Il Mose non salverà Venezia

Riflessioni a un anno dall’aqua granda che ha travolto Venezia

12 / 11 / 2020

È passato un anno dall’aqua granda che ha travolto Venezia. Quei 187 centimetri di terrore rimarranno impressi nella memoria, simbolo di un’epoca oscura che non si sta avvicinando, è già qui, e alla quale nessuno ha voluto contrapporre misure di prevenzione o di contenimento. Nella memoria infatti sono rimaste fissate anche le parole del sindaco, disgraziatamente riconfermato in carica due mesi fa: «sono evidentemente questi gli effetti dei cambiamenti climatici. Adesso si capisce che il Mose serve». Il Mose. Il Mose serve. Il Mose salverà Venezia. Forse è meglio fare un passo indietro per smontare questo castello di bugie.

La “brillante” idea del Modulo Sperimentale Elettromeccanico, meglio conosciuto come MoSE, risale ai mirabolanti anni ’80 ma solo nel 2003 sono iniziati i lavori di “distruzione della laguna”. Vent’anni di polemiche per decidere il più inutile e costoso progetto di salvaguardia, vent’anni di lavori e di proteste in attesa della sua - ancora non definitiva - realizzazione. Oggi, dopo tre utilizzi riusciti in modalità stress-test, abbiamo assistito alle parole di trionfo di quanti in questi quarant’anni si sono prodigati, anche e soprattutto illecitamente, per la sua realizzazione. Parole riprese con enfasi da tutte le principali testate giornalistiche: il Mose ha già salvato Venezia. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Siamo sicuri che un’opera statica piantata sul fondo di un ecosistema fragile e in continua mutazione come una laguna possa mettere la parola fine al problema dell’acqua alta?

Delle traversie giudiziarie e realizzative ormai sappiamo quasi tutto: fiumi di denaro pubblico sperperati in un’opera nata obsoleta, altri fiumi, si parla di un miliardo di euro, rubati dalle tangenti servite per far approvare il progetto dai politici e di conseguenza farlo accettare all’opinione pubblica; e poi le forzature politiche nonostante il parere negativo del VIA nel 1998, gli esorbitanti e inaccettabili costi di gestione e manutenzione (300 mila euro ogni alzata, 100 milioni di euro all’anno di manutenzione ordinaria), i difetti strutturali, la “scoperta” che l’acqua salsa arrugginisce le strutture di ferro e non ultimo la resistenza degli esseri viventi marini come i “peoci” che, attaccandosi alle paratoie, hanno prodotto non pochi danni e rallentamenti ai lavori. L’elenco dei difetti strutturali è infinito ed è preoccupante dal momento che si sono presentati ad opera non ancora ultimata, grave presagio di ciò che potrebbe succedere tra qualche anno.

Tuttavia, i motivi per cui il Mose è profondamente sbagliato a mio avviso sono altri due: da un lato infatti quest’opera è simbolo di una concezione capitalista della natura e della vita che crede, in modo arrogante e presuntuoso, di poter sfidare la natura stessa, di poter mettere a profitto perfino le calamità naturali, di poter sfruttare e devastare un territorio senza pietà e di poter infine controllare le drammatiche conseguenze negative generate; dall’altro lato, per la prima volta nella millenaria storia di Venezia e della sua laguna, l’acqua viene trasformata da forza generatrice e protettrice della città a nemico da combattere e da espellere dalla città stessa.

Chi mastica un po’ di storia di Venezia sa benissimo che già nell’alto medioevo le popolazioni che abitavano nei dintorni della laguna trovavano rifugio nelle isole tra aqua e tera all’arrivo dei barbari invasori ed era proprio la difesa naturale dell’acqua a rendere quelle isole luoghi sicuri dove attendere la fine delle invasioni. Sa benissimo che Venezia deve la sua grandezza e la sua bellezza proprio a quell’acqua che oggi tanto odiamo e consideriamo nemico da combattere: senza l’acqua, la possibilità di intraprendere commerci, di viaggiare, di scoprire e di conquistare, Venezia non sarebbe mai diventata una potenza mondiale nel Medioevo, lasciandoci in eredità un gioiello prezioso ma molto delicato. Nel periodo più florido della Serenissima, i veneziani seppero proteggere con cura la laguna, intervenendo dove c’era necessità e sempre nel rispetto dell’ecosistema naturale, considerato fondamentale per la grandezza della città. Verso la fine della Repubblica, nel XVI secolo, furono anche istituiti dei magistrati appositi, i Savi ed Esecutori alle Acque, tre senatori che non potevano essere patrizi né avere beni e interessi in laguna e duravano in carica due anni. Insomma la cura e la protezione della città è sempre avvenuta mettendo al centro la vita della laguna, dalla quale tutto dipendeva: Venezia senza acqua sarebbe morta. E allora perché oggi riteniamo l’acqua il nemico di Venezia? Fondamentalmente per celare una cosa ovvia che a Venezia diventa ancora più chiara e simbolica, vale a dire che il vero nemico della città è il sistema capitalista che sfrutta e devasta i territori per il proprio accumulo sconsiderato di profitto.

