Il reato che non c'è

8 / 4 / 2015

La tortura è un metodo di coercizione fisica o psicologica messa in atto con il fine di punire o di estorcere informazioni o confessioni.
Questa finalità si può dire perseguita solo se il torturatore è un soggetto sovraordinato che agisce in quanto detentore della funziona pubblica: la tortura attiene al rapporto tra custodi e custoditi.
Il 10 giugno 1984 è stata adottata una Convenzione ONU, entrata in vigore tre anni dopo, “contro la tortura e contro pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti”.
Tale Convenzione prevede, alla luce di quanto detto prima, che la tortura sia considerata un delitto del pubblico ufficiale e chiede che agli stati membri di assolvere a dati adempimenti:
Comprendere nel proprio ordinamento il reato di tortura;
Punire questo reato con pene adeguate a seguito di indagini rapide e imparziali su ogni caso, senza eccezioni;
Non usare le dichiarazioni rese sotto tortura come prove nei processi, con la sola eccezione che il processo sia a carico del torturatore e che le dichiarazioni servano a provano i fatti a suo carico;
Riconoscere alla vittima e ai suoi famigliari un risarcimento per il danno psico-fisico e sociale .
A oggi l’Italia deve ancora adempiere agli obblighi assunti con la ratifica della Convenzione. E di questo nessuno si stupisce.
A dire il vero, in questi anni, molti sono stati i tentativi di introdurre nel nostro ordinamento questa fattispecie di reato.
Il primo tentativo è stato nel 1989, gli altri si sono susseguiti dal 2000 in poi. Che al governo ci fosse la destra o la sinistra, il risultato è sempre stato di mancate approvazioni o di insabbiamenti.
Così, a conti fatti, manca un’attuazione dell’art 13 della nostra Costituzione che prevede che venga punita ogni violenza fisica o morale a danno di persone sottoposte a restrizioni della libertà personale.
Questo vuoto è stato rilevato non di rado; l’ultima volta è stato da parte degli stessi giudici chiamati a presiedere i processi per le violenze perpetrate durante il G8 del 2001 di Genova, alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto.
In riferimento ai fatti accaduti in quei giorni, ricordiamolo, Amnesty International si è espressa con parole dure scrivendo che “è stato accantonato lo Stato di Diritto”, che le vessazioni erano “continue e diffuse in tutta la struttura”, che Bolzaneto è stato trasformato in un “carcere provvisorio in uno stato di soverchiante ostilità”.
I giudici chiamati a esprimere una sentenza su questi fatti hanno chiesto alla Suprema Corte di poter far ricorso al reato di tortura, anche se non presente nel nostro Codice Penale, per evitare di incorrere in varie prescrizioni -come poi è avvenuto- e dare una risposta proporzionata rispetto ai fatti che erano chiamati a giudicare.
Ovviamente, come avviene in questo Stato ogni volta che si vuol far funzionare la giustizia come essa stessa prescrive, la richiesta non è stata accolta.
Tutte queste ragioni hanno dato una nuova determinazione ai movimenti e ai gruppi politici stufi di dover abbassare la testa di fronte a un sistema giudiziario che riesuma vecchi capi di imputazione fascisti per punire dieci manifestanti e si dimostra nuovamente cieco di fronte ai soprusi perpetrati da parte del braccio armato dello Stato.
Così, il 6 marzo 2014, il Senato si è trovato a dover esprimere un parere sul DDL Manconi –che porta il nome del Presidente della Commissione per i Diritti Umani del Senato-, nato proprio grazie a questa nuova linfa e tenuto in vita anche dalla vergogna di non poter abortire nuovamente un disegno di legge in tema di tortura.
Dopo esser stato rivisto ed emendato dalla Commissione Giustizia, il ddl è stato approvato all’unanimità.
Il testo licenziato prevede l’introduzione nel Codice Penale degli articoli 613bis -per il delitto di tortura- e il 613ter –che incrimina il pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto.
E’ previsto il carcere da 3 a 10 anni per chiunque cagioni acute sofferenze psichiche o fisiche a una persona privata della libertà o affidata alla sua custodia, autorità, assistenza, cura o potestà.
