Lo
scoglio dell’Ulivo sgorga dal mare della costa viola sul litorale
di Palmi. La leggenda racconta che l’ulivo in cima allo scoglio sia
l’unica forma di vita che riuscì a sopravvivere ad un grande
maremoto. Non si capisce se quello del 1910 che distrusse Messina,
dall’altro lato dello stretto, oppure un altro le cui coordinate si
perdono nella notte dei tempi. A Palmi oltre al mare stupendo c’e’
il supercarcere, la Procura della Repubblica che indaga sulle ndrine
della piana di Gioia Tauro e su quelle della Locride. Salendo e
scendendo sulla dorsale tirrenica si ripercorrono le rotte che tante
navi dei veleni hanno solcato dirette o verso l’affondamento oppure
piu’ in basso, dopo lo stretto e dopo il canale di Suez verso la
Somalia. In questi giorni però i rilievi commissionati dal governo
ci dicono che non c’è nessun pericolo sulle coste tirreniche della
Calabria, e prontamente la Procura chiude il caso, aperto oltre due
mesi fa dalle dichiarazioni del pentito Francesco Fonti.
Nessuna
nave pericolosa, anzi li’ giu’ non ci sarebbe nemmeno il temuto
Cunski ma una nave affondata nel 1915 durante la prima guerra
mondiale, il Catania.
Tutto ora deve ritornare come prima. Ogni
cosa al suo posto.
Una enorme bolla di sapone. Oppure un delitto
perfetto la cui vittima e’ la Calabria stessa ed i cui carnefici
ondeggiano in forma sinusoidale tra il parlamento, le coste del
tirreno, i supercarceri e la fitta vegetazione dell’Aspromonte.
Ma
proviamo a metterle noi le cose al proprio posto.
Dopo le
dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, il quale sostiene di aver
partecipato all’affondamento di tre navi con fusti di rifiuti
tossici pericolosi, il governo ha sempre agito con il freno a mano
tirato, mentre la mobilitazione dei cittadini e l’amplificarsi
delle denuncie che gia’ da anni parlavano delle navi dei veleni, ha
portato ad una serie di conseguenze soprattutto di carattere
economico.
Fonti dice di aver affondato il Cunski nel 1991 al
largo di Cetraro, la Yvonne A nel 1990 al largo di Maratea ed
un'altra nave al largo di Metaponto tra Calabria e Basilicata. Sempre
Fonti parla di un numero tra le 30 e le 36 navi affondate con carichi
di rifiuti speciali, come il Riegl affondato nel 1987 al largo di
Capo Spartivento carico di rifiuti radioattivi. Da questa vicenda il
governo nonostante la pressione delle comunita’ locali dispone
delle semplici analisi sulle acque. Il ministero della Prestigiacomo,
la quale negli ultimi tre mesi non ha mai incontrato nessun
amministratore calabrese nonostante le continue richieste,
preannuncia la sua strategia già all’inizio di ottobre, quando
ormai le pressioni dal basso imponevano al governo di disporre almeno
dei rilievi : se l’acqua è inquinata da radioattività allora
procederemo al ripescaggio del Cunski altrimenti non faremo
nulla.
Già questo tipo di posizione sembra assolutamente fuori da
ogni logica. Ci sono prove e testimonianze dell’esistenza di navi
sul fondo dei mari della Calabria con carichi di rifiuti speciali
all’interno di fusti. Questi fusti non si sono ancora danneggiati a
tal punto da liberare i veleni che contengono. Se l’acqua e’
ancora limpida, sostiene il governo, allora non si procede a nessun
ripescaggio se invece è inquinata allora provvederemo a ripescarli.
Quasi come se il mare fosse un sito per rifiuti tossici. Lì possono
stare al sicuro. Allucinante.
Intanto l’intero assetto
dell’economia della costa tirrenica della Calabria va in crisi a
cominciare dalla principale attività produttiva ovvero la pesca. Non
solo rispetto al mercato regionale ma soprattutto sulle esportazioni
verso il Nord e verso l’estero il settore della pesca in Calabria
rappresenta il principale vettore dell’economia cosiddetta legale.
