Francia - La rivolta

11 / 11 / 2010

In Francia, il movimento sociale e politico contro la riforma delle pensioni ha espresso un forte fermento contro il modello culturale-economico che regola la nostra esistenza ed una speranza, una volontàincomprimibile di cambiamento.

L'esperienza dei due mesi di mobilitazione generale - grazie ad un inedito ventaglio di azioni e pratiche di contestazione differenziate con lo scopo di far convergere le lotte - non hanno fermato la legge ma hanno delegittimato chi ambisce a decidere del lavoro e della vita di milioni di cittadini. Non si potrà tornare indietro e questo evento politico fa ormai parte di una cultura che riprende, per necessità o per obbligo, a parlare dell'universo del lavoro e delle sue trasformazioni. Riprendere la parola sul lavoro perché il lavoro è diventato una questione di vita e di morte. I protagonisti del mondo del lavoro, dell'inclusione e l'esclusione sociale ad intermittenza o definitiva, si confrontano ad una realtà spietata e le donne insieme alla generazione più giovane spinti sull'altare del sacrificio sono stati i primi a voler scendere.

In questi ultimi tempi la visione del lavoro è stata troppo spesso associata al dolore, allo 'stalking', al suicidio, un lento e inesorabile degrado parallelo alla presenza sempre più popolare dell''etica', della 'giustizia', della 'parità' e del 'rispetto' della persona e dell'ambiente nel linguaggio delle grandi imprese. I codici deontologici che affermano la volontà di integrare il benessere del pianeta alla produzione economica, industriale o dei servizi, sono moneta corrente. Allora come è possibile che in un paese dove un quarto dei dipendenti lavora per la funzione pubblica, reputata per i benefici e 'privilegi' sul lavoro, esploda un malessere così profondo da rendere esangue l'economia in due mesi di conflitto sociale?

Solo la coscienza del valore, della necessità e della legittimità di parola in quanto attori principali sulla scena del lavoro può spiegare il paradosso francese e quanto accade un po' ovunque, anche se la Francia come solita 'exception' denuncia i sintomi in maniera più virulenta. Il lavoro ha smesso di essere semplicemente faticoso e veicolo di alienazione per assumere una dimensione tragica, nella realtà e anche nell'immaginario di chi oggi ha vent'anni.

Da esperienza collettiva e socializzante, il lavoro si è stasformato in una prova individuale. Trent'anni di "modernizzazione" hanno prodotto un isolamento sistematico nella relazione al lavoro a cominciare dagli orari flessibili, il part-time fino alla chiamata e al lavoro telematico. Per non parlare del bilancio di lavoro durante il quale i dipendenti vengono congedati con degli 'obiettivi' da raggiungere con tanto di 'valutazione' finale che condiziona aumenti di salario, carriera, permessi, stabilità stessa dell'impiego. Una destabilizzazione permanente. Senza poter comunicare e condividere difficoltà, senza solidarietà e aiuto per esprimere la sofferenza in termini di rapporto di forza e di sfruttamento. Resi inabili a entrare in risonanza con una messa in gioco politica, sindacale ed economica ma non abbastanza da accettare di perdere o consumare la vita per guadagnarsela.

Cosa è successo a milioni di francesi in questi mesi? Finito il corpo a corpo solitario con le strategie dell'impresa vissuto come segno di un'inadeguatezza personale o come un destino infelice? Esaurita la perversione che rende inclini a recepire senza obiezioni le esigenze della gerarchia aziendale? Anche quelli e quelle che hanno un lavoro considerato 'sicuro' denunciano una precarietà soggettiva, la paura di non farcela a dare sempre di più e a garantire un servizio o un compito secondo le aspettative dei dirigenti. Questo non solo rispetto ad un contratto ma anche rispetto all'attività stessa, al non rispetto della qualità in generale del servizio e delle relazioni umane.

Estinta la disumanizzazione dell'operatore/trice telefonica! Si scoprono i nomi veri non quelli finti utilizzati per dare risposte dai call-center.

Mutazioni senza sosta, ristrutturazioni, riorganizzazione, esternalizzazione, riduzione del personale, mobilità... cancellati dal vocabolario.

