  che direttamente viene applicata al ciclo produttivo. Questo incremento della produttività si basa sostanzialmente sulla capacità del capitale di imporre comando attraverso la scienza sul ciclo produttivo stesso. In questo senso la scienza viene ad avere, in rapporto al ciclo produttivo, una duplice funzione:

1) forza produttiva in quanto contribuisce all’incremento della produttività, del saggio di plus valore, dello sfruttamento;

2) comando contro la forza lavoro per imporre ad essa direttamente determinati ritmi, per fissare una coordinazione spazio-temporale della meccanica del lavoro, che innalza la produttività del  lavoro vivo. Quindi la scienza è uno dei meccanismi fondamentali che, nei passaggi storici di ristrutturazione (cioè di crisi del capitale, del suo sistema di produzione, del rapporto sociale su cui si basa la produzione stessa) diventa strumento essenziale di risoluzione della crisi.

Analizzando la figura del tecnico all’interno del ciclo di produzione, si vede che esiste un meccanismo di espropriazione del  tempo di lavoro, di determinazione delle condizioni di lavoro che sposta le condizioni di classe di questa figura da condizioni, in qualche misura, di funzionario del capitale a condizioni molto più vicine al proletariato e alla classe operaia, cioè da un rapporto di comando, di estraneazione rispetto alla totalità del lavoro, ad un lavoro estremamente parcellizzato dentro un rapporto di salario. Di fatto si prefigura una situazione in cui l’intera forza lavoro sociale, e quindi non soltanto la forza lavoro strettamente  operaia ma l’intera forza lavoro sociale; grazie alla cooperazione sociale, diventa il momento portante dell’intero processo produttivo e questo grazie appunto alla socializzazione della scienza e alla espropriazione che il capitale fa della scienza stessa che viene collettivamente creata.

La scelta di analizzare oggi il settore nucleare non è assolutamente casuale, perché proprio il settore nucleare diventa in questa fase, grazie al suo elevato contenuto di scienza e di tecnologia e alla sua dimensione di tipo intersettoriale, il pilastro della ristrutturazione capitalistica dopo la crisi degli anni '70, che è stata una delle più gravi crisi economiche e di comando, cioè di incapacità del capitale di controllare il comportamento di classe della forza lavoro dentro gli attuali rapporti di produzione. Questo passaggio attraverso i piani elettronucleari diventa il passaggio per rompere la situazione di crisi, per rilanciare in avanti, grazie alla scienza, il meccanismo economico di produzione 

Bisogna cercare di vedere questo discorso sul settore nucleare dentro la contraddizione specifica che possiede la scienza; da una parte essa è patrimonio collettivo generale della cooperazione sociale, che si materializza in tecnologie ed in strumenti di produzione che possono produrre i beni d’uso per l’interesse generale. È quindi uno strumento che, all’interno del rapporto uomo-natura, determina una crescita delle possibilità di questo rapporto soprattutto dentro il processo di liberazione del lavoro costretto: il lavoro socialmente necessario per la riproduzione del genere umano diminuisce man mano che il patrimonio di scienza collettiva e di cooperazione sociale incrementa le sue potenzialità produttive; c’è quindi questo aspetto fortemente positivo della scienza di andare a determinare un rapporto uomo-natura via via sempre più liberatorio per l'uomo, di determinare una ricchezza crescente, di costruire la possibilità per l'uomo di dedicarsi al rapporto creativo di tipo sociale con gli altri uomini invece che allo scontro frontale con la natura per assicurarsi la sopravvivenza. Questa liberazione del lavoro costretto è il fatto propulsivo, potenzialmente favorevole a tutti gli uomini che è implicito nella scienza. D’altra parte, però la scienza viene trasformata in tecnologia, inserita nel processo di produzione dentro i presenti rapporti di produzione.