Il pesce non si vende, qualcuno sta perdendo tanti soldi. E se si
continua a parlare di mare inquinato la crisi potrebbe divenire
devastante per il mercato ittico.
Ma fermiamoci un momento per
mettere le cose al loro posto.
Senza dubbio la sola forza in grado
di poter affondare delle navi al largo delle coste calabresi, ed
addirittura come nel caso della Jolly Rosso, spiaggiata nel 1990 ad
Amantea, trasferirne il carico dalla spiaggia alla Cava delle Femmine
nella Valle del Fiume Oliva verso l’interno della provincia di
Cosenza, e’ la ndrangheta.
La sola a comandare davvero questa
terra come ricordava poche settimane fa Claudio Dionesalvi.
La
ndrangheta ha senza dubbio guadagnato somme cospicue tra gli anni ’80
ed i ’90 con l’affondamento delle navi a perdere a largo delle
coste calabresi.
Chi non lavora più, chi è messo in crisi
dall’attenzione suscitata dalla questione del Cunski a Cetraro sono
i pescatori.
Ma chi è la sola organizzazione in grado di
controllare i mari calabresi ?
La risposta sembra semplice.
La
più grande flotta di navi peschereccio della costa tirrenica da
Praia a Mare ad Amantea è da sempre sotto il controllo della
famiglia Muto della ndrina di Cetraro. Franco Muto, il boss, detto
“il re del pesce” è stato arrestato dalla dda di Cosenza nel
2007 nell’ambito dell’operazione “Azimuth Star Prince”. Le
accuse sono quelle di usura ed estorsione. Tutto il mercato del
pesce, della ristorazione, dei lidi e dei bar sulla costa tirrenica
della provincia di Cosenza sono sotto il controllo della cosca dei
Muto. I Muto, alleati delle ndrine della piana di Gioia Tauro dei
Mammoliti e dei Piromalli, sono i “signori del mare”.
Ed è
proprio con quattro affiliati al clan Muto che Francesco Fonti, il
pentito, dice di aver affondato il Cunski, la Yvonne A ed una terza
nave.
“I signori del mare”, dopo aver incassato per i
“servizi” fatti al largo delle coste di Cetraro, ora perdono
ingenti guadagni derivati dalla vendita del pesce.
Eppure
Francesco Fonti era affiliato alle ndrine della Locride quelle che da
Taurianova a Bovalino, da Oppido Mamertina in Aspromonte fino a
Palizzi controllano la provincia di Reggio Calabria.
Fonti era
affiliato alla famiglia Romeo delle ndrine di Siderno e San Luca,
quelli della strage di Duisburg che vedevano questi contrapposti alle
ndrine Strangio e Nitta.
La ndragheta a differenza della camorra
è strutturata in maniera orizzontale con un oleato sistema di
sussidiarietà e di solidarietà interna legata agli affari da parte
delle ndrine. Fonti, infatti, gli affondamenti li aveva fatti proprio
con gli affiliati ai Muto di Cetraro, “i signori del mare”.
Lo
stesso Fonti nelle sue interviste all’Espresso parla di contatti
diretti con i politici del Psi – dice di aver avuto commesse da De
Michelis per conto di Craxi – riguardo al traffico di rifiuti
tossici via mare, provenienti da tutta Europa. Il Cunski infatti
proveniva dalla Norvegia.
Fonti straparla, tira in ballo politici
che non sono più sulla cresta dell’onda ma rischia di scoperchiare
qualcosa di grosso, una vera e propria rotta dei veleni che
dall’Italia si sposta verso Sud. Inoltre Fonti mette in crisi gli
affari della ndrangheta di oggi, mette in crisi il sistema politico
calabrese colpito da uno tsunami di delegittimazione e rabbia delle
comunità locali che hanno finalmente preso coscienza della
distruzione della propria terra.
