Il biocapitalismo nella Terra.

30 / 4 / 2010

Percy Schmeiser e sua moglie erano due agricoltori famosi nel nord america per il loro lavoro decennale di ricerca sulla colza. Un brutto giorno viene denunciato dalla Monsanto per violazione di brevetto: infatti, le sue colture – o, meglio, le piante ai bordi dei fossi – erano risultate contaminate da semi di colza OGM protetti da copyright della multinazionale.

Come racconta lui stesso:

I punti principali della sentenza sul mio caso sono:

1. Non importa come la colza OGM della Monsanto, o la soia o qualsiasi altra pianta OGM entri nel capo di un contadino. Il modo più comune in cui può avvenire è l'impollinazione, o il trasporto dei semi da parte del vento, di uccelli o altri animali. Dal momento che avviene la contaminazione, il raccolto e le sementi non sono più tue.


2. L'intero raccolto dei nostri campi di colza del 1998 è andato alla Monsanto. Il giudice decise anche che non avevamo il diritto di riutilizzare di nuovo le nostre sementi: i semi che noi avevamo impiegato 50 anni a selezionare non sono più nostri. Questo è quello che sconvolge i contadini di tutto il mondo quando gliene parlo: che un contadino che utilizza metodi convenzionali o biologici può perdere tutto da un giorno all'altro.

Il biocapitalismo sulla Terra. Anzi, nella terra. Nell'accezione forse più pregnante che questa parola postmoderna e polisemica può acquisire: la capitalizzazione e lo sfruttamento del bios nella sua materialità primitiva e fondamentale, partendo dalla radice iniziale e più profonda, dal bisogno primario e assoluto per antonomasia. Il cibo e la terra. Storia antica che inizia nel neolitico, da quando l'uomo nei millenni ha sedimentato il sapere, ormai ancestrale, necessario a coltivare la pachamama, la Madre Terra.

Una sapienza, più che una conoscenza.

Dice bene la Federazione dei Coltivatori di Vivaro, che vuole seminare il mais della Monsanto. La loro è una battaglia culturale. È la battaglia della Monsanto, di cui si rendono servi e corifei.

La battaglia per privarci di questa sapienza, della potenza di libertà intrinseca in questo rapporto millenario, tra noi e la nostra terra. O, meglio, tra noi e la terra a cui apparteniamo, perché si tratta di una sapienza unica e peculiare alle diverse terre, che muta lentamente nel tempo e nello spazio, insieme al clima e agli equilibri immensamente complessi e mutevoli tra suolo, acque, vegetazione e specie animali.

Equilibri e sapienza che richiedono, e meritano, di essere parte dell'ecosistema, con rispetto e comprensione. E conoscenza, certo. Che oggi è scientifica e di inaudita potenza e proprio per questo dovrebbe assumere i principi di responsabilità e precauzione, senza per questo esserne impedita. Una assunzione che deriva da una scelta etica, non intrinseca alla scienza che, in sé, facilmente è impiegata nella ricerca di dominio e potenza a breve termine, da impiegare come assets di mercato.

La “battaglia” culturale della Monsanto e delle sue sorelle è invece proprio quest'ultima. La scienza non come epistème ma techne, non come conoscenza sapienziale e comune, ma come conoscenza privata produttrice di una tecnologia finalizzata alla produzione intensiva. Una tecnologia certo raffinata rispetto a quella del neolotico ma pur sempre di una umiliante rozzezza a confronto con l'enorme complessità che il bios ha maturato in miliardi di anni di evoluzione.

La mira della Monsanto non è, naturalmente, la privatizzazione né della terra in sé – che è per lei un puro agglomerato di nitrati e altri composti – né della sapienza millenaria dell'uomo agricoltore tout court1.

L'attacco è più sottile e più profondo (partito nel dopoguerra e perfezionato nella “rivoluzione verde”: monocolture intensive e uso smodato di diserbanti e antigrittogamici2).

Ciò che viene spezzato – colonizzato e globalizzato da una tecnologia standardizzata e arrogante – è il nesso stesso tra la cultura e la coltura: il nesso che permette il dominio della catena alimentare e, quindi, della nostra fondamentale corporeità. A scopo, naturalmente, di capitalizzarne il valore. Un dispositivo complesso e composito, costituito da ricerca privata e pubblica ai più alti livelli, da corruzione istituzionale, legale3 o illegale4, dall'utilizzo selvaggio della proprietà intellettuale, sia per determinare la propria “accumulazione originaria” di materiale genetico – spesso frutto di una semplice espropriazione – sia per drogare ulteriormente le già malleabili regole di mercato.

Oltre che, naturalmente, dalle forme contrattuali virali che Monsanto stipula con gli agricoltori che intendano utilizzare le sue sementi.