In realtà non è possibile parlare della scienza come forza produttiva in senso astratto, favorevole allo sviluppo dell’uomo, ma si deve vedere la scienza inserita dentro i rapporti attuali di produzione, nei quali la scienza si trasforma, dentro il processo produttivo in capacità di comando del capitale, si trasforma in sistema diretto per l’imposizione dei rapporti di produzione basati sullo sfruttamento. In questo senso, la scienza si rovescia non soltanto contro l’operaio, ma anche contro la forza lavoro sociale, nella determinazione della permanenza di un rapporto di sfruttamento, cioè della permanenza del lavoro costretto dal rapporto di salario. Cercare di capire che cosa significhi, in questa fase, il fatto che il ciclo capitalistico lancia una fase di sviluppo nucleare significa anche cercare di capire quale può essere, di  fronte a questo programma di sviluppo, l'atteggiamento delle varie componenti di classe; un punto di vista operaio sul programma nucleare non può essere né oscurantista' (No - programma nucleare no) né superficiale (Sì - programma nucleare si). (Nel periodo pre-Chernobyl non c'era ancora la consapevolezza diffusa del potenziale distruttivo che avevano le centrali nucleari, né dell'impatto ambientale dello smaltimento delle scorie, ndc)

Bisogna avere un tipo di atteggiamento critico che assume questa contraddittorietà della scienza e dei passaggi che essa determina. Bisogna quindi analizzare il programma nucleare, il ciclo nucleare e tutto quello che sta avvenendo in questo settore oggi. Cercheremo di analizzarlo proprio da questo punto di vista, per capire come, in realtà, dentro questa contraddizione si possa collocare un interesse operaio, e in senso lato un interesse della forza lavoro sociale basata sulla cooperazione. Innanzitutto„ occorre fare un po’ di  storia del piano elettronucleare italiano. 

In Italia le prime centrali nucleari sono state costruite durante  gli anni ‘50 –‘60. Di fatto la costruzione di tre centrali nucleari si è esaurita entro la metà degli anni ‘60 a Latina, nel Garigliano e a Trino Vercellese. In seguito, non si è più parlato di energia nucleare e di piano nucleare fino alla prima metà degli anni ‘70; la ripresa di un discorso sulla energia nucleare in Italia sostanzialmente avviene in corrispondenza della crisi petrolifera. Ormai credo che sia assolutamente nella coscienza del movimento e nella coscienza comune che tale crisi non è stata una crisi indotta da meccanismi economici astratti né dalla cattiveria degli arabi, ma è stata una crisi guidata, condotta, costruita e gestita fino in fondo dal capitale multinazionale, con lo scopo di determinare un passaggio storico dentro la crisi. 

L'incremento del costo del petrolio con i rapporti squilibrati tra USA (detentori della totalità delle multinazionali del petrolio) e l’Europa e tutta la serie di contraddizioni sul terreno monetario che sono state indotte, hanno determinato da una parte un meccanismo inflattivo che è stato un attacco diretto alla classe operaia, al salario reale, alle sue possibilità di sopravvivenza, dall’ altra parte meccanismo economico che ha fatto sostanzialmente partire la strategia del piano nucleare in funzione di un processo di ristrutturazione complessiva della produzione. 

In Italia si comincia a parlare nel ‘75 di una prima versione del piano nucleare che prevede la costruzione di venti centrali nucleari della potenza di 1000 megawatt ciascuna per una potenza elettrica totale installata di 20.000 megawatt. Di queste centrali sostanzialmente quattro erano già in ordinazione, altre sedici dovevano venire ordinate; il piano prevedeva una copertura finanziaria di oltre 10.000 miliardi nel giro di dieci anni, grosso modo pari al 5% dell’intero bilancio dello stato per ogni anno; prevedeva una articolazione della committenza delle centrali nucleari in costruzione alle ditte costruttrici secondo la cosiddetta formula delle chiavi in mano. 

In realtà si dava in appalto la costruzione delle centrali nucleari ad un grosso consorzio che provvedeva a costruire tutte le centrali e a consegnarle all’ENEL "chiavi in mano”. Questo tipo di piano lancia un progetto di enorme centralizzazione del ciclo capitalistico di produzione: per produrre una centrale nucleare non è ad esempio sufficiente la sola Fiat, ma è necessario convogliare un grosso numero di grandi aziende, le quali poi usano dare in sub-committenza ad una miriade di piccole aziende, produzioni di singole parti di singoli pezzi. Di fatto ogni piano che guida la produzione di una centrale diventa l'elemento di centralizzazione di una grossa parte del tessuto produttivo della nazione. Analizzando i consorzi che in Italia potevano gestire un piano di committenza di centrali nucleari "chiavi in mano” si vede che sono sostanzialmente tre.

