Il sogno infranto della Padania

Berlusconi scappa dai pm napoletani e corre dalle «toghe rosse» di Milano per il processo Mills. Lettera al Foglio: «Non ho niente di cui vergognarmi» LA BASE SCALPITA È andato in tilt, soprattutto a Nord Est, il gioco degli specchi con il berlusconismo La Lega è diventata Casta? Di sicuro assomiglia sempre di più al profilo della Dc dorotea

17 / 9 / 2011

A un passo dal sogno indipendentista, succubi del governo Berlusconi. I leghisti schiumano rabbia da settimane: l'unico partito sopravvissuto alla Prima Repubblica oscilla impazzito fra Roma e Milano. Nessuno lo può ammettere, ma il default dell'Europa farebbe felice la Padania. Da più di vent'anni il vero obbiettivo è la Repubblica del Nord, libera nell'autodeterminazione dal resto dell'Italia. Lo zoccolo duro dei militanti vuole soltanto questo. Si chiamò secessione, è diventato federalismo: in realtà, da Torino a Udine i veri leghisti accarezzano il salto finale nello «stato verde».

Longobardi o cimbri, crociati o pagani, padroncini o dipendenti, vecchi iscritti o giovani reclute in camicia padana d'ordinanza domani si schiera l'esercito da sempre in marcia nell'esodo dai 150 anni di storia patria. Non sono gli uffici ministeriali di Monza a soddisfare il bisogno di libertà. Questa è gente che vuole spadroneggiare nella Repubblica del Nord senza più vincoli con niente e nessuno.
Paradossalmente, proprio nel momento in cui va in pezzi Maastricht e il Quirinale supplisce ogni manovra, Bossi s'insudicia nel tradimento dell'orgoglio «nordista». Non vale più nemmeno lo schema della Lega di lotta e di governo né la «rivoluzione» in mezzo al guado. Perché è andato in tilt, soprattutto a Nord Est, il gioco degli specchi con il berlusconismo.
La Serenissima Liga (fondata nel 1979 al congresso di Recoaro dai pionieri che saranno le prime vittime di Bossi) è di nuovo succube del Carroccio lombardo, che questa volta sconta fino in fondo la consunzione del leader maximo. Il popolo verde del Veneto - fuori e dentro le urne - è sempre stato un imprevedibile impasto di primitivismo e nostalgia, anti-statalismo e mito dei dogi, fai-da-te comunitario e gestione del «contropotere». In origine, bastavano le scritte a caratteri cubitali «Forza Etna!» nei viadotti autostradali. Poi è arrivato il commando del tanketo che assalta il campanile di San Marco. Infine, si è diffuso l'orgoglio dei «liberi imprenditori» che non pagano dazio a Visco come a Tremonti.
In parallelo, la Lega ha acquistato potere con i sindaci (l'alpino Giancarlo Gentilini a Treviso come modello) fino a conquistare la Regione con Luca Zaia. In Veneto la stanza dei bottoni non è più un tabù: sono leghisti, più o meno dichiarati, professori universitari e banchieri, primari ospedalieri e leader dell'economia, professionisti dei Consigli di amministrazione e mandarini della pubblica amministrazione.
La Lega è diventata Casta? Di sicuro, assomiglia terribilmente al profilo della Dc dorotea. Potere forte nella nicchia territoriale, quanto legato mani e piedi alle scelte capitali che non possono prescindere da Bruxelles, Roma, Milano come dal Granducato o dagli antipodi. Ideologia «padana» condita dalla mediazione, partito «leninista» che non mostra crepe, identità veneta contro ogni altra opzione.
E non va dimenticato che a Nord Est il leghismo nell'arco di 30 anni si è riciclato metabolizzando seguaci di Gianfranco Miglio, ex missini come Fabrizio Comencini, contoterzisti come Romano Tiozzo e sindacalisti d'impresa alla Fabio Padovan. Ad ogni sussulto di «venetismo» è scattato inesorabile il pugno di ferro del senatùr. Ma tutti i necrologi politici sono stati, finora, smentiti dalla puntuale fenice dei consensi. Un serbatoio che però non ha mai potuto alimentare alternative: in Veneto o fedelissimi di Bossi (come il segretario Giampaolo Gobbo) oppure sbattuti fuori senza tanti complimenti.
Ecco la stridente contraddizione che domani sbarcherà in Riva degli Schiavoni. Il sogno della Repubblica del Nord a portata di mano e l'incubo delle macerie di un sistema architettato dai legali rappresentanti del Carroccio. I «nordisti» pronti a confinare l'Italia alla deriva e i «federali» che stentano ad amministrare il partito.
Già perché di nuovo il Veneto racconta più e meglio la Lega dietro le quinte. In Lombardia, tutto si riduce al cerchio magico di Bossi alle prese con lo Spadone in versione Bobo Maroni. Invece, l'altra metà della Padania tratteggia strategie lungo la sottile linea del dissenso. Flavio Tosi, sindaco di Verona, che "flirta" con Giorgio Napolitano e scalpita contro la manovra di Berlusconi e soprattutto che sfida i trevigiani nei congressi (anche se l'assise regionale slittano di continuo). Tosi è in perfetta sintonia con la Compagnia delle Opere, coltiva con attenzione la gestione della sanità pubblica e gioca da kingmaker la partita della Fondazione Carisparmio. Nel 2012 si vota a Verona con Tosi che sembra ormai pronto a «personalizzare» il secondo mandato, completando la parabola: da ultrà della destra a «spallone» di Formigoni & Alemanno in giacca e cravatta.
E i piccoli Cavalieri della secessione? Contavano su Alberto Filippi, espulso il 29 luglio. Imprenditore con villa ad Arcugnano sui Colli Berici e laurea in economia, si era iscritto alla Liga a 27 anni. Nel '95 fondatore della sezione di Arcugnano, poi assessore, consigliere provinciale, vice segretario provinciale, deputato e dal 2008 senatore. Uomo-simbolo del Carroccio vicentino, travolto dagli stessi Vip leghisti della «sacrestia d'Italia». Filippi paga anche il conto della Guardia di finanza: l'azienda di famiglia opera nel distretto della concia di Arzignano, dove le tasse sono un optional. E' il Veneto già indipendente dall'Italia con staff di commercialisti a disposizione per aprire casseforti in Lussemburgo dove stivare i profitti da rigirare alle società nei paradisi fiscali. Centinaia di milioni di euro «evaporati» dal cuore produttivo del Nord Est, mentre agli operai venivano saldati gli straordinari in nero.
Ecco, Roma ladrona è stato lo slogan vincente che però ha occultato carriere, affari, appalti e commistioni. Dalle Alpi alla laguna si può solo ripetere il rito padano; difficilmente l'ampolla galvanizzerà i «repubblichini del Nord». Le alchimie con Berlusconi sono incompatibili con il sogno a portata di mano. La profezia di Bepìn Segato, il Mandela bianco dell'indipendentismo veneto, scalda già i cuori...

tratto dal IlManifesto del 17.09