Grecia - Il commento del giorno dopo ancora

27 / 1 / 2015

“Mi si nota di più se vengo o non vengo? E se vengo ma resto in disparte? No, non vengo. Si dai vengo. Non so, ti chiamo dopo”.

Il dilemma morettiano di movimento che aveva caratterizzato le settimane precedenti la tornata elettorale in Grecia si è finalmente dissolto per far spazio ai commenti del giorno dopo, essendoci sottratti per primi al dilemma e per rompere un po’ con i soliti schemi abbiamo evitato il commento a caldo, quelle del giorno dopo, ci proviamo il giorno dopo ancora.

Rompere questa linearità non è solo una pretestuosa scelta editoriale ma definisce un metodo di lavoro che riteniamo adeguato alla fase complessa che stiamo attraversando; se da un lato la velocità con cui cambiano le fasi all’interno della gestione capitalistica della crisi ci costringe a una adeguata capacità di lettura e proposta, dall’altro sentiamo la necessità di non farci trascinare dalle ondate emotive che eventi più o meno dirompenti portano con se.

Non ci è mai interessato festeggiare le vittorie degli altri, né salire su carri di vincitori di partite che non abbiamo giocato.

La vittoria mutilata di Tsipras e della coalizione di Syriza non semplifica il quadro e non definisce modelli da esportare ma sicuramente ci mostra che la macchina dell’establishment ordo-liberale non è perfettamente oleata. Ci sarà sempre un granello di sabbia che se non rompe l’ingranaggio quantomeno lo inceppa.

Tanto si è detto e scritto a proposito di queste elezioni e sicuramente c’è poco da aggiungere dal punto di vista della cronaca. Cinguettii e post hanno adeguatamente descritto in tempo reale gli eventi e gli umori di piazza Propilia.

Non bisogna essere quindi degli arguti scienziati politici e non sono indispensabili studi sulla volatilità elettorale per capire che il voto dato a Syriza rappresenta più una speranza di risposte all’altezza di bisogni materiali  che l’ascesa del comunismo ellenico 2.0 .

L’accordo tra Syriza e Anel per la formazione del governo dopo le consultazioni più veloci cui si sia mai assistito non rappresenta un’azzardata manovra di ingegneria politica né una rinnovata vocazione al realismo politico ma affonda le sue radici in piazza Syntagma. E’ da quella piazza che si sono gettate le basi per quello che appare, agli occhi di noi osservatori esterni, una quantomeno stravagante alleanza.

Piazza Syntagma negli ultimi anni non ha espresso un movimento di “sinistra” ma come tutti i movimenti composti di moltitudini ha visto il coagularsi di un malessere che ha preso molteplici direttrici.

Il minimo comune denominatore di quella piazza è stato sicuramente il desiderio di rompere la gabbia dell’austerità e la necessità di riappropriarsi della Democrazia, nel senso più genuino del termine, non solo come partecipazione ma come protagonismo e queste elezioni vanno viste in continuità rispetto a quelle giornate.

Se da un lato piazza Syntagma ha dato nuova linfa alle esperienze di solidarietà e cooperazione sociale, attivando dei grandiosi laboratori di autogestione e autodeterminazione dall’altro lato ha prodotto delle derive indipendentiste, anti-euro e complottiste ben rappresentate da Anel che tiene insieme nazionalismo e elucubrazioni “penta-stellate”.

Se quindi possiamo sicuramente affermare che senza queste reti diffuse di autorganizzazione non si sarebbe determinata l’anomalia Syriza, altrettanto non possiamo non vedere come anche le formazioni conservatrici abbiano rinnovato una vocazione “sociale” e come le teorie del complotto ordite da fantomatici nuovi ordini mondiali trovano terreno fertile anche al difuori della penisola italica.

L’invito che ci è stato fatto è quello di cambiare le lenti con cui osserviamo il mondo e, fuori da ogni retorica, ci sembra l’unico modo possibile per leggere quanto sta avvenendo in Grecia con Syriza e in Spagna con Podemos.

Cambiare lenti non significa certamente non vedere la contraddizione che porta con sè un’alleanza come quella che si è data nella costruzione del governo greco. I nodi scivolosi son molteplici e non staremo qui ad elencarli ma cosi come non festeggiamo vittorie altrui, non ci sentiamo in dovere di sentenziare sulle scelte dall’alto di scranni ideologici semplicemente perché facciamo un altro mestiere, che non è quello di governare.

Quello che ci interessa è assumere una prospettiva di movimento all’interno di questo scenario, di assumere gli spazi ibridi come terreno di sfida e di costruzione di rapporti di forza, e questo, con tutte le cautele del caso, è l’insegnamento che ci viene dalla Grecia.

La sobrietà dei festeggiamenti di domenica scorsa ci parla di una partita ancora tutta da giocare in cui il protagonismo dei movimenti sociali non è solo auspicabile ma necessario, non c’è da inaugurare una fase dialettica tra movimenti e governo ma da misurare la capacità di dettare un’agenda a partire dal rifiuto dei dettami della Troika alla rinegoziazione del debito passando per una profonda riforma radicale del welfare.

Per questo valeva la pena essere ad Atene in questi giorni, perché se è vero che non abbiamo certamente contribuito alla vittoria elettorale di Syriza abbiamo certamente l’esigenza di invadere il campo e giocare la partita sul terreno europeo.

Per questo varrà la pena essere a Francoforte il 18 Marzo.

Ognuno faccia il proprio gioco.