Il fenomeno dell’acqua alta è un fenomeno naturale che è influenzato da vari fattori, quello meteorologico, quello astronomico, dall’eustatismo (innalzamento del livello medio dei mari), dalla subsidenza (lo sprofondamento del suolo) e... dall’azione dell’uomo. Cosa vuol dire? Che questo fenomeno, per come lo conosciamo e soprattutto con la drammatica frequenza che conosciamo è un fenomeno contemporaneo, perché appunto è stato l’intervento dell’uomo sui territori (non solo sulla laguna) a moltiplicarne la frequenza e a renderlo il grave problema che è oggi. Di ciò che succedeva nell’antichità non abbiamo informazioni certe, ma dal 1870 abbiamo la possibilità di confrontare il numero di alte maree superiori a 110 cm sul l.m.m.: ebbene, guardando i dati disponibili possiamo osservare come il numero di maree annuali sia cominciato a crescere dal 1960 in poi, periodo in cui sono iniziati grandi lavori di trasformazione della laguna per lo sviluppo della zona industriale di Porto Marghera: lo scavo del Canale dei Petroli - un’autostrada che facilita l’ingresso dell’acqua in laguna - la contemporanea bonifica di alcune aree limitrofe a Porto Marghera che hanno sottratto spazio di propagazione all’acqua all’interno della laguna, i pompaggi industriali che hanno fatto crescere il fenomeno della subsidenza, sono tutte concause di queste maree eccezionali e della loro frequenza.

No MOSE

A queste azioni legate direttamente ai cambiamenti del territorio, vanno aggiunti poi i cambiamenti climatici responsabili, secondo il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) dell’ONU, dello scioglimento dei ghiacci polari e del conseguente innalzamento dei mari. A Venezia questo si traduce in un innalzamento di 35 cm del livello del mare dal 1870 al 2016 (quasi 2,5 mm all’anno), buona parte dei quali imputabili proprio ai cambiamenti climatici. Non solo, i mutamenti climatici stanno producendo eventi atmosferici sempre più estremi, come la terribile giornata del 12 novembre scorso con acqua alta eccezionale accompagnata da piogge torrenziali e vento di scirocco oltre i 100 km/h che ha spinto per ore l’acqua dentro la laguna.

È proprio su questo punto che si muove parte della critica da parte degli ambientalisti che da oltre vent’anni sono contrari all’opera: le dighe mobili, nonostante il loro nome, sono statiche, ancorate al fondo della laguna e per questo non concepite per adattarsi all’ulteriore previsto innalzamento dei mari e a un ecosistema in continuo mutamento per sua stessa natura; inoltre, non ci sono certezze sulla sua tenuta in condizioni meteorologiche estreme. Come sostiene il Comitato No Grandi Navi «saranno i cambiamenti climatici ad affondare il Mose»: nel giro di qualche decennio, la “grande opera di ingegneria idraulica” non sarà più utile per lo scopo per la quale è stata costruita. Se le previsioni del IPCC dovessero avverarsi, entro il 2100 i mari si alzeranno di un metro e questo dapprima porterà ad un uso intensivo del Mose (se mai troveranno i soldi dal momento che ogni alzata costerà 300 mila euro) che causerà la morte di tutte le attività produttive e della laguna stessa per il lungo isolamento dal mare. Infine quell’ammasso di ferro e cemento giacerà abbandonato sul fondo della laguna e di lui resterà solo il triste ricordo di come ignobili sciacalli hanno barattato la salvaguardia della città per il profitto.

In un mondo che va alla deriva, in cui i cambiamenti climatici sono qui ed ora un’opera come il Mose difende gli interessi del capitale permettendo di sfruttare la “gallina dalle uova d’oro” Venezia, fino a quando l’inevitabile innalzamento dei mari la farà affondare per sempre. Gli interessi di salvaguardia della città e dei cittadini invece non sono contemplati in questo piano proprio perché è dallo sfruttamento intensivo di uomini, territori e risorse che il capitale ottiene i suoi profitti lasciando dietro di sé solo morte e distruzione. La salvezza di Venezia quindi non passa da grandi opere come il Mose ma dal ripensare al nostro rapporto con la natura e l’ambiente. Abbiamo il dovere di fermare questa assurda corsa verso l’auto distruzione mettendo al centro del nostro vivere comune non l’economia (una delle tante stupide invenzioni umane), non i profitti, non gli interessi dei privati e delle corporations criminali, ma la difesa di questo nostro Pianeta in tutte le sue forme di vita. A cominciare dai territori dove viviamo, opponendoci non solo alle grandi opere che nella quasi totalità delle volte sono inutili, ma a questo modello estrattivista che si presenta in modi differenti da luogo a luogo ma che produce lo stesso drammatico esito: “terricidio”. Se abbiamo a cuore il futuro di Venezia, se non vogliamo dover affrontare giornate terribili come quella del 12 novembre scorso, abbiamo il dovere di continuare a essere “no mose”, a criticare, a vigilare, a pretendere altre soluzioni compatibili con l’ecosistema e più utili. Perché il Mose non salverà proprio niente.