di Fabio Mengali*

"Fier* di essere puttane"

Intorno alle ordinanze, alla città-vetrina e alla rivendicazione di una vita indecorosa e libera

21 / 6 / 2012

 "Non dimentichiamo che è del fascimo questo slogan: Famiglia e sicurezza"  C. Lonzi, Sputiamo su Hegel

 Anche a distanza di centinaia di chilometri dalla tua città, puoi benissimo sapere quello che succede nel periodo estivo. Certo, esistono il web, gli amic* e i compagn*, ma direi che quando si parla di Pisa nei mesi da maggio a luglio si sviluppi un certo senso di preveggenza, dovuto ad un drammatico eterno ritorno dell'identico. Le ordinanze del sindaco Filippeschi susseguono senza alcun problema a ritmo cadenzato e con lo stesso contenuto (cfr. Ordinanza anti-prostituzione del 2008), nonostante la Corte Costituzionale abbia dichiarato incostituzionali tali provvedimenti legati al pacchetto sicurezza dell'allora ministro Maroni .

Ma l'arguto sindaco quest'anno è riuscito a scavalcare la sentenza della Corte tramite bypass formali. Dopo il sodalizio con il sindaco di Firenze sulla “questione movida” che invocava un supporto reciproco tra Prefetture, il Comune di Pisa torna a dare battaglia alle/i prostitut*. Penso che intorno a questa tematica vada fatto un ragionamento serio, approfondito e circostanziato alla fase che stiamo vivendo, evitando di cadere in semplicismi.

 L'ordinanza in questione, entrata in vigore il primo di giugno, si snoda attorno a due tematiche centrali. Da una parte propone una norma estetica, quella del “decoro urbano”, che rimanda immediatamente ad un problema morale per l'abbigliamento e il “comportamento” tenuti dai/lle sex workers; dall'altro collega strumentalmente l'atto del “vestirsi indecentemente” al pericolo, l'insicurezza, la criminalità e l'illegalità: in sintesi, all'ordine pubblico. L'idea normativa che sta alla base è quella che colpevolizza immediatamente un corpo perché fuori dagli schemi delle norme di genere: che donna/uomo è chi si  prostituisce? Sicuramente colpevole, perché “adesca” (?) gli uomini al volante, li distrae dalla guida oppure li fa fermare precipitosamente e, oltretutto, con il suo abbigliamento rovina l'immagine della città della Torre. E stia attento chi si veste come loro, o chi si avvicina a loro, perché può essere sanzionato. Il lavorat* del sesso è quindi subito un soggetto criminoso, che porta l'illegalità e a crea un ambiente insicuro di per sé, non perché subentrano altri fenomeni sociali: del resto, è una sua colpa personale se le persone si fermano per chiedere prestazione in mezzo alle strade o se nelle vicinanze si avviano traffici di droghe.

Ai/lle sex workers vengono affibbiate delle identità stabilite che li/le definiscono come “deviat*”, “come anormali” in quanto non rispettano le comuni norme di genere e, di conseguenza, possono essere pericolos* per l'ordine sociale, per le pratiche quotidiane. La questione della sicurezza è  immediatamente legata alla vita, al suo controllo e alla sua gestione secondo criteri e categorie imposti, che mai fanno parlare e avere decisione in merito i soggetti (o meglio, gli “oggetti”) del discorso: si prescinde dalla loro autonomia e dalla loro capacità di prendere decisioni, di voler autodeterminare la propria esistenza. In questo caso, la vita viene così confezionata secondo una serie di limitazioni alla libertà sessuale, ad un certo tipo di lavoro, in modo che tutti i soggetti sia disciplinati e controllati. Un processo che sicuramente è tutto funzionale alla strategia della governance comunale, come dimostrano le scelte politiche degli ultimi anni e le dicharazioni moralistiche dei suoi rappresentanti.

Da questo punto di vista, più che amministrare una città, la giunta Filippeschi sembra più un gruppo di pastori che ogni estate deve partire con il suo sermone, come dimostrano anche le parole di una sua consigliera che rimandano al problema del “danno morale” e di immagini “intollerabili agli occhi”, facendo un discorso tutto volto alla pulizia della città, piuttosto che alla eliminazione dello sfruttamento e dell'insicurezza delle/ei sex workers  legata a strade come l' Aurelia e la via Traversagna.

 Il tono dell'ordinanza è chiaramente tutto emergenziale, in modo da legittimare la celerità dell'azione del sindaco e costituire un pretesto per cambiare e riprodurre rapporti di forza nella governamentalità cittadina: perché le ordinanze vengono quasi sempre emanate d'estate? Perché il loro obiettivo è sempre la marginalizzazione e l'inclusione differenziale – se non esclusione – di alcuni soggetti?  La giunta Filippeschi sta da anni tentando di ridisegnare la città attraverso le trasformazione urbane e la limitazione al loro accesso da parte di alcune categorie sociali (giovani, migranti, sex workers, ecc..), in quanto non vuole una città viva, realmente attraversata e costruita dalle relazioni sociali positive, ma una città-vetrina, dove il turismo “mordi-e-fuggi” diventa fonte di valorizzazione economica, secondo un dispositivo che cattura le forme sociali comuni (relazioni, socialità, arte, cultura prodotta da chi vive nella città), le normalizza e le regala poi alle grandi ditte speculatrici (project financing, appalti mafiosi). 