1) Il gruppo Finmeccanica che è costituito dall’ Ansaldo Meccanica Nucleare, dalla NIRA (Nucleare Italiana Reattori Avanzati) che appartiene sostanzialmente in parte alla Ansaldo Meccanica Nucleare e in parte all’Agip Nucleare, dalla PMN (Progettazione Meccanica Nucleare) dall’Ansaldo in generale, dalla Terni che è praticamente una società meccanica al 100% della Finsider, dalla Saige, che è un’altra società in compartecipazione Finmeccanica Breda Termomeccanica-Termosud (la quale è un’altra società in compartecipazione Ansaldo-Breda) Di fatto questo gruppo. Finmeccanica è il gruppo dell’intera azienda meccanica di stato.

2) Altro gruppo importante è il gruppo Elettronucleare Italiano che comprende l’Elettronucleare Italiana (che sostanzialmente fa capo alla SIGEM che è una società Fiat -Breda, alla Ercole Marelli e alla Franco Tosi), la Breda Termomeccanica, la Franco Tosi (che fa parte del gruppo pesante Falk)la Ercole Marelli (che è una società a sé con una partecipazione all’interno della Fiat Nucleare)la SIGEM (che è al 50% Fiat e al 50%Breda)la Soprem (che è una società al 51%della Westhinghouse americana e per il resto è della SIGEM). Di fatto chi ha le mani in pasta in questo genere di cose sono sempre la grossa azienda di stato o la grossa azienda privata. 

3) L’altro gruppo è il gruppo SPIN che di fatto fa capo ad alcune industrie italiane comandate dal gruppo della Tecnomasio Brown-Boveri che fa riferimento a capitale svizzero e tedesco. Questi grossi consorzi, di fatto hanno la capacità di costruire centrali nucleari non a partire da una tecnologia propria ma a partire da una tecnologia acquisita su licenza. In particolare il gruppo Finmeccanica ha la licenza dei reattori nucleari BWR ad  acqua bollente della General Electric, mentre il gruppo Elettronucleare Italiano ha la licenza dei reattori PWR ad acqua pressurizzata della Westhinghouse : sono tutti reattori a tecnologie relativamente vecchie sviluppate negli anni ' 50. Senza entrare in un dibattito specifico sulla tecnologia occorre osservare subito che in realtà il piano nucleare fa riferimento a delle tecnologie  relativamente arretrate per un motivo molto semplice: esso è un piano relativamente di breve periodo, nel senso che le risorse in uranio che sono disponibi1i nel mondo consentono una pianificazione  della gestione dell'energia nucleare per un periodo relativa mente breve dipendente dalla tecnologia, nel senso che i reattori già citati (BwR e PwR) necessitano di grosse quantità di  uranio per il loro funzionamento, mentre i cosiddetti reattori autofertilizzanti, durante il funzionamento, potrebbero richiedere  una minore quantità di combustibile.

In ogni caso la limitatezza delle risorse (perlomeno di quelle accertate) fa sì che l’imposizione del piano nucleare non è la risoluzione una volta per tutte del problema dell’energia, ma solo  sul breve e medio periodo che si può calcolare dell’ordine di 20/50 anni.

In questo senso si spiega, anche se è una spiegazione solo parziale, il fatto che gli americani si siano sostanzialmente accontentati della tecnologia acquisita durante gli anni ‘50 e che continuano tuttora a costruire reattori B W R e P w R avendo lasciato da parte la ricerca sui reattori autofertilizzanti, invece, per un fatto di competitività internazionale l'Europa si è più orientata verso i reattori autofertilizzanti, che tuttavia sono ben lontani dall’essere considerati come tecnologicamente attuali. Questi ultimi reattori hanno dato luogo anche recentemente a grossi problemi e a incidenti e quindi la possibilità di passare in produzione è, per loro, ben lungi dall'essere realizzata. E’ per tutto ciò, molto probabile che per decine di anni ancora, la tecnologia dominante nella produzione di reattori nucleari sia la tecnologia di proprietà General Electric e Westhinghouse.

Il piano nucleare del '75, che sostanzialmente veniva di fatto commissionato e affidato a questi grossi consorzi per attuare una operazione massiccia di centralizzazione della produzione industriale italiana, vedeva sostanzialmente un suo riequilibrio negli anni  successivi fino alla formulazione finale del ‘77, la quale non prevede più venti centrali ma ne prevede soltanto otto da commissionare immediatamente, in parte già commissionate ed in parte sotto commissione adesso, a causa di motivi che non stiamo ad analizzare in questa sede.  