L'inico contesto febbrile dove tutto cambiava per ricominciare da capo è stato lo sciopero. Luoghi e tempi dove nessuno ha provato l'ansia di essere abbandonato a a se stesso o considerato/a incompetente!

E all'accelerazione delirante del governo per approvare una legge ingiusta, alla rapidità dell'economia finanziaria, si è contrapposto il rallentare modulato dello sciopero, la mobilitazione che determinava tempi sempre più lenti fino all'immobilità per mancanza di carburante mentre il comando del paese veniva trascinato nel ritmo del gioco "del gatto con il topo". Imprese e azionisti insieme ai ministri che li rappresentano, l'élite illuminata e responsabile si è chiusa nel disprezzo e fisicamente in parlamento augurandosi, con la complicità dei media, la fine dell'incubo dopo 8 settimane e 8 scioperi nazionali, centinaia di manifestazioni, migliaia di blocchi e milioni di cittadini a porre un veto alla legge e sanzionare la politica di Sarkozy.

Interrogarsi pubblicamente sul lavoro vuol forse dire difendere una sterile controriforma delle pensioni? Significa aggrapparsi ad una visione arcaica del mondo produttivo e dell'economia? Il lavoro non è affare di una casta di tecnocrati o di professionisti della politica ma l'insieme dei sindacati che hanno chiesto di negoziare sono diventati a turno conservatori per il ministro del lavoro, irresponsabili per il ministro degli interni, strangolatori per la ministra dell'economia. Il male da neutralizzare. Sostituiti dal calcolo autoritario e freddo delle statistiche che sempre giustificano le riforme. E che ignorano la realtà del lavoro, l'usura dei corpi, gli incarichi penosi e la profonda diseguaglianza in termini di salute. Per questo 3 milioni e mezzo di persone sono scese in piazza per due mesi, per parlare del lavoro e del futuro e non solo per aprire uno spazio di mediazione sulle pensioni. A farlo sono state prioritariamente le donne, lavoratrici, disoccupate o precarie, liceali e pensionate.

Lavoratrici di ogni categoria, con e senza tessera sindacale, impiegate nei servizi pubblici o nel settore privato, insegnanti e addette ad interim della manutenzione e delle pulizie, quelle chi si incrociano nel metrò alle 5 del mattino magari con i figli ancora addormentati in braccio, donne che non hanno diritto a cambiare orari per un problema di salute o familiare legato al lavoro e non possono evitare i turni di notte. Quante sono le donne che vengono licenziate e rimangono senza lavoro per questi motivi? Quante non hanno alternative? Quante non sono salariate o consumate dal lavoro in cerca di una pensione anticipata ma disoccupate in cerca di lavoro? Chi pagherà la loro pensione se restano disoccupate per anni?

Le statistiche non rispondono a queste domande e anche la legge nel frattempo votata dal parlamento francese è muta di fronte a questi interrogativi.

Cos'è un lavoro usurante? Lavorare quarant'anni in un cantiere edile o stradale sottomessi alle vibrazioni di un martello pneumatico? Sollevare e manovrare pesi? Arrampicarsi su un tetto o risalire un canale di scarico? Riparare una carrozzeria? Un bambino di prima elementare saprebbe rispondere, saprebbe indicare con un dito i mestieri difficili sulle pagine di un sussidiario, riconoscere un muratore, l'operaio che fa i traslochi e quello che ripara il tetto, l'idraulico, l'operatore igienico una volta chiamato spazzino, la donna delle pulizie. Noterebbe che quei corpi al lavoro non restano seduti su una sedia, ma sono in ginocchio, o curvi, o stanno salendo su una scala oppure sono appesi, stanno portando o spostando oggetti pesanti. Questi gesti del lavoro che definiscono la fatica e l'usura di alcuni mestieri sono descritti in dettaglio dalla medicina del lavoro, dai ricercatori, dagli specialisti in ergonomia, dai centri di prevenzione e assistenza sanitaria, dai medici generici, figurano sulle numerose riviste dedicate alla vita professionale. Persino il legislatore li conosce, li cataloga in un repertorio e li descrive nei prospetti sulle malattie del lavoro. Il progetto di legge sulla riforma delle pensioni ha ignorato questi saperi, queste competenze indispensabili a determinare la quantità e la durata del lavoro.

