Francia, 50 anni di nucleare indiscusso

9 / 4 / 2011

La questione nucleare in Francia è storicamente occultata ma la catastrofe giapponese ha fatto crollare il mito della sicurezza e imposto una discussione sulle scelte energetiche. Ma come è stato possibile, dopo Chernobyl, negare l'evidenza?

La profezia di un operaio del nucleare "Se qualcosa farà cambiare le cose in Francia... sarà l'incidente" (*) si è verificata. tre giorni dopo l'incidente nella centrale nucleare di Fukushima, in reazione alle prime denunce di alcuni ingegneri della Toshiba che dicevano: "il Giappone non deve affrontare una catastrofe naturale ma una catastrofe provocata dell'uomo", il Partito Socialista per bocca di Ségolène Royal dichiara che si deve rispettare un periodo di " messa in prospettiva per decenza" prima di impegnarsi in una discussione sui rischi e il futuro dell'energia atomica in Francia. Posizione condivisa all'unanimità, ad esclusione degli ecologisti che chiedono un referendum per uscire dal nucleare.

Il peggioramento della situazione e l'amplificarsi della reazione emotiva hanno costretto governo ed opposizione a parlare della scelta nazionale del nucleare.

Una discussione di cui i cittadini francesi sono stati privati per cinquant'anni.

Per capire come mai le scelte energetiche sono state confiscate alla popolazione e ai suoi rappresentanti politici è necessario risalire alla matrice del ciclo di produzione nucleare. Le origini della filiera atomica francese sono incestuose. Cercando di estrarre plutonio per la fabbricazione delle bombe statunitensi, si scopre la possibilità di produrre energia elettrica, per il Commissariato dell'energia atomica francese (CEA), creata nel 1945, è l'inizio di una storia: la costruzione del primo reattore destinato alla fabbricazione di una bomba francese. La CEA però intende dimostrare ai responsabili della IV Repubblica di poter produrre l'elettricità che garantirà il benessere sociale della nazione. Questa forzatura è stata possibile grazie all'unione poltica tra i seguaci del Generale de Gaulle e il Partito comunista francese all'indomani della seconda guerra mondiale, unione sancita con la nazionalizzazione di EDF, ente pubblico per la gestione e la distribuzione dell'elettricità, (1946). Un'operazione che ha rinvigorito uno stato politicamente indebolito dalla perdita dell'impero coloniale. Si sfornavano centrali elettriche una dopo l'altra, EDF (bastione del PCF e del sindacato CGT ) forniva elettricità abbondante e a buon mercato anche nell'angolo più remoto del paese.

Una ristretta élite di tecnocrati ha espropriato il dibattito sulla politica energetica della Francia e fino ad oggi l'immenso potere del controllo energetico si ritrova nelle mani di questa struttura che non risponde delle decisioni prese perché occupa i posti nevralgici del potere: l'autorità di controllo come l'Autorità della sicurezza nucleare (ASN), imprese (Areva, EDF), ministeri e università. E naturalmente, l'Eliseo, dove si decide nella più totale opacità. In questo settore cruciale, i presidenti della République agiscono senza controllo parlamentare, questo vale per tutti i successori di de Gaulle. Nel 2007, tra il primo e secondo turno dell'elezione presidenziale, Chirac ha firmato un decreto che autorizzava la costruzione di un EPR, reattore di nuova generazione, a Flamanville. Nel 2008, il ministro dell'Ecologia e dell'Energia, Jean Louis Borloo, viene informato del secondo cantiere EPR attraverso un intervento di Sarkozy in occasione di un meeting in provincia.

L'assenza di una forte opposizione a questo potere assoluto dell'atomo si spiega con l'incapacità, fino ad ora, dei Verdi di spezzare il consenso che unisce la destra e la sinistra sul nucleare. Scontano ancora un certo isolamento da quando hanno accettato di fare retromarcia sull'esigenza di abbandonare il nucleare per concludere accordi elettorali con alleati socialisti.