In realtà la copertura finanziaria era una copertura sovrastimata ed è' scoppiata una grossa polemica sull'effettivo fabbisogno di  energia in Italia. Le venti centrali nucleari rappresentavano di fatto un piano spropositato che aveva significatività solo dal punto di vista dell’interesse capitalistico e che non era strettamente giustificato dall’ effettivo fabbisogno di energia; basti pensare che in realtà l’industria italiana dal punto di, vista energetico è un’industria ad altissimo consumo di energia: cioè in Italia, grosso modo, la quantità di energia elettrica che viene destinata agli usi privati è sull’ordine del 20%, mentre la quantità di energia che viene destinata agli usi industriali diretti supera il sessanta per cento; e se a questi si aggiungono i consumi dovuti agli usi industriali indiretti (che sono: la struttura trasporti, dei servizi associati, ecc. ecc.) si sale ad oltre il settanta per cento. 

Da questo si vede che la produzione di energia è destinata prevalentemente all’industria e non ai beni sociali. Questo per il fatto che l’industria italiana è basata fondamentalmente sulla siderurgia pesante e sull’industria di trasformazione del petrolio che sono sistemi ad alto consumo di energia. Una trasformazione oggi del ciclo produttivo italiano, determinerà un passaggio a cicli di produzione a risparmio di energia e quindi non è più necessario nei dati previsionali considerare un incremento dei consumi di energia pari a quello degli anni passati. La ristrutturazione del piano elettronucleare del '77 prevedeva una modifica della formula "chiavi in mano' , nel senso che si manteneva solamente per  la parte strettamente nucleare della centrale, e di fatto si affidava all’ENEL la funzione di ingegnere -architetto dell’intero progetto, nel senso che si affidava ad una  struttura di stato la funzione di centralizzazione dell’intera committenza e dell’intero progetto elettronucleare a tutti i suoi livelli; a livello anche di piccola e minuscola industria a cui vengono affidate le committenze. Il piano elettronucleare italiano viene finanziato sostanzialmente dalla spesa pubblica, dal fatto che si è stabilito dentro questo periodo di crisi uno squilibrio tra le possibilità di consumo della forza lavoro sociale e la capacità di rastrellamento di capitale da parte del sistema stato. 

Tutti abbiamo l'esperienza quotidiana di quanto sia aumentato il   costo della vita negli ultimi quattro anni, di quanto in realtà  si è ridotta la nostra capacità di sopravvivenza a parità di salario, di quanto reddito della forza lavoro sociale collettiva è stato rastrellato da parte del sistema Stato con gli aumenti delle tasse, delle tariffe pubbliche, dei costi dei servizi sociali.

Questo rastrellamento di capitale a spese della capacità di sopravvivenza della forza lavoro sociale è di fatto il capitale accumulato per il lancio del progetto nucleare. Esso viene destinato in committenze ad un sistema industriale che per sua natura è immediatamente multinazionale: i vari consorzi che siano costituiti  dalla Finmeccanica o dalla Fiat o dalla Westhinghouse, in realtà  sono aziende multinazionali, perché la Finmeccanica e la FIAT so no multinazionali tanto quanto la Westhinghouse e la Geberal Elettric. Si determina praticamente dentro il piano nucleare una situazione in cui c'è in primo luogo uno spostamento di capitale dal  consumo sociale verso l’uso industriale pubblico, in secondo luogo una forte concentrazione e gerarchizzazione del sistema industriale italiano, e in terzo luogo il coinvolgimento del sistema  industriale italiano dentro un circuito che è completamente multinazionale. Questo tipo di passaggio è un passaggio storico estremamente importante; ed è, in questo senso una risposta estremamente precisa dal punto di vista del capitale ai cinque-sei anni di crisi che ha attraversato ultimamente.

Il piano nucleare rappresenta un passaggio di ristrutturazione e riconversione dell’intero ciclo produttivo italiano, anche se in realtà il settore: nucleare non è l’industria italiana; non si afferma certo questo, ma che determina una situazione di fall-out,  di passaggio di commissioni, di richieste di tecnologia, di ciclo di capitale che assimila e traina dietro di se la produzione industriale nel suo complesso. Vediamo la cosa in concreto: ad esempio per fare una centrale nucleare ci vogliono dei materiali di tipo plastico con certe caratteristiche (che resistano ad esempio a certe temperature), il ciclo nucleare solleciterà quindi attraverso i classici meccanismi capitalistici, una richiesta di materiali con certe prestazioni, che vengono ricercati, provati, prodotti all’ interno del settore chimico. Così, ad esempio la ricerca spaziale negli USA ha determinato un fall-out sulla produzione industriale, per cui sono cambiate le "generazioni” dei calcolatori  elettronici.