Se a torturare è un pubblico ufficiale o un incaricato al pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni, è prevista una specifica aggravante e la reclusione va dai 4 ai 12 anni.
Se si causano lesioni personali, la pena aumenta di un terzo se gravi e della metà se gravissime.
E’ previsto l’ergastolo in caso di morte del torturato.
E’ vietato inoltre estradare, respingere o espellere una persona verso uno stato nel quale esistano seri motivi di ritenere che questa rischi di essere sottoposta a tortura.
Non sono valide le dichiarazioni rese sotto tortura ma nulla si dice in riferimento alla previsione dell’esclusione della prescrizione.
L’Unione delle Camere Penali Italiane, lo stesso On. Manconi e i Movimenti sociali attivi sul territorio si sono detti insoddisfatti. Insoddisfatti perché il DDL risulta ampiamente devitalizzato e minato nella sua struttura.
Questo perché il reato di tortura è previsto come reato comune e non come reato proprio. Un reato è proprio quando può essere commesso solo da chi riveste una determinata qualifica o posizione idonee a porre il soggetto in una speciale relazione con l’interesse tutelato. Ignorando ciò, ci si dimentica anche che gli unici soggetti titolati a privare un cittadino delle sue libertà personali sono gli incaricati al pubblico servizio: è alla correttezza del loro operare che l’impianto del DDL si rivolgeva.
A nulla serve che le Istituzioni si giustifichino dicendo che vogliono estendere il raggio di azione di questa previsione penale ad altri ambiti in cui un soggetto può trovarsi in condizioni di restrizioni della propria libertà: esistono già articoli del codice penale, oltre che ad aggravanti specifiche, volte a tutelare soggetti in queste situazioni; la verità è che per fare le leggi servono le palle, e che per svuotarle del principio mantenendo in vita solo una norma serve fantasia. Con la seconda ci si può immaginare di avere pure le prime.
Come se ciò non bastasse, viene detto che perché si dia la fattispecie di tortura l’atto deve essere reiterato: ma quali atti? E quante volte?
Cosa ce ne facciamo effettivamente di questo reato se ne svuotiamo la funzione di contrasto agli arbitrii di potere e se ne depotenziamo la prospettiva e la finalità, malgrado la previsione dell’aggravante? Ci puliamo la coscienza e andiamo avanti. Come sempre abbiamo fatto.
Non serve un genio per capire che questo reato, così come è previsto, non risponde nemmeno a quanto è stato riconosciuto essere necessario dai Giudici della Diaz e di Bolzaneto. Per farvi un esempio, il singolo piercing al capezzolo strappato con le pinze non basterebbe ancora a configurare la fattispecie di reato. Inoltre, essendo la responsabilità penale personale, nemmeno dieci piercing strappati da 10 diversi agenti nello stesso contesto basterebbero.
Il testo deve ancora passare alla Camera: dopo 25 anni di inadempimenti, pare che possiamo permetterci ancora di perdere tempo.
Intanto, proprio oggi La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz. I giudici hanno dichiarato all’unanimità che è stato violato l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani sul “divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”.
Inoltre la Corte ha concluso che l’articolo 3 della convenzione è stato violato anche a causa di una legislazione penale inadeguata, visto che ancora dobbiamo metterci in pari con quanto ci richiede la comunità internazionale.
Se rispondere al buon senso e ai principi fondamentali di diritto finora non sono stati una motivazione sufficientemente allettante, di certo dovrebbero esserlo una conclamata perdita di credibilità e il rischio di incorrere in sanzioni a costringerci ad agire.
E’ solo da una vita che aspettiamo. Una vita moltiplicata per tutte quelle degli uomini e delle donne che hanno sofferto l’ingiustizia di un braccio armato nascosto da un guanto di reati che sulla carta non esistono ma che continuano a ferire nel corpo e nello spirito.
Tenetevi aggiornati sulla questione, ma se intanto cercate un riscontro nel codice penale:
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta alla giustizia
che non c’è.
Tratto da: