Il fumo e la sostanza

di Centro Sociale Cantiere

4 / 5 / 2015

l fumo di un modello Expò convocato in nome del “Nutrire il Pianeta” e nelle mani delle multinazionali che il Pianeta lo affamano.

Il fumo del maquillage last minute utile a coprire i cantieri dagli appalti miliardari non ancora finiti, e tra 6 mesi gia’ in disuso.

Il fumo dell’indignazione di una giunta che dopo avere mandato a casa la partecipazione oggi chiama la cittadinanza a pulire la città, come perfetta occasione per ripulirsi la faccia.

Il fumo delle colonne di fumo dei “leoni” in azione per una oretta di “gloria” concessa da potere e polizie, ed ovviamente altrettanto strumentalmente esaltata da media e commentatori.

La sostanza di un mondo in balìa di interessi multinazionali e di un neo-liberismo feroce e selvaggio in guerra con l’umanità e con l’ecosistema.

La sostanza dei miliardi di euro gettati al vento nella ennesima grande opera solo utile a produrre un po’ di precarietà per tanti, grossi affari per pochi.

La sostanza di una Milano tradita da un laboratorio sociale promesso, fallito un secondo dopo la fine della grande festa arancione di piazza Duomo con la  giunta così solerte nel prodigarsi nella chiamata a “ripulire” Milano quanto nel prodigarsi nell’impresa expo, una mafia di interessi opachi per cui erano semplicemente necessari timonieri presentabili.

La sostanza di costruire reti, laboratori di condivisione di analisi e pratiche e’ un percorso costituente, sicuramente cosa molto meno facile ed esaltante che ‎una pratica di spuria e mediatica “estetica del gesto”.

Sentiamo parlare di “violenza” indicibile, quella che avrebbe subito Milano il 1 Maggio 2015. Ma pochissima indignazione per Klodian, ragazzo, caduto da un ponteggio mentre lavorava a une delle infrastrutture di expo l’ 11 aprile.

Perchè morire nel silenzio e a 21 anni non fa notizia nelle deroghe dei cantieri miliardari, come giustamente ricorda indignato il noto rapper nel mentre tutti cercano di metterlo alla gogna e semplificare ragionamenti irriducibili ai titoli ad uso e consumo del circo mediatico, già in funzione della prossima campagna elettorale meneghina.

E altrettanto meno capacità di indignazione verso un debito che non abbiamo scelto di contrarre, una casta di fatto inamovibile dalle poltrone e sempre intenta a garantirsi e riconoscersi. O nei confronti di una guerra oggi davvero globale e permanente, che indigna oramai pochissimi essendo diventata “normalità”.

Ci permettiamo quindi di affermare serenamente che in una epoca così feroce la “violenza” ci risulta essere ben altra cosa. Delle vetrine del centro non ci interessa molto, se non in relazione al fatto che non ci voleva particolare sagacia a comprendere le immediate conseguenze, nel contesto del primomaggio. Non possiamo che “plaudire” gli “eroi” che hanno imposto le loro pratiche su un percorso condiviso da anni, spezzando l’imponente serpentone della MayDay e mettendo migliaia di persone e la tutela di un intero corteo a rischio in un gioco di “guardie e ladri” e ripetute provocazioni cui non sono seguite reazioni. Utile pratiche di idiozia ed utili idioti, l’elogio alla “intelligente e responsabile” gestione delle forze di polizia ne è la dimostrazione.

Quanto costano quelle vetrine? Quanto 1 minuto di mantenimento della casta delle poltrone della politica italiana? Quanto 1 ora di interessi della voragine del debito pubblico? Il costo delle vetrine è poca cosa, ma vale molto in funzione elettorale, tanto quanto il green washing dell’Expo.

Le tantissime persone in piazza, data la fase e dato il contesto e il clima nei giorni e mesi precedenti la mobilitazione, dimostra che un altro mondo oltre che necessario è ancora possibile. Per questo vale la pena provare, anzichè restare in casa, giudicare, commentare. La relazione possibile in una grande data di mobilitazione è un fattore insostituibile della capacità di cooperare e cospirare assieme. Per questo è necessario scendere in piazza. Ma i percorsi di alternativa, sono prima ed oltre una mera “data chiamata”. E ora che questa data è superata possiamo finalmente tornare a lavorare per produrre relazioni e territori resistenti, piccole o grandi laboratori di alternativa tra i tanti che ogni giorno vedono impegnati fuor di notizia persone ed attivisti intenti a difendersi dalla crisi, dal basso.