Il settore nucleare è in primo luogo un settore “intersettoriale” cioè coinvolge in sé l’industria meccanica leggera e pesante, l’industria chimica dei materiali, l’industria elettronica per tutte le componenti di controllo (non esiste centrale nucleare che non abbia un grosso calcolatore elettronico ed elaboratore di processi che controllino complessivamente tutto il flusso delle informazioni sul funzionamento della centrale). Coin volge anche altri settori, come quello dell'edilizia: basti pensare ai problemi strutturali di sicurezza che sollecita la costruzione di una centrale di duemila Megawatt. Il settore nucleare ha una tale vastità di fronte che in realtà è capace di stimolare coinvolgere e trainare il sistema industriale nel suo complesso;  esso ha la capacità di imporre, per lo meno in questa fase in Italia, una ricaduta di richiesta tecnologica ai settori sottostanti costringendoli ad un salto qualitativo. Il piano nucleare  impone di fatto un uso della scienza non soltanto all’interno del  settore nucleare, ma all’ interno dell’intera produzione: uso della scienza che si è visto essere l’elemento portante della riacquisizione del comando del capitale sulla forza lavoro sociale. Da questo punto di vista il piano elettronucleare è ben altro che la risoluzione del problema dell’energia: è piuttosto la risoluzione del problema capitalistico della crisi.

In questo senso si spiega, ad esempio, la dimensione enorme che gli era stata data (venti centrali nucleari entro dieci anni a  partire dal '75), proprio perché lo scopo era di determinare un ciclo di dimensioni economiche tali da stravolgere l’intera organizzazione del sistema industria, di farlo trainare dal settore nucleare, di centralizzarlo sotto la guida e la committenza di un enorme apparato statale: l’E.N.E.L.

L’ENEL è l’ingegnere-architetto dell’intera operazione, “progetti sta” non tanto della costruzione delle centrali nucleari ma piuttosto dell’intero progetto di ristrutturazione dell’industria  italiana. Da questo punto di vista si deve cercare di capire come può essere visto un interesse della forza lavoro collettiva,  un interesse di classe dentro questo progetto capitalistico. Il problema dell’energia è certamente un problema che una società come la nostra deve porsi. E’ un problema di avanzamento effettivo delle forze produttive dell’intera umanità; la risoluzione mediante scienza e tecnologia del problema dell’energia, è uno di quei salti delle forze produttive che effettivamente tendono a liberare l’uomo dal lavoro costretto. Però il passaggio attraverso l’industria nucleare non è la risposta al problema dell’energia per dare risposta alla crisi capitalistica. E questa risposta è la  riaffermazione del dominio del capitale contro la forza lavoro  che non può coincidere con l’interesse da parte operaia con l’interesse della forza sociale collettiva.

Di fatto l’imporre questo salto tecnologico e l’uso della scienza dentro il ciclo di produzione per riaffermare lo sfruttamento  e l’accumulazione capitalistica si contrappone all’interesse di  parte operaia.

Oggi, di fronte allo sviluppo delle forze produttive l’interesse della forza lavoro è essenzialmente quello di liberare tempo di  lavoro, di arrivare alla diminuzione del lavoro costretto; oggi è  tecnologicamente e scientificamente possibile e solo il rapporto  di dominio del capitale impone la non diminuzione del lavoro costretto, anzi addirittura il suo incremento grazie ad alcuni meccanismi che sono stati messi in moto dentro la crisi. E’ quotidiano  per tutti noi vedere in realtà la di diminuzione dell'occupazione, l’emarginazione di forza lavoro dal ciclo produttivo diretto, la  riassunzione di questa dentro rapporti di lavoro precario e di lavoro nero, la diminuzione del salario diretto che impone alla gente di trovarsi un secondo lavoro; si assiste cioè, dentro la  crisi o dentro quella che è stata la compressione del reddito complessivo della forza lavoro sociale, ad un prolungamento effettivo del lavoro costretto.