Bisognava per qualcuno, mettere
le cose al proprio posto.
Quindi dopo alcune settimane di rilievi
ci viene raccontato che quella lì sotto non è il Cunski ma la
motonave Catania. Eppure quelle immagini viste in televisione del
relitto inquadrato sul fondo di Cetraro, ancora intero, consumato ma
ancora espressione di un’architettura navale, poteva sembrare una
nave affondata circa 20 anni fa.
Gia’ circa 20 anni fa.
Invece
sarebbe il Catania affondato circa 100 anni fa.
E dopo 100 anni
una nave costruita ad inizio secolo con quei materiali di allora e
finita sottacqua a causa di un bombardamento inglese si sarebbe
mantenuta in quelle condizioni ?
Ma il delitto, come detto è
perfetto.
Chi puo’ scendere a 300 metri di profondità e
confutare la tesi che quello non è il Catania ma il Cunski? Dati i
costi esorbitanti praticamente nessuno…
Intanto a Fonti viene
tolta la scorta, la Procura di Paola che indagava sul caso decide di
archiviarlo, anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso
sentenzia che il caso è chiuso.
In questo modo ovviamente Fonti
viene completamente screditato e nessuna altra indagine sarà
possibile a causa dell’inattendibilità della fonte, d’altronde
il governo ci dice che lì sotto non c’è nemmeno il Cunski.
Via
le prove e via il testimone reo confesso.
Il delitto è
perfetto.
Appare assolutamente plausibile, visto il contesto, che
il lavoro del ministero dell’ambiente della siciliana Prestigiacomo
abbia operato per insabbiare tutto. La tesi della inutilità ad
intervenire perché nelle acque non c’era radioattività non poteva
tenere a lungo. Quindi bisognava modificare completamente un quadro
probatorio. Con una costosissima magia fino a 300 metri di
profondità.
La stessa Prestigiacomo che minacciava rotture
sanguinose nel Pdl, spalleggiata dal governatore della Sicilia
Lombardo, quando gli era stata tolta la delega alle energie.
Il
più grande parco eolico del paese e tra i più grandi d’Europa sta
per sorgere nei pressi di Palermo. Soldi cash grazie agli incentivi
europei sulle rinnovabili. Soldi sicuri e pronti, subito, a
differenza di un nucleare che arriverà chissà quando, soldi in
odore di mafia.
Intanto nessuno al ministero, ne tantomeno altrove
si pone il problema di cercare dove sia il relitto del Cunski visto
che quello al largo di Cetraro a loro detta non lo è. E la Yvonne A
? La Riegl col suo carico di scorie radioattive al largo di Capo
Spartivento, proprio sotto la locride nel versante ionico dove le
cosche di San Luca e Siderno, quella a cui era affiliato Fonti,
comandano ?
Cosi’ come il carico della Jolly Rosso, cosa c’e’
nella cava delle Femmine nella valle del fiume Oliva. Per non parlare
del versante tirrenico della provincia di Reggio, quello tra Palmi e
Gioia Tauro, tra Rosarno e San Ferdinando, dove i Piromalli impongono
il controllo del porto, dell’inceneritore di Gioia Tauro e delle
centinaia di discariche abusive della piana.
Una pietra di veleno
chiude il caso delle navi dei veleni.
I pescatori torneranno in
mare. Il ministro ai suoi affari. I politici alle loro
clientele.
Chissà però che cio che si è espresso ad Amantea
appena una settimana fa riesca a mantenere una propulsione tale da
mettere a nudo il re.
Il delitto perfetto non esiste.
Lo
scoglio dell’Ulivo resta anche lui al suo posto, con le radici nel
mare, in attesa che i veleni chiusi in quei sarcofaghi ne
distruggeranno la linfa.
Inchiesta sulla vicenda delle navi dei veleni e le conclusioni del governo.
In-sabbia-menti
di Antonio Musella
30 / 10 / 2009