Nonostante le buone intenzioni condivise a livello internazionale sul risparmio energetico e lo sviluppo delle energie rinnovabili previsto da accordi nazionali ed europei, il settore fotovoltaico è fermo, quasi all'abbandono, e quello eolico con i parchi 'off-shore' fatica ad emergere. Parallelamente, la legge del 2006 sulla "trasparenza e sicurezza nucleare" promette di rendere accessibili le informazioni alla cittadinanza.... informazioni che dipendono dall'ASN che non è indipendente.

Se ci si sposta in loco, cioé sui siti delle centrali nucleari, la legge rinforza il ruolo delle Commissioni locali d'informazione (CLI) istituendo delle riunioni aperte a chiunque sia interessato. Ne è testimonianza un significativo lavoro di inchiesta restituito dal documentario "Au pays du nucléaire": quando gli abitanti fanno domande ritenute troppo politiche o rivendicative, i responsabili delle centrali si trincerano dietro il linguaggio tecnico-scientifico. Se invece un esperto o un/una specialista argomenta scientificamente e interviene nel merito, la domanda viene elusa con il pretesto che l'aspetto tecnico e la complessita della questione non interessa il pubblico. Le riunioni sulla costruzione dei reattori EPR dopo essere state boicottate dalle associazioni ecologiste che denunciavano la politica del 'fatto compiuto' si sono svuotate nell'indifferenza generale. Effettivamente, il prefetto aveva autorizzato i lavori preparatori alla costruzione del reattore EPR di Flamanville anticipando il parere della commissione d'inchiesta necessario alla firma del decreto ministeriale.

Ma il contesto è cambiato: con la liberalizzazione del mercato dell'energia, la privatizzazione parziale di EDF e la presenza di concorrenti come GDF-Suez, il segreto oggi è motivato dalla rendita e l'acquisizione di settori di mercato finanziario. EDF subappalta e 'diluisce' i rischi come prova l'inchiesta (*) sui lavoratori intermittenti del settore nucleare che denunciano il rischio di incidente nucleare a causa della manutenzione difettosa.

Per soffocare il dibattito pubblico e guadagnarsi la tolleranza politica al nucleare, le industrie si servono di cosumate strategie di comunicazione, le grandi imprese del cartello nucleare sponsorizzano gli sport , quelli 'naturali' come l'atletica e la vela (Areva), il nuoto e la squadra olimpica (EDF). Qualche giorno prima dello tsunami nucleare giapponese, veniva inaugurata l'ultima campagna pubblicitaria di Areva che, per 20 milioni di euro, vanta i meriti dell'energia pulita "con meno CO2" in un paesaggio dove appare un'avveniristica centrale nucleare in riva al mare... Questa retorica investe e sommerge anche i media nazionali dall'inizio della catastrofe a Fukushima: nessun allarmismo! Le azioni di TF1, la prima rete televisiva, appartengono a Bouygues il quale ha intascato insieme a Vinci l'appalto per la costruzione del sarcofago di Chernobyl ed è l'impresario del cantiere del reattore EPR di Flamanville.

Radio France e France Télévision, servizio pubblico, hanno il compito di informare la popolazione in caso di incidente in una delle centrali nucleari. Con la catastrofe in Giappone, France 2 si è limitata a passare i comunicati ufficiali e invitare solo le autorità competenti: il ministro della Protezione dell'ambiente nucleare, l'ex-ministro della ricerca nucleare, la prresidente di Areva, prima industria nucleare mondiale, il presidente dell'Autorità della sicurezza nucleare, il rappresentante della vastissima lobby di ecologisti pro-nucleare, un rappresentante dell'Istituto di radio-protezione e di sicurezza nucleare, e infine un rassicurante primo ministro.