Il ciclo nucleare è proprio un ciclo a bassa occupazione che disgrega la forza lavoro, che consente la riaggregazione di questa dentro un’industria diffusa che poi potrà utilizzare condizioni di lavoro precario; esso, quindi, determina piuttosto un allungamento che non una compressione del lavoro costretto; l’interesse operaio non può essere altro che in una posizione di opposizione. Oltre tutto questo passaggio di ristrutturazione si fonda su  un tipo di produzione, industriale che induce una modificazione  del sistema ecologico; e qui non vogliamo fare gli allarmisti ecologici e basta, ma interessarci del rapporto di classe che esiste dentro l’ecologia. Seveso è un chiaro esempio di produzioni di merci tramite morte.   ovvio che progetto nucleare ha anche questa faccia, non perché lo diciamo noi ma perché lo dicono gli stessi esperti del capitale. C’è stato recentemente un convegno a Viadana sul Po, luogo dove è  progettata l’installazione di una centrale nucleare.  

Sul Po andranno a collocarsi la maggior parte delle centrali nucleari italiane; è prevista l’installazione di centrali nucleari a Salti rana, a Sala, a Monticelli, a Caorso ce ne è una già funzionante, a Viadana, a San Benedetto del Po; lungo tutto il percorso, perché il problema fondamentale è quello dello scambio termodinamico (di smaltire cioè l’enorme quantità di calore che viene prodotta in surplus nelle centrali e che viene scaricata nei  fiumi come energia di spreco). Leggiamo le dichiarazioni di un assessore di queste località: "Il declino del Po è segnato; a partire da questo tipo di progetto le sue acque saranno il condotto fognante dell’Italia settentrionale, una minaccia aggravata per la sicurezza della popolazione; le sue rive diverranno una terra di nessuno dove impiantare  tutto quello che serve a programmi di cui non è accertata la necessità sociale ed economica, ma di cui in cambio è certa la pericolosità. Da Torino al delta sarà una Seveso lunga centinaia di  chilometri. ”Non sono dichiarazioni di parte ma dichiarazioni che vengono dall’amministrazione; leggiamo ancora le dichiarazioni del professor Cortellezza Giorgio, primo ricercatore dei laboratori   di fisica dell’istituto superiore della Sanità (quindi uno che dovrebbe intendersene): "Chi ha fatto questa scelta? Alcuni tecnocrati del CNEN, membri del CIPE dirigenti dell’ENEL, e non i diretti interessati perché la stragrande maggioranza degli italiani è di fatto esclusa, non solo da ogni potere decisionale ma anche da ogni fonte di informazione. L’ alto inquinamento termico del fiume provocato dallo scarico delle acque di raffreddamento dei reattori provocherebbe grossi danni all' agricoltura, alla flora, all’ambiente e alla fauna padana. E’ sempre il signor Cortellezza che ha dichiarato che esiste una possibilità alternativa, che è quella di utilizzare le acque del Po non tanto per scaricare l’energia di surplus ma per ricavare mediante costruzione di una serie di sbarramenti, centrali idroelettriche che possono fornire l’energia necessaria.  

Come si vede alternative esistono, lo dicono anche i tecnici del  capitale; passiamo ora a discutere il problema della ener3gia dal punto di vista delle possibili alternative; su questo piano la mistificazione che viene fatta complessivamente dal potere, dalla  stampa di informazione è enorme; in realtà le fonti alternative esistono come energia idroelettrica, l’energia geotermica, l’energia eolica, soprattutto l'energia solare e, in parte l’energia che potrà derivare dalla fusione termonucleare (non quella dei reattori a fissione, in cui l’uranio si scinde e produce energia nella fissione, ma dei reattori che si basano sulla aggregazione di due atomi di idrogeno per produrre una molecola di elio). Per quanto riguarda l’energia solare, i sistemi che utilizzano semiconduttori erano noti parecchi anni fa, ma hanno subito uno  sviluppo tecnologico praticamente nullo.

La ricerca impegnata in questa applicazione è stata praticamente nulla, mentre la ricerca sugli stessi materiali (cioè i semiconduttori) dal punto di vista dell’industria elettronica dei calcolatori è stata sbalorditiva. e ha visto lo sviluppo di ben sei generazioni di calcolatori.

Che cosa vuol dire? Vuol dire che c'è una precisa scelta politica per cui la tecnologia si sviluppa in una direzione e non nell’altra. Con questo non si vuol dire che attualmente è possibile produrre energia necessaria con tecnologia solare ma solo che dentro una dimensione previsionale di fonti di energia utilizzabili c’è energia solare e che c'è stata una precisa scelta politica  per imporre il piano nucleare direzionando lo sviluppo della  scienza in modo opportuno.

Dietro, la scelta originaria, precisa, di riproduzione del ciclo  capitalistico di accumulazione basato sullo sfruttamento del capitale contro la forza lavoro.