Da cui si crea il problema delle abitazioni con relativa speculazione edilizia e gentrificazione, le discriminazione dei migranti (cfr. "Ordinanza anti-borsoni") e il tentativo di disfarsi della socialità giovanile e universitaria. Mai si è parlato di miglioramento sociale, di potenziamento del welfare e dei servizi, per creare una città realmente accessibile e trasversale per tutt*. L'ordinanza impostata sull'emergenzialità e l'insicurezza vuole quindi rendere invisibile il lavoro del sesso pisano, solo per offrire un pacchetto appetibile al turista estivo, senza che questo si sconvolga alla vista dei/lle sex workers, così come non sia disturbato dalla vita notturna nel centro storico o da un senegalese che vende accendini.

E' chiaro ciò che pensano i nostri amministratori, se soprattutto si pensa alle scellerate conseguenze di un proveddimento come quello "anti-prostituzione": marginalizzazione dei lavorat* del sesso in zone ancora più pericolose, più irraggiungibili per un aiuto sanitario o sociale, esponendo ancora di più i corpi al rischio delle violenze e della morte; sanzioni e provvedimenti amministrativi che non fanno altro che portare a situazioni ancora più economicamente insostenibili soprattutto per chi è migrante, in un periodo di crisi profonda come questo.

Mentre scrivo, ci sono già stati dei fermi e addirittura un caso di espulsione per una sex worker, in quanto trovata senza regolare permesso di soggiorno. E' infatti da notare come molto spesso questo tipo di discriminazioni di genere e di lavoro, siano parallele a quelle etniche: la composizione del lavoro del sesso è formata principalmente da migranti, che vedendosi negare diritti, spazio cittadino e possibilità economiche, si trovano costrett* ad entrare nel mercato sessuale all'insegna dello sfruttamento, degradazione e pericolo, per trovare una seppur precaria certezza in Italia.Ed è qui che si entra nel nodo più generale e cruciale della questione, che sicuramente tocca un ambito sociale, culturale e giuridico italiano.

Per quanto non esista una legislazione precisa in merito al lavoro del sesso ( o “meretricio”, come direbbero i benpensanti e dotti amministratori pisani), esistono dei pregiudizi, delle norme sociali che lo discriminano. I presupposti per ogni analisi dovrebbero essere due: la consapevolezza e la libertà. Consapevolezza di voler usare il proprio corpo per dare prestazioni sessuali in cambio di denaro, libertà di essere in grado di farlo secondo i propri tempi e i propri desideri. Questa è la condizione necessaria affinché si distrugga qualsiasi tipo di imposizione e schiavismo  a cui sono costrett* i/le migranti per vivere in Italia, per avere un dannoso appoggio in chi dice di difenderli/e, ma in realtà sfrutta e degrada le loro vite.

Come è possibile tutto ciò? Affermando e costruendo un'altra visione sociale ed economica, in cui è garantita la libertà di movimento per i territori nazionali, in cui non esistono barriere, e in cui c'è una forma di reddito minimo di esistenza. Il reddito garantito, come forma di remunerazione sganciata dalla prestazione lavorativa, oltre a risolvere le problematicità economiche della crisi, permetterebbe di scegliere il lavoro che si vuole in modo libero, sia esso del sesso o meno; permetterebbe ai/lle sex workers di avere un tariffario, decidere se e quando dare la prestazione, darla in un modo e in un luogo sicuri: si verrebbe a definire una concezione stessa del lavoro autonoma e indipendente, fuori dalla subalternità del mercato del sesso mafioso in particolare, ma anche – se si estende questa visione a livello generale -  al di là della concezione del lavoro imposta dalla austerity dell'Europa e dai vari modelli Marchionne, come  fa vedere emblematicamente la riforma Fornero.

Il tema del reddito diventa quindi un nodo cruciale non solo in questo caso, ma per una rivendicazione del lavoro vivo a tutti i suoi livelli.Di fronte alla governance pisana – e non solo -  che usa la crisi come pretesto per impostare dei rapporti di potere cancellando diritti e gerarchizzando ancora di più, bisogna rispondere capendo che questo tipo di manovre sono volte ad una trasformazione completa della città e quindi colpiscono la vita di tutt*.

Dove sussistono tante crisi, a partire da quella economica fino a quella sociale, la rivendicazione di diritti come questi devono essere parte integrante  per la costruzione di un'alternativa che sia reale. Ma soprattutto è in virtù delle rivendicazioni per il reddito, la libertà dal lavoro e lo sfruttamento, al nuovo welfare e alla città aperta fatta da tant* e divers* che possiamo costruire una coalizione sociale per un'altra idea di città e, a partire dal territorio, per una diversa società: basta mettere a frutto le relazioni virtuose, quello spazio costituente dove i corpi ( siano questi indecorosi, anormali, bestiali, in minigonna o con  i jeans) si incontrano contaminandosi e creano altre forme di vita.

Certo, attraversare e far partecipare un parte di questa composizione, come quella del lavoro del sesso,  è difficile, ma come dimostrano le azioni di alcune realtà sociali cittadine che si sono mosse in questi giorni, ci sono tutte le possibilità perché si riesca ad affermare e gridare, tra tutte le altre rivendicazioni, quel "fier* di essere puttane".

* Tijuana Project