Una sostanza di pratiche…altro che fumo!

Note tra “addetti ai lavori” :

Getta fumo chi va affermando o addirittura scrivendo affermazioni del tipo “il blocco nero‎ era innegabilmente lo spezzone piu’ numeroso, dell’intero corteo”. Per noi è e sempre sarà centrale la scommessa della partecipazione, e in tal senso il primo maggio 2015 a Milano è stato un grande esempio di partecipazione con tantissimi giovani in particolare in piazza, a dimostrare che nonostante la depressione qui un movimento ancora c’è. Partecipazione ampia e determinata che nulla ha a che vedere con la residualità di numeri ed irrivendicabilità di pratiche di chi si è voluto “rappresentare” ed è quindi ora rappresentato come “blocco nero”. Lasciamo perdere i numeri al massimo utili a confermare il distintivo di “avanguardie” dei pochi che han deciso di imporre pratiche, e giocare a mettere in gioco la  tutela dei molti.

In relazione a quanto scritto da penne amiche. Non pensiamo il primo maggio sia nè la fine, e tanto meno l’inizio.

Non pensiamo il “blocco nero” abbia “asfaltato i movimenti”, la desertificazione sociale della “società civile”, “americanizzazione” delle forme della partecipazione ma anche della politica, lavoro, scuola, relazioni, culture è questione già nota, e vera ben oltre le soggettività delle reti “di movimento”.

Ancor prima questione più vera per i soggetti classici della “politica” della rappresentanza, partiti e sindacati in primis.

E ci spiace molto vedere come fraterni amici da bravi indiani (metropolitani), cercando giustamente “segnali” nel fumo, finiscano con il fumo negli occhi giudicando il “primo maggio di milano come un inizio”.‎ Con affetto diciamo che in quella giornata non vediamo alcun inizio, se non di Maggio.

Milano come Ferguson, Baltimora? Nello “spettacolo” del primomaggio vediamo il limite di una scelta di pochi molto più vicini all’essere ceto politico più che alle rivolte sociali. E in generale nel “riot per il riot” laddove legittimo in quanto frutto di spontanea e disperata rivolta, vediamo in ogni caso il limite di una società depressa, dove ogni dissenso e sfumatura sono controllati e nientificati. Nulla quindi che ci renda felici. I “sociologi del riot” che citano Baltimora, Ferguson non colgono nulla del contesto, alcuna sfumatura della sottile ma vitale differenza con una societa’ il cui dissenso e’ ridotto al diritto ad attraversare le strisce pedonali con il semaforo verde ed un cartello di carta in mano.

E allora Kobane?!? Ecco ci sembrano assurdi i tentativi di lettura pro o contro il primomaggio di Milano (e i piccoli avvenimenti avvenuti) quale lente da cui leggere le rivolte del mondo. E vergognoso anche solo il paragone. Non è sufficiente l’eco di due botti per portare qui quell’esperienza di resistenza (questa sì suo malgrado eroica) e di autorganizzazione che è il Rojava.

I territori sono di chi li vive. Lo abbiamo detto tante volte, così come lo abbiamo imparato dalla ValSusa. E quindi lo stesso vale per ogni territorio.

Il conflitto e il consenso sono nodo centrale, da indagare ogni giorno, per quanto ci riguarda. La degna rabbia, come dicono in Chiapas, si organizza, si riunisce, si parla, si rispetta: la rabbia degna costruisce le fondamenta di un mondo nuovo.

Infine, non siamo per nulla stupiti. Che il limite della fase lo conoscevamo gia’. Cercando di superarlo ogni giorno, occupando, resistendo, producendo. Dal basso provando a darci futuro seminando alternative, a questo mondo di merda.

Oltre l’ipocrisia, per noi il primomaggio è stato una data “dovuta”, in un processo che purtroppo abbiamo constatato direttamente da tempo come poco interessante. Anche evidentemente nella noia e tedio delle assemblee “verso”, chiuse su piccole logiche e prive di quella energia, forza e potenza capace di dirompere verso qualcosa di “oltre”, utile e nuovo. Come invece accade nelle migliori occasioni, quando l’onda sale e travolge…

Una proposta “oltre”, “alter” più che contro ci pareva già da anni una strada più interessante. Ma tant’è le cose sono andate diversamente. E nulla è definitivo.

To be continued…

Siamo una comunità ampia e il dibattito è in divenire.

Centro Sociale Cantiere