da Il Manifesto 12.06.2010

Il Porto sequestrato

Dalla zona rossa di Genova 2001 alle barriere per fermare gli immigrati clandestini che sbarcano ad Ancona. Una pubblicazione dell'Ambasciata dei Diritti marchigiana svela i collegamenti tra le politiche securitarie e le responsabilità del governo

14 / 6 / 2010

Fra poche settimane, a luglio, saranno trascorsi nove anni dalle giornate genovesi del G8. Allora, per la prima volta, una intera città e migliaia di persone fecero i conti con la "zona rossa". Un concetto all'epoca sconosciuto, ma che a partire dall'estate del 2001, divenne un modello di controllo sociale e territoriale ben preciso. Da Genova le zone rosse si sono moltiplicate a dismisura e ormai, in nome della "lotta al terrorismo" e di un perverso concetto di "sicurezza", formano parte del nostro tessuto urbano, con l'acquiescenza di gran parte dei cittadini. Un esempio ci arriva da Ancona. Qui, come abbiamo più volte raccontato su questo giornale, anche recentemente, il luogo simbolo della città, il cuore della sua identità storica e civica, il porto, è da tempo stato "violentato", divenendo zona off limits, tramite una barriera metallica che ne delimita i confini.

E di fronte a questo vero e proprio scempio, la comunità locale si è adattata, senza nessun segnale di indignazione, come ipnotizzata da coloro che hanno ripetuto il leitmotiv che caratterizza sempre la creazione delle zone rosse: necessità dettate dalle esigenze di "sicurezza". In questo caso si tratta di "antiterrorismo", in altri il pretesto sono i "clandestini", e così via in quel vero e proprio "manuale dell'ordine pubblico" che fa dei luoghi e di chi li abita, territori sottratti alle relazioni sociali, in una logica sempre più securitaria. Dunque sono state poche le voci che si sono levate per denunciare questa situazione.

Tra queste quella de "L'Ambasciata dei Diritti" che da tempo è un prezioso "occhio" sulla violazione dei diritti dei migranti che quasi quotidianamente vengono, il più delle volte, respinti senza che ci possa essere una effettiva possibilità di dare asilo e accoglienza a chi fugge da guerre e povertà. Ricordiamo che un anno fa, nell'ambito delle mobilitazioni a livello nazionale in concomitanza con il G8 a L'Aquila, l'Ambasciata, i centri sociali della regione e altri soggetti associativi, diedero vita ad una bella manifestazione che per la prima volta violò la "zona rossa" del porto. Oggi una nuova occasione di denuncia sulla situazione in cui so trova lo scalo marittimo di Ancona, viene dall'uscita di una pubblicazione frutto del lavoro d'inchiesta che "l'Osservatorio faro sul Porto", emanazione de l'Ambasciata, ha condotto da maggio 2009 ad oggi.

L'inchiesta

"Il Porto sequestrato" è il titolo del quaderno "Faro sul porto n°1", a dimostrazione di un lavoro di indagine che proseguirà nel tempo anche sul piano editoriale. Due sono gli aspetti del testo che, ci sembra, valgono la pena mettere in risalto: l'analisi delle leggi che regolamentano, a partire dall'11 settembre, le norme antiterrorismo a livello internazionale, anche per quanto riguarda i porti, e le critiche al ruolo, perlomeno discutibile, del Cir (Consiglio Nazionale Rifugiati, emanazione del ministero degli Interni), nel monitorare il flusso dei migranti che arrivano dalle navi provenienti dalla Grecia. Per quanto riguarda il primo aspetto, in questi anni di fronte alle voci, poche, che hanno protestato per il vero e proprio sequestro del porto, come recita il titolo della pubblicazione, le autorità preposte, civili e militari, si sono giustificate rimandando alle normative internazionali. E il lavoro dell'Osservatorio ha il merito di analizzare le leggi vigenti. «Nel 2004 l'Organizzazione Marittima Internazionale (Imo) ha dettato un nuovo regime di sicurezza globale che l'Unione Europea ha fatto proprio attraverso il regolamento n.725/2004 del 31 marzo 2004, relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali» a cui sono susseguite altre norme per migliorare la sicurezza dei porti.

La legislazione specifica che «gli incidenti di sicurezza conseguenti agli atti di terrorismo sono le minacce più gravi per gli ideali di democrazia, di libertà, e di pace che rappresentano l'essenza dell'Unione Europea». Altro aspetto decisivo è la classificazione dei porti marittimi nazionali. La legge individua le seguenti categorie: la I, cioè porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato; la categoria II classe I, porti di rilevanza economica internazionale; la categoria II classe II, equivalente a porti di rilevanza economica nazionale e infine la categoria II classe III, porti di rilevanza regionale ed interregionale. Il porto di Ancona è stato classificato nella categoria II, classe I, cioè come scalo di rilievo internazionale. In un anno transitano più di un milione e mezzo di passeggeri su rotte di collegamento con Croazia, Albania, Montenegro, Grecia e Turchia.

