«Fate la linea e mai il punto!»

Sul 14 dicembre e oltre

22 / 12 / 2010

Quando succedono cose grandi, come quelle accadute martedì 14 dicembre, la tendenza generale dei commenti è quella di fare il punto. “Facciamo il punto della situazione!”, si inizia così solitamente, ci si tuffa dentro l'accadimento e si stabiliscono paletti e misure. La prima mossa – soprattutto tra chi vive nei movimenti o nel sindacato ‒ è quella della destra e della sinistra: chi c'era, o chi si è fatto raccontare da voci accorte, fissati gli occhi sul punto, cerca la sua identità, torna a casa (home sweet home).

Una vera e propria corsa verso il «borgo natio» in cui si urla a squarcia gola: “io sono io, sono sempre stato io, dopo il 14 sono ancora più io, anzi grazie 14, con te mi sono ritrovato, intatto, quello di sempre”. Chi è sempre stato molto più a sinistra degli altri può dire: “ecco, finalmente, avevo ragione”. Chi di solito è di destra prende le distanze e racconta di aver visto un'altra manifestazione: si inizia con il black block poi si capisce che si trattava di una piazza intera e dunque si chiede al movimento di isolare i violenti. Amen.

Rientra in gioco, quindi, quella discriminante che è stata spazzata via dal movimento in queste settimane straordinarie: il confine tra violenza e non violenza. Ricordiamoci che prima della manifestazione del 16 ottobre indetta dalla Fiom due uova sulla porta della Cisl avevano aperto nel Paese un significativo dibattito sul terrorismo. Poi è (ri)esploso il movimento studentesco, dai tetti alle piazze, dalle facoltà al book bloc, dalle lezioni in piazza all'assedio dei palazzi del potere, ed è a partire dalla sua forza che un nuovo laboratorio del conflitto ha preso forma. Uso la parola forza (radicalità politica e radicamento nello stesso tempo) e potrei aggiungere la parola consenso: questa miscela rara è l'unica cosa che rende possibile (se vogliamo essere onesti e non raccontarcela) una sperimentazione pratica non feticistica che dissolve, materialmente, la dicotomia ideologica (e morale) violenza/non violenza.

Cosa è diventato il movimento dopo il 14? Violento? No, perché prima del 14, semplicemente, non era non violento. Quando si apre una sperimentazione, infatti, le misure non ci sono già prima, vanno costruite in corso d'opera. E la sperimentazione fa molta paura, tanto che poi c'è bisogno di fare il punto e, rispetto al punto, prendere le misure. Dire che il 14 è la nuova misura dei movimenti studenteschi e precari è l'equivalente di dire che il movimento del 14 è estraneo alla misura del 14, perché la sua misura è, già da sempre, «pacifica e democratica». Non si tratta di mettersi al centro, ma di affermare un tertium datur. Tutta un'altra storia.

La sfida, quando si vogliono cambiare le cose, è capire che il cambiamento è un «movimento reale», una linea e non un punto. E lungo la linea le misure vanno continuamente ricostruite, di volta in volta modificate. Difficile? Indubbiamente. Ma cosa rispondere a Saviano se non questo? “Caro Saviano tu ti presenti come un pastore (anche un po' arrogante) e vuoi stabilire il bene e il male e per farlo usi delle misure esterne (ed estranee) a ciò che vuoi misurare”. Il movimento, invece, un fatto reale che riguarda centinaia di migliaia di studenti e di precari in tutto il Paese, sa o saprà scegliere cosa fare, capire il buono e il cattivo, ciò che funziona e ciò che non funziona, come la sua potenza cresce e quando, invece, diminuisce, al di là del bene e del male.

Dunque abbiamo scoperto che chi fa la linea non s'intende di morale e preferisce perdersi più che trovarsi. Con forza dice: “sono sempre io, che palle! rimettiamoci in movimento”. Per questo, quando una cosa come il 14 accade, cerca di perdere di vista il punto e cerca di capire cosa è accaduto, quali possibilità si sono dischiuse, quanti problemi rimangono irrisolti.

Andiamo con ordine. Il 14 ha di fatto chiuso questa prima fase di conflitto contro il DDL Gelmini. Per tre voti, comprati, il DDL è salvo, per quanto l'opposizione possa fare ostruzionismo in Senato i numeri la maggioranza ce li ha, di certo li utilizzerà per portare a casa il risultato. Dopo di che la maggioranza è davvero stupida e, come ci dimostrano i fatti degli ultimi minuti (ore 19 del 21.12), basta un errore di voto su un emendamento e si torna alla Camera. Abbiamo perso? Io direi di no e proverò rapidamente a spiegare il perché.

In primo luogo possiamo dire di averci provato sul serio, in modo coraggioso, con passione. La partita l'abbiamo giocata fino in fondo, unendo forza e intelligenza. La maturità politica conquistata in due anni di movimento, dall'Onda in poi, è una incredibile novità: non c'è intervista che non lo dimostri, non c'è assemblea di facoltà che non lo ratifichi. Se l'epilogo dell'Onda era stato segnato anche (ma non solo) dall'eccessiva litigiosità interna al movimento, senza ecumenismo d'accatto mi sembra di poter dire che mai come adesso la rete, le forme della democrazia radicale, hanno funzionato. Tra velocità e processi imitativi, il filo del discorso politico è riuscito a comporre in maniera inedita sensibilità, linguaggi e culture politiche tra loro differenti. In particolare, il mood giustizialista che aveva preso il sopravvento dopo l'esaurimento dell'Onda è stato sostituito da un'indignazione di nuova natura, radicale e polimorfa nello stesso tempo.

In secondo luogo abbiamo rovesciato una situazione che sembrava completamente sfavorevole. Ricordo a tutti che solo un anno fa il DDL raccoglieva applausi anche a sinistra, nel giro di un anno, con l'esplosione del movimento, l'isolamento politico è stato rotto. Come un esempio, questa vicenda parla agli altri segmenti sociali colpiti dalla crisi: «get up stand up: stand up for your rigths!», questo è l'adagio, una fuga dalla rassegnazione che per troppi anni ha avuto il sopravvento. Non è tutto, ma è tantissimo, più di quanto adesso riusciamo a percepire.

In terzo luogo siamo stati parte di un grande movimento europeo. Dalla Grecia alla Francia, dall'Inghilterra all'Italia, una generazione esclusa dal patto sociale ha «dissotterrato l'ascia di guerra» e ha cominciato a pretendere i propri diritti. Nel racconto del tumulto del 14 o delle vicende londinesi, ci si accanisce alla ricerca delle etichette giuste. Quella più in voga fa riferimento all'assenza di speranza o al carattere no future di questa nuova generazione del conflitto. E allora Mieli e Sartori zittiscono i giovani e gli chiedono sacrifici, Saviano fa finta di capirli e indossa i panni del pastore. Ma se invece fosse vero che questa generazione sta muovendo i primi passi nel senso della costruzione di un nuovo, meglio, di un altro futuro? L'opposizione alle politiche europee di austerity non ci racconta la ricerca, semmai embrionale, di un'uscita dalla crisi fatta di conoscenza, welfare e diritti? Nella difesa dell'università pubblica, seppur con pubblico non si intenda Stato, non si combatte una battaglia contro la precarizzazione selvaggia del mercato del lavoro e della vita tutta? Forse, leggendo con attenzione l'editoriale di oggi (del Corriere) di Di Vico e Ferrara, la risposta a queste domande comincia a determinare i primi spostamenti. Chiaramente si tratta di proposte irricevibili, segnate come sono dalla bugia neoliberista, ma il discorso centra il tema, meglio, prende sul serio il nuovo campo di forza definito dal movimento studentesco e precario.

Le sfide che ora abbiamo di fronte sono moltissime e saranno le assemblee nelle facoltà e negli atenei ad affrontarle. Indubbiamente al primo posto il tema della continuità. Una volta passato, il DDL ha bisogno di centinaia di decreti attuativi, la partita non è ancora del tutto chiusa. E non è possibile poi che dal Forum dell'acqua ci vengono delle indicazioni virtuose che possiamo riprendere e fare nostre? Penso di sì, e di questo bisognerà discutere approfonditamente. La rete europea: questo è un altro tema decisivo! Come costruire una rete fatta dai soggetti reali del conflitto? Facile sarebbe mettere insieme i pezzi che già si conoscono, più difficile è far parlare chi le lotte le ha costruite sul serio e federare esperienze tra loro sconosciute. Infine, il tema delle alleanze sociali. Uniti contro la crisi già rappresenta un passo in avanti decisivo, da questo punto di vista, ora, sulla spinta di quanto accaduto in questi mesi, si tratta di consolidare la trama delle relazioni e farle vivere nel conflitto che si aprirà in Fiat o nella domanda (e la costruzione) dello sciopero generale e generalizzato. Altrettanto, gli Stati generali della conoscenza, qualora assumano effettivamente il carattere di uno spazio aperto e inclusivo, potrebbero essere l'occasione migliore per sviluppare quell'autoriforma dell'università che già dall'Onda è all'ordine del giorno del dibattito di movimento.

Tanta carne è al fuoco, troppa per fare il punto. D'altronde...

«La velocità trasforma il punto in linea! Siate rapidi, anche stando sul posto! Ligne de chance, ligne de hance, linea di fuga. Non suscitate un Generale in voi! Non delle idee giuste, giusto un'idea (Godard). Abbiate idee corte. Fate carte, non foto o disegni. Siate la Pantera rosa, e che i vostri amori siano ancora come la vespa e l'orchidea, il gatto e il babbuino».

Deleuze-Guattari, Mille plateaux

P.s. Vale la pena rendere merito a chi, tra la stampa main stream e la Tv, ha deciso di rompere l'assedio del 14 sera e del 15 mattina. Da Bonini a Zunino, da Santoro ad Annunziata, sono tanti coloro che hanno reso giustizia ai fatti e raccontato, pur prendendo le distanze, la verità. A molti sembreranno cose scontate, anzi, normali, a me non sembrano tali e forse ci parlano del fatto che qualcosa sta davvero cambiando.

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