La natura di questo contratto è sintetizzata bene da Percy Schmeiser5:

1. Un agricoltore non può mai utilizzare le proprie sementi;
2. L'agricoltore si impegna a comprare sempre le sementi dalla Monsanto;
3. L'agricoltore si impegna a comprare solo i diserbanti chimici della Monsanto;
4. Se l'agricoltore viola questo contratto in qualche modo, e la Monsanto gli fa pagare una penale, si impegna a non parlarne con i media o con i vicini.

Da ciò discendono in modo del tutto ovvio le decisioni della corte che lo trovò colpevole, come abbiamo riportato all'inizio di questo articolo.

La contaminazione da OGM, dunque, ben lungi dall'essere impossìbile o contenuta è in realtà un vero e proprio cavallo di troia (un trojan, nel linguaggio dei virus informatici) scientemente utilizzato dalle multinazionali del biotech per colonizzare, controllare (e appropiarsi de) le colture di interi territori.

Il controllo è sancito dai tribunali ma è operato attraverso veri e propri dispositivi di “Polizia genetica”. Infatti, continua Schmeiser6,

Nel contratto del 2003, poi, è stata aggiunta un'altra clausola: non é più possibile fare causa alla Monsanto per nessun motivo. È impossibile portare la Monsanto in tribunale, questo è il loro contratto standard.
Un altro punto importante: gli agricoltori sono costretti a permettere agli investigatori della Monsanto di ispezionare i loro campi e i loro granai per tre anni dopo la firma del contratto, anche se - per esempio - hanno deciso di coltivare sementi OGM solo per un anno.


Negli Stati Uniti la forza di polizia della Monsanto è la "Pinkerton Investigation Services". Nelle pubblicità della Monsanto si sollecitano gli agricoltori a denunciare il vicino, se sospettano che stia coltivando colza o soia OGM senza autorizzazione. Chi lo fa, otterrà in regalo una giacca di cuoio dalla Monsanto.


Appena alla Monsanto arriva la soffiata, vengono mandati due investigatori per controllare la situazione. Nelle prairies li chiamano "la polizia genetica". I due fanno sapere all'agricoltore di aver ottenuto una segnalazione sulle sue coltivazioni: è una vera e propria forma di intimidazione. Cosa pensate che succeda quando questi investigatori lasciano la casa dell'agricoltore? L'agricoltore si domanderà quale dei suoi vicini l'ha denunciato. Così si arriva ad una rottura dei rapporti tra gli agricoltori, che cominciano ad aver paura di parlare fra loro e a sospettare l'uno dell'altro.


Un altro mezzo di controllo sono quelle che possiamo considerare vere e proprie "lettere di estorsione". Una lettera tipo potrebbe dire una cosa del genere: "Abbiamo motivo di ritenere che lei stia coltivando colza o soia OGM della Monsanto senza autorizzazione. Invece di costringerci a portarla in tribunale lei ha la possibilità di inviarci un pagamento di 100.000 o 200.000 dollari."

[..]

non è possibile "trattenere" gli OGM. Una volta che introduci una nuova forma di vita nell'ambiente non c'è più modo di richiamarla indietro. 
Non è possibile trattenere il vento.

Non è possibile trattenere il trasporto dei semi da parte di uccelli, api e altri animali.

Non è possibile trattenere gli OGM, che si diffonderanno ovunque con la stessa facilità con la quale è avvenuto nelle prairies.

Coltivare gli OGM, o tollerare che essi vengano introdotti nel nostro ambiente, significa di fatto cedere il controllo e il governo dell'agricoltura attraverso un ritorno ad una sorta di mezzadria di stampo medievale, rinunciare alla libertà di determinare cosa deve essere coltivato e dove e, in definitiva, di cosa dobbiamo cibarci.

Quello genetico non è il solo inquinamento risultante dalle colture di OGM – che per di più presenta implicazioni molto più profonde e inquietanti che non la “semplice” presenza di geni modificati in qualche pianta di mais o di soia. Ben lungi dall'essere green, le colture OGM si inscrivono totalmente nel mondo delle monocolture intensive, con un utilizzo massiccio di composti chimici tossici e di macchinari per la lavorazione. Gli effetti collaterali sono noti: inquinamento chimico e inaridimento del suolo, oltre che notevole emissione di gas serra (ma la stessa alterazione del suolo e l'abbattimento della sua capacità generativa autonoma sono una potente causa di aumento della concentrazione di gas serra nell'atmosfera).

Monsanto produceva composti chimici, tra cui diserbanti a anticrittogamici, ben prima di dedicarsi agli OGM. Fu la maggior produttrice del famoso defoliante “agente orange” usato nel Vietnam, di cui nascose la tossicità. In più occasioni alterò i dati e gli studi tossicologici e mentì all'EPA (environmental protection agency) a proposito del potenziale cancerogeno delle diossine e in generale sui livelli di diossine nei propri prodotti7. Al fine, chiaramente, di evitare sia le cause per risarcimento dei danni sia il restringimento dei limiti di legge (la menzogna e l'occultamento come normale politiche commerciali, insomma. Un vero cliché, che non induce a supporre che le strategie di Monsanto e sorelle sia differente quando si tratta di OGM).