Le barriere metalliche

Delineato sinteticamente il quadro generale, che nel testo de L'Osservatorio è ovviamente più ampio, vediamo l'aspetto che ci sta più a cuore, quello della sicurezza. «I dispositivi di sicurezza - prosegue "Il Porto sequestrato" - che sono presenti sull'area portuale nascono da una precisa ed intenzionale valutazione che la Conferenza di servizi per la sicurezza portuale fece non solo per adeguarsi alle indicazioni internazionali, ma anche per garantirsi finanziamenti corrispondenti la classe di appartenenza del porto, ossia la prima. Ovviamente un porto "più sicuro" è un porto più qualificato». E veniamo al nocciolo della questione, la scelta di edificare le barriere metalliche, delimitando gran parte dell'area portuale. Analizzando i capitoli dedicati dalla legislazione a questo aspetto, L'Osservatorio rileva che «dall'analisi del decreto (nel testo sono riportati con cura tutti i vari paragrafi dedicati all'argomento ndr) non sono specificate chiaramente le misure strutturali che devono essere create per la messa in sicurezza del porto, ma vi è un generico rimando all'individuazione e valutazione dei beni e delle strutture che è importante proteggere. Viste le dimensioni limitate della parte storica del porto di Ancona, è chiaro che le parti da proteggere coincidono con il porto stesso».

Però, denuncia l'Osservatorio, «in nessuna parte del decreto si fa menzione di reti metalliche e delle loro dimensioni». È bene sottolineare che l'attuale progetto sicurezza del porto anconetano è completamente secretato in mano alla Polizia di frontiera e alla Capitaneria di Porto, con una sala in cui sono disponibili tutte le immagini e le registrazioni, grazie alle telecamere poste sull'area portuale. A realizzare i lavori del progetto è stata una ditta accreditata dalla Nato. Ritornando alle reti metalliche giustamente si mette in evidenza come oltre a deturpare il paesaggio, sono inutili dal punto di vista della sicurezza dato che esiste già una barriera naturale formata dalle mura storiche che hanno sempre delimitato l'area portuale, pur senza impedire un legame stretto con il resto della città, grazie alle porte realizzate nel tempo. Lo stesso decreto mette in guardia sul pericolo di danneggiare la fruizione dell'area portuale da parte dei diversi visitatori: «...tali procedure devono tenere conto delle specificità di determinati gruppi di utenti del porto, consentendo misure specifiche per limitare l'impatto negativo dei requisiti di controllo e di accesso». Ed elenca le categorie di persone che non devono essere limitati nel potere accedere nell'area: «Funzionari pubblici, coloro che vi lavorano o vi si recano abitualmente, residenti del porto e lavoratori o visitatori occasionali». Praticamente tutti.

I profughi e il Cir

A conclusione di questa disamina, l'Osservatorio sottolinea come, per giustificare «il delirio securitario, si sia paventato il pericolo di declassamento del porto, ma in nessuna legge da noi analizzata è descritta tale ipotesi» visto che «l'appartenenza ad una classe piuttosto che ad un'altra è legata esclusivamente al traffico merci e passeggeri del porto. Il piano sicurezza non c'entra nulla». Ma qualcuno ci guadagna. E veniamo all'altra problematica della pubblicazione su cui vogliamo soffermarci. La questione dell'arrivo dei profughi e il ruolo del Cir. C'è da dire subito che le critiche avanzate nel testo non sono dirette ai singoli operatori che, tra mille difficoltà, svolgono il loro lavoro, ma alla funzione oggettiva svolta dal Consiglio Nazionale Rifugiati.

«La presenza del Cir dovrebbe essere indipendente, come tutela nei confronti dei migranti che troppo spesso subiscono decisioni illegittime e discrezionali della Polizia di Frontiera. Ma ciò non accade in quanto lo stesso organo di garanzia rappresenta un diretto contraente del ministero dell'Interno». Una volta che i profughi sono stati "accolti" dalla polizia, sulla banchina dovrebbero esserci gli operatori del Cir ma, denuncia l'Osservatorio, questo non avviene per i limiti dello sportello preposto che «deve confrontarsi con le criticità strutturali a causa delle ridotte risorse che il ministero gli destina». In assenza di un minimo di assistenza, i migranti rimangono in balia delle forze di polizia. Inoltre la presenza del muro metallico, impedisce ai profughi di arrivare autonomamente negli uffici del Cir, come accadeva prima.

"Il Porto Sequestrato" denuncia anche gli scarsi organici della sezione anconetana del Consiglio che è composta da tre persone a tempo pieno e due part time che coprono l'orario d'ufficio da lunedì a venerdì, mentre il fine settimana l'ufficio rimane chiuso e un operatore di turno è reperibile, ma può essere contattato dalla Polizia di Frontiera se lo ritiene opportuno. Una discrezionalità che è tutto un programma. Inoltre, come più volte documentato, gli operatori hanno un tempo limitatissimo per ascoltare i migranti, con tutte le conseguenze che sono tristemente note. In questo contesto viene evidenziata l'importanza che avrebbe un presidio veramente indipendente di accoglienza, ascolto e informazione per i tanti "dannati della terra" che giungono nel porto di Ancona, come in tutti gli altri. Rivolgendosi al Cir del capoluogo regionale, l'Osservatorio auspica che il personale «si faccia carico di denunciare ed eventualmente contrastare, le illegittimità e gli abusi nel trattamento dei migranti».

Sergio Sinigaglia