Il primo "decreto Salvini" è parzialmente incostituzionale

La norma che preclude l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo viola l'articolo 3 della Costituzione

10 / 7 / 2020

È parzialmente incostituzionale il primo decreto Sicurezza voluto da Matteo Salvini nel dicembre 2018 quando era ministro dell’Interno. A stabilirlo è stata ieri la Corte costituzionale, che ha esaminato oggi le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Milano, Ancona e Salerno sulla disposizione che preclude l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, introdotta con il primo “Decreto sicurezza” (dl n. 113 del 2018).

Si tratta di una importante vittoria, sia sotto i profilo giuridico che politico, che legittima una battaglia portata avanti per mesi dal movimento degli Indivisibili. Movimento che, dopo aver portato in piazza oltre centomila persone a Roma contro il primo “decreto Salvini”, ha fatto numerose iniziative in diverse città italiane per il diritto alla residenza e all’iscrizione anagrafica

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Consulta ha diramato ieri una nota in cui si afferma l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti.

Tra gli avvocati che hanno partecipato all’udienza di ieri c’era anche Paolo Cognini, del Foro di Ancona. Questo il suo commento al termine dell’udienza:

«I difensori hanno riassunto le motivazioni sulla base delle quali si ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia fondata, vedremo adesso la Corte che cosa deciderà e le valutazioni che esprimerà in sentenza. Devo dire che allo stato attuale trovo da un lato sconcertante le argomentazioni introdotte durante la discussione dall’Avvocatura dello Stato, e dall’altro che le stesse argomentazioni confermano invece proprio la validità delle ragioni poste a fondamento della questione di legittimità costituzionale.
L’Avvocatura dello Stato ha ribadito, a mio avviso, che la condizione del richiedenti protezione viene vista come una condizione interstiziale posta ai margini del mondo del diritto, e quindi una condizione che contrasta nettamente con le disposizioni e le normative interne e internazionali. Proprio sulla base di queste argomentazione emerge in realtà la finalità vera della disposizione che è in discussione, cioè quella di costruire una dinamica di minorazione sociale ai carico dei richiedenti protezione e utilizzare questa condizione di minorazione sociale come elemento di pressione e di "punizione" per l’esercizio di un deflusso nelle richieste di protezione internazionale.
Quindi le decisioni che assumerà la Corte Costituzionale sono molto importanti perché oltre appunto ad una valutazione tecnica-giuridica sulla compatibilità della norma con la nostra Carta Costituzionale, avranno anche una diretta influenza sull’approccio culturale e giuridico con cui ci si rapporta alla condizione dei richiedenti protezione che può essere vissuta in due diverse modi: condizione necessaria, tutelata, garantita che consente di tutelare e garantire allo stesso tempo l’istituto della protezione internazionale in quanto tale, oppure condizione di mero passaggio che va sottoposta a "punizione" e a discriminazione.
Aspettiamo speranzosi che la Corte Costituzionale accetti le motivazioni in senso stretto affermando l’illegittima costituzionale della norma, o comunque in senso ampio dando un’interpretazione delle disposizioni che in ogni caso garantisca in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale il diritto dei richiedenti protezione all’iscrizione anagrafica».