Il 70% dei suoi OGM (ed è in possesso di circa il 90% di tutti gli OGM) sono stati modificati essenzialmente per renderli resistenti al round-up – il suo principale antigrittocamico, quasi che Monsanto abbia cominciato a produrre OGM per aumentare vertiginosamente il suo composto chimico di punta il cui utilizzo è un vincolo contrattuale per chi decide di usare le sue sementi.

Decine di migliaia di contadini indiani, indebitati oltre il limite della disperazione con la multinazionale e privati di ogni mezzo di sostentamento per sé e le proprie famiglie lo ingeriscono per suicidarsi, quasi fossero erbacce infestanti da (auto)eliminare dal campo del biocapitalismo. Amaramente ligi fino in fondo al vincolo contrattuale. O forse talmente in miseria da non possedere più null'altro nemmeno per uccidersi.

Vale la pena di notare, per concludere, che le modificazioni genetiche indotte in laboratorio riguardano caratteristiche di interesse commerciale/produttivo e non certamente studiate per un qualche vantaggio alimentare. Si tratta generalmente di rendere le piante in grado o di esprimere autonomamente un'attività antiparassitaria, o di essere resistenti a determinati diserbanti (sempre brevettati dal possessore del seme, come abbiamo visto) o di avere caratteristiche di maggiore conservabilità o lavorazione8.

Inoltre, per ragioni legate ai brevetti, le modificazioni genetiche vengono “timbrate” con geni marcatori resistenti agli antibiotici che trasferiscono questa resistenza alla flora batterica nell'intestino umano che, a sua volta, la trasferisce ad eventuali altre popolazioni batteriche con la conseguenza di rendere sempre meno efficaci le terapie antibiotiche.

Dando ancora la parola a Percy:

Per concludere, perchè ci siamo ribellati alla Monsanto?

Mia moglie ed io abbiamo 72 e 73 anni. Non sappiamo quanti anni abbiamo ancora a disposizione e guardiamo alla cosa in questo modo: come nonno mi chiedo che tipo di eredità voglio lasciare ai miei nipoti.
I miei nonni e i miei genitori mi hanno lasciato un'eredità di terra coltivabile. Io non voglio lasciare ai miei figli un'eredità di terra, aria e acqua sature di veleni. Sono sicuro che su questo sarete d'accordo con me.
Dunque, continueremo a combattere per il diritto degli agricoltori in tutto il mondo di utilizzare le proprie sementi.

Ci saremo tutti perché la terra è dove le radici delle comunità affondano e traggono nutrimento, vigore. È dove nasce il cibo nostro e per i nostri figli, dove dovrebbero fiorire i prati e crescere i boschi delle favole che ancora raccontiamo ai bambini, che ancora vorremo raccontare.

Ci saremo per costruire e difendere la comunità a partire da ciò senza cui non c'è vita: il cibo.

Ci saremo, duri e determinati come il legno degli alberi, per fare tana libera tutti, per affermare il diritto e il desiderio delle comunità di riappropiarsi del territorio e restituirlo alla vita anziché al mercato.

Il diritto e il desiderio di averne cura come un bene comune, per tutti.

1Non si può, tuttavia, non ricordare come migliaia di emissari della Monsanto e delle sue sorelle – così come di molte multinazionali farmaceutiche – setaccino il pianeta in lungo ed in largo alla ricerca di geni da brevettare. Geni spesso individuati studiando le abitudini – e quindi la sapienza – delle popolazioni e degli animali.

2La Monsanto produceva diserbanti e antigrittogamici ben prima di produrre OGM.

3Attraverso il cosiddetto meccanismo delle “porte girevoli”. Ad esempio, l'agenzia USA incaricata della sicurezza alimentare e dei medicinali, la FDA, nel 1992 emanò la regolamentazione relativa ai prodotti transgenici. Il testo fu redatto da Michael Taylor, che era contemporaneamente avvocato della Monsanto e che ne divenne poi il vice-presidente.

4Ad esempio, una seduta speciale del Senato Canadese vertè sulle attività di corruzione sistemica della Monsanto allo scopo di rendere legittimo l'uso di un ormone geneticamente modificato per potenziare la produzione di latte.

5http://www.percyschmeiser.com

6Da una sua conferenza pubblica, riportata su greenplanet.net (traduzione di NexusEdizioni)

7Ad esempio: www.sourcewatch.org/index.php?title=Monsanto,_Agent_Orange_and_Dioxins; oppure, Marie-Monique Robin, “Il Mondo secondo Monsanto”, Arianna Editrice.

8Nel caso della conservabilità, ad esempio, questa si riferisce all'aspetto estetico del prodotto e coincide con un più lento deterioramente delle sue pareti cellulari mentre, al contrario, l'invecchiamento cellualre e il deterioramento delle vitamine continua a ritmi normali. Ne consegue che ci si trova di fronte un prodotto che appare in splendida forma ma il cui potere nutritivo è estremamente ridotto.