Cosa prevede la legge? Una commissione di esperti che misura lo stadio di usura del corpo del lavoratore o della lavoratrice e valuta esclusivamente l'entità delle lesioni: non contano i gesti diventati impossibili, i movimenti limitati a causa del dolore, la mancanza di elasticità e la meccanicità dei movimenti, l'invecchiamento forzato del corpo. L'amputazione dei gesti vitali resta invisibile. L'incapacità permanente parziale non contempla le conseguenze di un infortunio sul lavoro. Poco importanti gli effetti a distanza associati all'uso e all'esposizione a sostanze tossiche, i cancri professionali legati alla lavorazione del petrolio, benzene, solventi e amianto. Queste tipologie di rischi sanitari che differenziano radicalmente certe categorie di lavoratori, e che sono all'origine di una evidente diseguaglianza rispetto alla salute, all'invecchiamento che diventa precoce, alla malattia e alla morte, sono ignorate.

Per identificare e ricostituire un percorso professionale ci vuole qualcuno che interroghi, esamini, verifichi e studi le condizioni di lavoro. Nella legge non c'è più alcuna figura che abbia questo ruolo specifico, scomparsa. L'autonomia del medico del lavoro è stata soppressa, la legittimità e l'autorità di un referente sanitario sarà integrata in un servizio di "salute del lavoro" sottoposto all'impresa stessa che definirà i parametri medici secondo criteri propri e non secondo la legislazione. Chi segnalerà, testimonierà e denuncerà il trattamento sul lavoro? Nessuno. Nessuno può vedere e nessuno potrà sapere, parlare, ascoltare, documentare, recensire... E nessuno si ammalerà più sul lavoro.

E gli incidenti sul lavoro? Due, mortali, ogni giorno in Francia.

Non sono 'accidentali' e non c'è solo una causa 'meccanica' dell'infortunio.

E' la stessa cosa cadere da una scala se non si hanno le scarpe adatte, o se si è in cura e si prende un farmaco che procura vertigini ed ha come controindicazione il lavoro in altezza, oppure se si è in contrasto con il proprio superiore?

Nella riforma non c'è una sola parola sul ruolo di chi assume i lavoratori. Non una riga sugli eventuali obblighi, in un contesto in cui si parla di allungare la durata del lavoro, di riorganizzare i compiti e gli incarichi in funzione dell'età e del tipo di lavorazione. Per l'impresa, alcuna ingiunzione alla prevenzione nei confronti di quelli di cui non si parla più: operai, artigiani, addetti alla manutenzione, agenti e operatori delle pulizie,.... Nelle alte sfere dello stato si ignora l'esistenza di questi lavoratori e lavoratrici.

E così ci si accorge che sono scesi nelle piazze, bloccano gli incroci delle strade, fanno barriere filtranti agli svincoli delle autostrade, manifestano nei porti e negli aeroporti contro la riforma delle pensioni per chiedere di non lavorare fino al consumo della vita.

Cosa si prospetta? Si farà lavorare di più e si licenzieranno più persone 'usate' dai gesti del lavoro ma anche lavoratori e lavoratrici pluri-esposti per i quali si conosce scientificamente e statisticamente la forte probabilità di soccombere a patologie che accorciano la speranza di vita.

La riforma punta su una società immaginaria dove gli operai non esistono più e gli impiegati oltre i cinquantanni lavorano tutti. Una società dove si fanno figli che pagheranno le pensioni per tutti quelli che non ne fanno. E si presenta questo conto prima ai disoccupati e ai precari presenti e futuri, alle lavoratrici.

Poi ai lavoratori che esercitano quei mestieri che non possono essere eseguiti a qualsiasi età, il cui posto di lavoro deve necessariamente cambiare tutelato per legge con una responsabilità del datore di lavoro.

Nella legge la responsabilità del datore di lavoro non è menzionata e invece si premia tutto il contrario, si esonera l'impresa da ogni prevenzione.

Il governo, la Medef (corrispettivo della Confindustria) negano la realtà del lavoro e la diseguaglianza sociale che questa produce. Pensano di costringerci a lavorare con la forza e di obbligare le persone a mantenere un mestiere che non sono più in grado di esercitare. Dovremmo pagare le nostre pensioni con i nostri corpi?

Marina Nebbiolo

Tratto da:

Francia - Manifestazione 3