Preoccupati di arginare "l'emozione" del popolo francese, nessun 'irresponsabile' ecologista catastrofista è stato invitato a discutere in TV. Un patetico presentatore del TG delle 20 si chiede, il 13 marzo, "se è davvero il momento di riaprire il dibattito su nucleare adesso" e intanto passa un servizio da Tokyo con gli stoici abitanti che non abbandonano la città, mentre su un canale satellitare, un altro reporter constata l'afflusso dei giapponesi nelle stazioni. La polemica sulle famiglie che lasciano le città radioattive diventa indecente e costringe i principali media ad ammettere che "la questione nucleare è entrata nel dibattito pubblico". Per i difensori dell'energia nucleare il vantaggio "indiscutibile" è quello di assicurare "l'indipendenza energetica" . Tragicamente ironica la chiusura di ogni TG che da mesi "ricorda il destino degli ostaggi francesi detenuti all'estero" tra i quali figurano gli impiegati delle miniere di uranio proprietà di Areva in Niger, paese amico che contribuisce all'indipendenza energetica francese. Ma siccome ci vuole una bella fine, un "lume di speranza" accompagna "nuove immagini inedite" visibili ovunque sulla "risoluzione della crisi" commentate da un primo ministro invitato dal presentatore a confermare che "finalmente possiamo dire di aver sfiorato la catastrofe". I media francesi assomigliano a quelli sovietici al tempo di Chernobyl, banalizzazione ed eufemismi sono le armi preferite: il nucleare viene venduto come energia "rinnovabile" pur sapendo che è disponibile in quantità limitate, il "riciclaggio" e il "deposito" si sostituiscono al trattamento e allo stoccaggio. Applicato alla crisi giapponese, il linguaggio diventa surreale: " Non siamo di fronte ad una catastrofe nucleare ma naturale (...) si tratta di qualcosa che conosciamo bene (...) E' un classico (...) abbiamo assimilato la lezione in passato.", parole di Anne Lauvergeon, presidente del gruppo industriale nucleare Areva al telegiornale di France 2.

Più rivoltante ancora è la pratica della dissimulazione che caratterizza sia EDF che Areva, una lunga tradizione simile a quella che viene rimproverata a Tepco, il gestore privato della centrale di Fukushima. Dopo il blocco della centrale di Blayais provocato dalla tempesta del 1999, ci vollero due settimane per sapere cosa era accaduto. L'anno prima si era scoperto che EDF e Cogema (successivamente Areva) avevano intenzionalmente nascosto l'inquinamento radioattivo originato dal trasporto dei rifiuti in partenza dalla stazione ferroviaria di Valognes. Solo il mese scorso, grazie ad una campagna di Sortir du nucléaire, EDF ha riconosciuto un'"anomalia generica" in ben diciannove reattori. E non si può dimenticare l'informazione censurata che riguarda la fuga radioattiva della centrale del Tricastin nel 2008. Industrie ed responsabili politici si esercitano nell'arte della menzogna per proteggere gli affari: "80% dell'energia prodotta proviene dal nucleare". Lapsus? In realtà, è l'elettricità che è prodotta all'80% dalle centrali e copre solo il 16% del consumo nazionale di energia che invece è largamente garantito dal petrolio. Indipendenza energetica della Francia? L'ultima miniera di uranio in Francia è stata chiusa nel 1990, oggi tutta la materia prima necessaria ad alimentare dei reattori transalpini arriva da altri paesi al prezzo di compromessi con vecchi e nuovi despoti nel disprezzo assoluto della salute delle popolazioni locali.

La situazione estremamente grave in Giappone sta demolendo la costruzione mediatica che regge la grande bugia nucleare francese, allo stesso tempo è una sfida democratica che oppone cittadini, popolazioni, alle strategie industriali inefficaci e pericolose, le conseguenze sono visibili.

L'antagonismo tra 'pro' e 'contro' il nucleare mantenuto in vita per neutralizzare il dibattito pubblico è diventato obsoleto. Lo tsunami agli antipodi dimostra che siamo tutti dentro il nucleare ed è sempre più difficile usare la formula abusiva e ricattatoria del nucleare come alternativa al ritorno alla candela.

Oggi i giapponesi vivono con il nucleare e con le candele.

Marina Nebbiolo

* film documentario RAS, Rien à signaler ("Niente da segnalare")

Informazioni storiche da: Le Rayonnement de la France, énergie nucléaire et identité nationale après la Seconde Guerre mondiale, G. Hecht, ed. La Découverte 2004.

Film documentario RAS, Rien à signaler