I partigiani non muoiono mai

Ad un anno dalla morte di Lorenzo “Orso” Orsetti il ricordo dell’Associazione Ya Basta!Êdî Bese! e dei Centri Sociali del Nord-Est tra insegnamenti e prospettive di lotta internazionalista.

18 / 3 / 2020

Ci abbiamo provato Orso, ci proviamo ogni giorno a essere ogni giorno la tempesta da te invocata, ma abbiamo ancora molto da imparare.

È passato un anno da quella tragica giornata di Baghouz, dove all’assalto dell’ultima roccaforte del Califfato Nero Lorenzo Orsetti, nom-de-guerre Tekosher Piling, ha trovato la morte. I miliziani, ormai ridotti a qualche migliaio e stremati dall’incessante offensiva condotta dalle Forze Siriane Democratiche, nelle quali è inquadrato lo Ypg, si lanciavano in un ultimo disperato tentativo di rompere l’accerchiamento. E Orso, da vero guerriero, si trovava lì, a difendere i suoi compagni arabi e curdi, con i quali aveva combattuto diverse e lunghe battaglie. 

La notizia del suo “martirio”, rispettando le logiche culturali della guerra mediorientali, ci ha sconvolto e ci ha lasciato un senso di vuoto che ancora oggi è difficile da colmare. I suoi racconti, le impressioni, le foto hanno riempito per parecchio tempo i nostri social e soprattutto la nostra coscienza rivoluzionaria senza mai cadere al mito del guerriero invincibile o dell’“Unto dal Signore” che portava avanti una missione che solo persone speciali possono compiere. Invece, non è stato così, semplicemente perché Lorenzo ci ha mostrato con estrema umiltà cos'è la violenza della guerra, con tutte le sue sfaccettature più macabre e orribili vissute da lui stesso durante l’invasione di Afrin, ma ci ha insegnato anche che la coscienza rivoluzionaria è qualcosa di più profondo che una bandiera sul muro o un gagliardetto sul petto.

“Noi sognavamo un mondo diverso, un mondo di libertà, un mondo di giustizia, un mondo di pace e un mondo di fratellanza” diceva Germano Nicolini, il comandante Diavolo, eroe della resistenza sull’Appennino emiliano. Non ci stupiremmo se queste esatte parole fossero state pronunciate da Lorenzo nei suoi turni di guardia nel deserto del Nord Siria.

Siamo altresì sicuri che Lorenzo, dopo una vita all’interno degli ingranaggi del capitalismo abbia definitivamente scelto di liberarsi da tutto e scegliere quello che rappresenta probabilmente l’unico spazio in cui è possibile liberarsi interamente. Fare questo tipo di scelta, la più radicale, significa abbracciare un modello di vita totalmente diverso, un modello di condivisione dove vige come principio base quello dell’abbattimento dei privilegi sociali, politici ed economici e anche di classe.

Molti commentatori da tastiera, insieme a opinionisti e politici, i giorni successivi a quel maledetto 18 marzo si sono scagliati contro la scelta di Lorenzo, accusandolo addirittura di individualismo e pronunciando frasi del tipo: “non si va a combattere una guerra d’altri”. L’esempio di Orso ci conduce invece totalmente all’opposto. Il principio della difesa sociale, in Nord Siria, prevede che tutti gli elementi della società si debbano organizzare per difendere sé stessi e la Rivoluzione e che l’autodifesa è una funzione della società e della in tutta la sua complessità.

L’esempio di Lorenzo, accompagnato dai suoi scritti e dalle sue parole, ci ha inoltre chiarito che esiste la possibilità che i rivoluzionari, anche i più politicizzati, debbano superare l’infatuazione per le identità patriottiche di qualsiasi tipo, consegnandoci uno dei più alti principi dell’internazionalismo, dove tutti i rivoluzionari sono pronti a schierarsi al fianco degli altri in qualsiasi luogo del mondo, in qualsiasi momento della storia. 

“E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era radicato per i piedi alle colline. I’ll go on to the end. I’ll never give up.

Lorenzo, come un moderno Johnny, si è lasciato radicare da quelle colline sabbiose del deserto siriano, fino alla fine.

Ciao Orso, non ti dimenticheremo.

Serfketin, fino alla vittoria!

I Compagni e le compagne dell’Associazione Yabasta!Êdî Bese! e dei Centri Sociali del Nord-Est