Glasgow, tra il fallimento della Cop e l’affermazione di una nuova moltitudine in lotta

9 / 11 / 2021

Mentre la COP arriva a metà del suo svolgimento, è necessario rilevare alcuni elementi che stanno emergendo.

All’interno della COP si stanno portando avanti accordi su varie tematiche: vi è un accordo pressoché unanime sul fatto di puntare all’obiettivo di massimo +1,5°C di innalzamento delle temperature rispetto ai livelli preindustriali. Vi è un impegno dalla maggior parte dei Paesi sul dichiarare entro quando ciascuno intenda arrivare al net zero, un accordo sulla deforestazione, uno sull’abbandono del carbone e uno sulla riduzione delle emissioni legate al metano e infine uno sulla riduzione dell’uso di combustibili fossili (BOGA).

Il problema, rispetto a tutti questi accordi, è che presentano vari elementi problematici: in alcuni casi, come quello del metano, non vengono firmati dai principali produttori, rendendoli virtualmente inutili; in altri casi, come quello del carbone, solo pochi paesi lo hanno firmato e con delle date limite assolutamente non sufficienti; altri casi ancora, come quello del BOGA, presentano molte scappatoie che li rendono inutili rispetto all’obbiettivo stesso dell’accordo.

In sostanza, all’interno della COP, si sta manifestando la mancanza di volontà politica nell’affrontare le varie cause che originano la crisi climatica, muovendosi in maniera da evitare di modificare radicalmente i modelli di produzione energetica e agricola e cercando di riformare il sistema attuale. D’altronde, potevamo mai pensare che la governance capitalista agisse contro se stessa?

Quello che ci interessa mettere alla luce è quanto si è mosso nei giorni scorsi all’esterno della COP, nelle strade e nelle piazze di Glasgow dove si è data una moltitudine di singoli, organizzazioni, Ong, movimenti che ha animato il corteo di sabato per il Global Day of Action.

Gli spezzoni di questo corteo moltitudinario rappresentano bene come la questione climatica abbia travalicato le rivendicazioni strettamente ambientali e sia a tutti gli effetti uno spazio politico in cui convergono molte lotte sociali. 

Ecco alcuni di questi spezzoni: il blocco dei popoli originari; il blocco giovanile/studentesco, con al suo interno Fridays For Future e molte altre sigle; il blocco per il diritto alla casa; un blocco sindacale e dei lavoratori (connessi ad una lotta per il trasporto pubblico, nello specifico); Extinction Rebellion e il blocco giustizia climatica; uno spezzone femminista per la giustizia climatica; il blocco indipendentista scozzese; il blocco piccoli agricoltori.

Queste sono solo alcune delle anime di questo corteo, che ha visto un riverbero chiaro a livello globale: ci sono stati infatti cortei e azioni in Francia, Olanda, Belgio, Corea del Sud e molti altri paesi (in totale si contano più di 100 iniziative)

La giornata del Global Day of Action di sabato 6 novembre ha dunque segnato un momento di mutuo riconoscimento da parte di tutti quei corpi che riconoscono nella matrice capitalista i problemi che, dentro il quadro della crisi climatica, colpiscono sempre i più vulnerabili e sfruttati. Questa “nuova moltitudine”, che da alcuni anni si sta affacciando nelle piazze di tutto il mondo per portare avanti le rivendicazioni delle “lotte riproduttive”, sta maturando e – in tendenza – va assumendo una dimensione complessiva e di classe sempre più marcata.

Queste giornate di mobilitazione hanno segnato anche un’altra linea di demarcazione chiara, evidenziata in particolare dalla testa del corteo, composta da delegazioni di movimenti indigeni e nativi provenienti da tutto il pianeta. È impensabile immaginare un processo in grado di rivoluzionare il sistema attuale che non assuma pienamente il tema della decolonizzazione, dando centralità alle comunità che tutelano i propri territori e che ogni giorno resistono a un apparato burocratico e finanziario che vuole fare di tutto per mantenere lo status quo e lo stato di diseguaglianza e privilegio.

In generale, queste giornate hanno permesso di fare un piccolo-grande passo in avanti al “movimento climatico”, la scommessa è quella di continuare a creare momenti e spazi di intreccio in cui co-spirare, respirare assieme, per creare alternative che si oppongano in maniera radicale alla rotta che si disegna dentro le stanze della COP.