A un passo dal sogno indipendentista,
succubi del governo Berlusconi. I leghisti schiumano rabbia da
settimane: l'unico partito sopravvissuto alla Prima Repubblica oscilla
impazzito fra Roma e Milano. Nessuno lo può ammettere, ma il default
dell'Europa farebbe felice la Padania. Da più di vent'anni il vero
obbiettivo è la Repubblica del Nord, libera nell'autodeterminazione dal
resto dell'Italia. Lo zoccolo duro dei militanti vuole soltanto questo.
Si chiamò secessione, è diventato federalismo: in realtà, da Torino a
Udine i veri leghisti accarezzano il salto finale nello «stato verde».
Paradossalmente, proprio
nel momento in cui va in pezzi Maastricht e il Quirinale supplisce ogni
manovra, Bossi s'insudicia nel tradimento dell'orgoglio «nordista». Non
vale più nemmeno lo schema della Lega di lotta e di governo né la
«rivoluzione» in mezzo al guado. Perché è andato in tilt, soprattutto a
Nord Est, il gioco degli specchi con il berlusconismo.
La
Serenissima Liga (fondata nel 1979 al congresso di Recoaro dai pionieri
che saranno le prime vittime di Bossi) è di nuovo succube del Carroccio
lombardo, che questa volta sconta fino in fondo la consunzione del
leader maximo. Il popolo verde del Veneto - fuori e dentro le urne - è
sempre stato un imprevedibile impasto di primitivismo e nostalgia,
anti-statalismo e mito dei dogi, fai-da-te comunitario e gestione del
«contropotere». In origine, bastavano le scritte a caratteri cubitali
«Forza Etna!» nei viadotti autostradali. Poi è arrivato il commando del
tanketo che assalta il campanile di San Marco. Infine, si è diffuso
l'orgoglio dei «liberi imprenditori» che non pagano dazio a Visco come a
Tremonti.
In parallelo, la Lega ha acquistato potere con i sindaci
(l'alpino Giancarlo Gentilini a Treviso come modello) fino a conquistare
la Regione con Luca Zaia. In Veneto la stanza dei bottoni non è più un
tabù: sono leghisti, più o meno dichiarati, professori universitari e
banchieri, primari ospedalieri e leader dell'economia, professionisti
dei Consigli di amministrazione e mandarini della pubblica
amministrazione.
La Lega è diventata Casta? Di sicuro, assomiglia
terribilmente al profilo della Dc dorotea. Potere forte nella nicchia
territoriale, quanto legato mani e piedi alle scelte capitali che non
possono prescindere da Bruxelles, Roma, Milano come dal Granducato o
dagli antipodi. Ideologia «padana» condita dalla mediazione, partito
«leninista» che non mostra crepe, identità veneta contro ogni altra
opzione.
E non va dimenticato che a Nord Est il leghismo nell'arco di
30 anni si è riciclato metabolizzando seguaci di Gianfranco Miglio, ex
missini come Fabrizio Comencini, contoterzisti come Romano Tiozzo e
sindacalisti d'impresa alla Fabio Padovan. Ad ogni sussulto di
«venetismo» è scattato inesorabile il pugno di ferro del senatùr. Ma
tutti i necrologi politici sono stati, finora, smentiti dalla puntuale
fenice dei consensi. Un serbatoio che però non ha mai potuto alimentare
alternative: in Veneto o fedelissimi di Bossi (come il segretario
Giampaolo Gobbo) oppure sbattuti fuori senza tanti complimenti.
Ecco
la stridente contraddizione che domani sbarcherà in Riva degli
Schiavoni. Il sogno della Repubblica del Nord a portata di mano e
l'incubo delle macerie di un sistema architettato dai legali
rappresentanti del Carroccio. I «nordisti» pronti a confinare l'Italia
alla deriva e i «federali» che stentano ad amministrare il partito.
Già
perché di nuovo il Veneto racconta più e meglio la Lega dietro le
quinte. In Lombardia, tutto si riduce al cerchio magico di Bossi alle
prese con lo Spadone in versione Bobo Maroni. Invece, l'altra metà della
Padania tratteggia strategie lungo la sottile linea del dissenso.
Flavio Tosi, sindaco di Verona, che "flirta" con Giorgio Napolitano e
scalpita contro la manovra di Berlusconi e soprattutto che sfida i
trevigiani nei congressi (anche se l'assise regionale slittano di
continuo). Tosi è in perfetta sintonia con la Compagnia delle Opere,
coltiva con attenzione la gestione della sanità pubblica e gioca da
kingmaker la partita della Fondazione Carisparmio. Nel 2012 si vota a
Verona con Tosi che sembra ormai pronto a «personalizzare» il secondo
mandato, completando la parabola: da ultrà della destra a «spallone» di
Formigoni & Alemanno in giacca e cravatta.
E i piccoli Cavalieri
della secessione? Contavano su Alberto Filippi, espulso il 29 luglio.
Imprenditore con villa ad Arcugnano sui Colli Berici e laurea in
economia, si era iscritto alla Liga a 27 anni. Nel '95 fondatore della
sezione di Arcugnano, poi assessore, consigliere provinciale, vice
segretario provinciale, deputato e dal 2008 senatore. Uomo-simbolo del
Carroccio vicentino, travolto dagli stessi Vip leghisti della «sacrestia
d'Italia». Filippi paga anche il conto della Guardia di finanza:
l'azienda di famiglia opera nel distretto della concia di Arzignano,
dove le tasse sono un optional. E' il Veneto già indipendente
dall'Italia con staff di commercialisti a disposizione per aprire
casseforti in Lussemburgo dove stivare i profitti da rigirare alle
società nei paradisi fiscali. Centinaia di milioni di euro «evaporati»
dal cuore produttivo del Nord Est, mentre agli operai venivano saldati
gli straordinari in nero.
Ecco, Roma ladrona è stato lo slogan
vincente che però ha occultato carriere, affari, appalti e commistioni.
Dalle Alpi alla laguna si può solo ripetere il rito padano;
difficilmente l'ampolla galvanizzerà i «repubblichini del Nord». Le
alchimie con Berlusconi sono incompatibili con il sogno a portata di
mano. La profezia di Bepìn Segato, il Mandela bianco
dell'indipendentismo veneto, scalda già i cuori...
tratto dal IlManifesto del 17.09
Il sogno infranto della Padania
Berlusconi scappa dai pm napoletani e corre dalle «toghe rosse» di Milano per il processo Mills. Lettera al Foglio: «Non ho niente di cui vergognarmi» LA BASE SCALPITA È andato in tilt, soprattutto a Nord Est, il gioco degli specchi con il berlusconismo La Lega è diventata Casta? Di sicuro assomiglia sempre di più al profilo della Dc dorotea
17 / 9 / 2011
Longobardi
o cimbri, crociati o pagani, padroncini o dipendenti, vecchi iscritti o
giovani reclute in camicia padana d'ordinanza domani si schiera
l'esercito da sempre in marcia nell'esodo dai 150 anni di storia patria.
Non sono gli uffici ministeriali di Monza a soddisfare il bisogno di
libertà. Questa è gente che vuole spadroneggiare nella Repubblica del
Nord senza più vincoli con niente e nessuno.