Femonazionalismo, Meloni e i soliti orrori da propaganda elettorale

Non è la prima volta che all’interno di una campagna elettorale si utilizza strumentalmente il corpo delle donne per giustificare politiche securitarie e odio razziale.

24 / 8 / 2022

Delle tante nefandezze che ammorbano il nostro mondo senza limiti nazionali o geografici, a partire dal sistema capitalista in cui siamo immerse, c’è indubbiamente la cultura dello stupro, contro cui i movimenti transfemministi in ogni angolo del globo si battono quotidianamente, con manifestazioni, reti di mutuo soccorso, analisi articolate del contesto storico, politico e culturale in cui viviamo. 

I collettivi si interrogano su come rivoltare la cultura dello stupro, su come affrontare i singoli casi, su quali reazioni ha senso tenere nei confronti degli uomini colpevoli di violenza.

Il sistema legislativo, quello giudiziario, quello educativo vengono messi profondamente in discussione e riconosciuti come emanazione diretta di un capitalismo patriarcale che ancora vede le donne e le soggettività lgbt+ come funzionali principalmente alla sfera riproduttiva.

Ma non serve qui elogiare i meriti di questa spinta rivoluzionaria che sta cambiando il modo di intendere il processo politico e le relazioni di cui i movimenti transfemministi hanno il merito.

Perché poi arrivano gli altri. Arrivano i signori della razzia. Che purtroppo non viene compiuta in maniera casuale colpendo nel mucchio nella speranza di racimolare un po’ di voti ma con chiare strategie propagandistiche.

In questo caso ci riferiamo alla pubblicazione del video dell’orribile stupro avvenuto a Piacenza, che diversi giornali e Salvini e Meloni hanno prontamente condiviso.

Non è la prima volta che all’interno di una campagna elettorale si utilizza strumentalmente il corpo delle donne per giustificare politiche securitarie e odio razziale.

Uno degli esempi più eclatanti avvenne nel 2007 durante la corsa per le comunali a Roma, quando Gianni Alemanno vinse la tornata elettorale con il motto “più sicurezza” dopo l’omicidio di una donna a Tor di Quinto.

È necessario però analizzare meglio il terreno su cui si inserisce la scelta di Meloni e Salvini di condividere il video dello stupro, condannando una donna a rivivere all’infinito una violenza terribile.

Per farlo ci viene in aiuto il concetto di Femonazionalismo, coniato dalla studiosa Sara Farris, che ben presto è divenuta categoria analitica di riferimento per le realtà transfemministe e le pubblicazioni di approfondimento sul tema.

È una cornice teorica che ci aiuta a comprendere meglio l’utilizzo da parte dei partiti di destra, estrema destra e neoliberisti di alcune istanze femministe che vengono strumentalizzate in chiave razzista.

Come tutti sanno il responsabile della violenza è un uomo razzializzato, fattore che non dovrebbe avere alcun peso rispetto alla gravità del fatto in sé ma che invece viene strumentalmente utilizzato da stampa e politica per giustificare politiche securitarie e razziste.

A Meloni non interessano davvero i diritti delle donne, non è mai stata paladina della lotta alla violenza di genere che nella stragrande maggioranza dei casi avviene all’interno del nucleo famigliare o delle relazioni intime, ma ha condiviso strumentalmente il video per stigmatizzare in questo caso i richiedenti asilo.

Affrontare davvero la violenza di genere, in maniera strutturale e sistemica, significherebbe per il programma elettorale di Meloni come di qualsiasi altro partito, affrontare le cause della violenza, degli stupri, delle molestie dando spazio, risorse e legittimità a quelle esperienze come i CAV, ma non solo, che combattono quotidianamente la violenza. Sarebbe il minimo essenziale. 

Ciò che ci troviamo di fronte invece, in particolare nei programmi di coalizione di destra, sono proposte fumose e soprattutto, unicamente repressive. Si ricorrerre alla securizzazione continuando a normalizzare la violenza, senza alcuna volontà di combattere culturalmente un fenomeno che non ha mai trovato deterrenza nelle misure punitive. 

Si continua invece a fare populismo sul corpo delle donne. Il mondo non è nuovo a questo tipo di retorica, basti pensare alla propaganda in difesa delle proprie donne da parte delle organizzazioni razziste negli Stati Uniti, che da un lato animalizzavano gli uomini neri e dall’altro rendevano vittime di proprietà maschile le donne bianche.

Non ci si concentra più sulla violenza, ma diventa importante l’origine di chi compie la violenza e di chi la subisce. Un uomo nero, richiedente asilo, senza uno status riconosciuto contro una bionda donna ucraina che scappa dalla guerra. L’attacco diviene trasversale, gli uomini immigrati sono soggetti irrecuperabili, le donne immigrate vittime di una violenza cieca e animalesca. È una guerra a bassa intensità in cui le persone vengono categorizzate, demonizzate o vittimizzate. 

Noi siamo dalla parte della vittima, che non merita di subire ulteriore violenza da parte di post fascisti razzisti, promotori di un universo patriarcale, discriminatorio ed escludente.

Stendiamo poi un velo pietoso sulle reazioni del centro sinistra, a partire da Letta che invoca un’altra categoria alquanto problematica, quella della decenza e del decoro. Di fatto riporta l’accaduto dentro una cornice da risolvere su un piano securitario e morale, senza saper neanche vagamente attaccare le intenzioni dei suoi avversari politici né esprimere parole di vicinanza alla donna coinvolta. 

La lotta transfemminista e quella antirazzista devono andare di pari passo, non possono esserci oscillazioni, fraintendimenti o timori. L’abbiamo imparato da Angela Davis, bell hooks e molte altre. Facciamo nostre quelle parole, quella infinita capacità di analisi e trasmissione che ci permette di non avere timore di condannare la violenza sessuale e combattere contro strumentalizzazioni razziste.

Una parola a chi ha subito violenza, a chi è irriducibile al sessismo sistemico. Le alleate esistono, fuori dai circuiti istituzionali, sono veramente i nostri corpi a rendere sicure le strade che attraversiamo. Nessuna è sola!