I robben baron del capitalismo digitale

18 / 8 / 2022

Gilded age

Gli ultimi decenni dell'Ottocento vengono ricordati come l'età dell'oro statunitense. Durante questo periodo, negli USA, alcuni intellettuali si preoccuparono di arginare il rischio generato dal possibile affermarsi (seppure in forma embrionale) del cosiddetto Stato Sociale, che si proponeva come finalità il perseguimento del "bene comune".

Questa possibilità rappresentava una minaccia per i robber baron, ovvero i capitalisti statunitensi di fine Ottocento, che si arricchirono smodatamente sfruttando le risorse naturali, influenzando le sorti elettorali e le scelte dei governi e remunerando i lavoratori con salari ridicolmente bassi. I profitti di questi individui senza scrupoli erano fioriti in un sistema che non prevedeva nessun limite all'economia. Durante questa "età dorata", si è dapprima sviluppato e conseguentemente radicato nella società un fatale connubio tra mentalità calvinista e darwinismo sociale.

Sintetizzando, il darwinismo sociale sembrava confermare la tesi per cui "Dio ha inteso che i grandi siano grandi e i piccoli siano piccoli". 

Non mancavano però opinioni differenti: Henry George riteneva che la diseguaglianza data dal grande divario tra ricchezza spropositata e miseria fosse inaccettabile e che finché essa sussistesse non si poteva parlare di "progresso". L’economista di Filadelfia sosteneva ad esempio la necessità di una tassa sul valore fondiario e – in generale – che tutto ciò che si trovasse in natura appartenesse in maniera egualitaria a tutta l’umanità.

Sempre all’interno del dibattito sviluppatosi alla fine dell’Ottocento, trova spazio l'espressione "consumo vistoso" (si veda ad esempio l’opera del sociologo ed economista Thorstein Veblen, La teoria della classe agiata, 1899), ovvero l'ostentazione costante della propria capacità di spesa, fotografava un atteggiamento che rendeva questo divario ancora più indigesto agli occhi del popolo.

Capitalismo digitale

I gestori delle piattaforme web e social hanno sempre ambito ad uno spazio senza regole, come i robber baron pretendevano di utilizzare un territorio indifeso per i propri interessi. 

Entrambi dichiaravano la legittimità delle proprie aspirazioni, preservando con tutti i mezzi possibili il proprio neocapitalismo da qualsiasi forma di sovranità preesistente. Da un lato, i gestori delle piattaforme web e social asseriscono che l’inedita concentrazione di ricchezza e di dati (quindi di informazioni) sia un risultato inevitabile degli “effetti (della) rete” e mercati dove “il vincitore piglia tutto”; dall’altro gli industriali dell’età dell’oro utilizzavano una retorica darwinista della “sopravvivenza del più adatto” come giustificazione e legittimazione del loro arricchimento ingiustificabile. Entrambe le categorie si collocavano in un contesto caratterizzato da un grande cambiamento dei mezzi di produzione; davanti a loro c’era un territorio incontaminato nel quale creare un nuovo capitalismo senza vincoli.

Convinti che “lo Stato non ha diritto o motivo di interferire col funzionamento dell’economia”, i milionari dell’Età dell’oro si coalizzavano per difendere il “diritto al capitale” e le “leggi della società industriale”.  John Rockefeller sosteneva che la sua fortuna smisurata basata sul petrolio fosse il risultato della “legge naturale dello sviluppo del commercio”. 

Nella teoria del plusvalore o dello sfruttamento del lavoratore di Marx, il plusvalore consiste nella differenza tra il "valore del prodotto del lavoro e la remunerazione sufficiente al mantenimento della forza lavoro". Sappiamo che di questa differenza si appropriano gli imprenditori-capitalisti.

Secondo la sociologa Shoshana Zuboff (Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri, 2019), il cuore del capitalismo della sorveglianza consiste nel "surplus comportamentale": i dati comportamentali raccolti rappresentano più dell'ammontare necessario per migliorare il servizio; questo surplus alimenta l'intelligenza artificiale (attraverso sistemi di machine-learning ma soprattutto di deep-learning). L'intelligenza artificiale rappresenta il nuovo mezzo di produzione che "fabbrica" previsioni sul comportamento degli utenti. I prodotti sono le previsioni generate dalla macchina, per poi essere vendute ai clienti dei "mercati dei comportamenti futuri". 

Capitalismo della sorveglianza

Questa è la logica in cui si muove il ciclo di "reinvestimento del valore comportamentale". Nel capitalismo digitale, noi non produciamo il prodotto, né ci identifichiamo con esso. I prodotti sono le previsioni dei nostri comportamenti. Giorno dopo giorno noi cediamo un'enorme mole di dati, tra cui informazioni appartenenti alla nostra sfera più intima e personale. Spesso tutto ciò avviene senza che ce ne rendiamo conto e soprattutto senza il nostro reale consenso.