Inchiesta sulla vicenda delle navi dei veleni e le conclusioni del governo.

In-sabbia-menti

di Antonio Musella

30 / 10 / 2009

Lo scoglio dell’Ulivo sgorga dal mare della costa viola sul litorale di Palmi. La leggenda racconta che l’ulivo in cima allo scoglio sia l’unica forma di vita che riuscì a sopravvivere ad un grande maremoto. Non si capisce se quello del 1910 che distrusse Messina, dall’altro lato dello stretto, oppure un altro le cui coordinate si perdono nella notte dei tempi. A Palmi oltre al mare stupendo c’e’ il supercarcere, la Procura della Repubblica che indaga sulle ndrine della piana di Gioia Tauro e su quelle della Locride. Salendo e scendendo sulla dorsale tirrenica si ripercorrono le rotte che tante navi dei veleni hanno solcato dirette o verso l’affondamento oppure piu’ in basso, dopo lo stretto e dopo il canale di Suez verso la Somalia. In questi giorni però i rilievi commissionati dal governo ci dicono che non c’è nessun pericolo sulle coste tirreniche della Calabria, e prontamente la Procura chiude il caso, aperto oltre due mesi fa dalle dichiarazioni del pentito Francesco Fonti.
Nessuna nave pericolosa, anzi li’ giu’ non ci sarebbe nemmeno il temuto Cunski ma una nave affondata nel 1915 durante la prima guerra mondiale, il Catania.
Tutto ora deve ritornare come prima. Ogni cosa al suo posto.
Una enorme bolla di sapone. Oppure un delitto perfetto la cui vittima e’ la Calabria stessa ed i cui carnefici ondeggiano in forma sinusoidale tra il parlamento, le coste del tirreno, i supercarceri e la fitta vegetazione dell’Aspromonte.
Ma proviamo a metterle noi le cose al proprio posto.
Dopo le dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, il quale sostiene di aver partecipato all’affondamento di tre navi con fusti di rifiuti tossici pericolosi, il governo ha sempre agito con il freno a mano tirato, mentre la mobilitazione dei cittadini e l’amplificarsi delle denuncie che gia’ da anni parlavano delle navi dei veleni, ha portato ad una serie di conseguenze soprattutto di carattere economico.
Fonti dice di aver affondato il Cunski nel 1991 al largo di Cetraro, la Yvonne A nel 1990 al largo di Maratea ed un'altra nave al largo di Metaponto tra Calabria e Basilicata. Sempre Fonti parla di un numero tra le 30 e le 36 navi affondate con carichi di rifiuti speciali, come il Riegl affondato nel 1987 al largo di Capo Spartivento carico di rifiuti radioattivi. Da questa vicenda il governo nonostante la pressione delle comunita’ locali dispone delle semplici analisi sulle acque. Il ministero della Prestigiacomo, la quale negli ultimi tre mesi non ha mai incontrato nessun amministratore calabrese nonostante le continue richieste, preannuncia la sua strategia già all’inizio di ottobre, quando ormai le pressioni dal basso imponevano al governo di disporre almeno dei rilievi : se l’acqua è inquinata da radioattività allora procederemo al ripescaggio del Cunski altrimenti non faremo nulla.
Già questo tipo di posizione sembra assolutamente fuori da ogni logica. Ci sono prove e testimonianze dell’esistenza di navi sul fondo dei mari della Calabria con carichi di rifiuti speciali all’interno di fusti. Questi fusti non si sono ancora danneggiati a tal punto da liberare i veleni che contengono. Se l’acqua e’ ancora limpida, sostiene il governo, allora non si procede a nessun ripescaggio se invece è inquinata allora provvederemo a ripescarli. Quasi come se il mare fosse un sito per rifiuti tossici. Lì possono stare al sicuro. Allucinante.
Intanto l’intero assetto dell’economia della costa tirrenica della Calabria va in crisi a cominciare dalla principale attività produttiva ovvero la pesca. Non solo rispetto al mercato regionale ma soprattutto sulle esportazioni verso il Nord e verso l’estero il settore della pesca in Calabria rappresenta il principale vettore dell’economia cosiddetta legale. Il pesce non si vende, qualcuno sta perdendo tanti soldi. E se si continua a parlare di mare inquinato la crisi potrebbe divenire devastante per il mercato ittico.
Ma fermiamoci un momento per mettere le cose al loro posto.
Senza dubbio la sola forza in grado di poter affondare delle navi al largo delle coste calabresi, ed addirittura come nel caso della Jolly Rosso, spiaggiata nel 1990 ad Amantea, trasferirne il carico dalla spiaggia alla Cava delle Femmine nella Valle del Fiume Oliva verso l’interno della provincia di Cosenza, e’ la ndrangheta.
La sola a comandare davvero questa terra come ricordava poche settimane fa Claudio Dionesalvi.
La ndrangheta ha senza dubbio guadagnato somme cospicue tra gli anni ’80 ed i ’90 con l’affondamento delle navi a perdere a largo delle coste calabresi.
Chi non lavora più, chi è messo in crisi dall’attenzione suscitata dalla questione del Cunski a Cetraro sono i pescatori.
Ma chi è la sola organizzazione in grado di controllare i mari calabresi ?
La risposta sembra semplice.
La più grande flotta di navi peschereccio della costa tirrenica da Praia a Mare ad Amantea è da sempre sotto il controllo della famiglia Muto della ndrina di Cetraro. Franco Muto, il boss, detto “il re del pesce” è stato arrestato dalla dda di Cosenza nel 2007 nell’ambito dell’operazione “Azimuth Star Prince”. Le accuse sono quelle di usura ed estorsione. Tutto il mercato del pesce, della ristorazione, dei lidi e dei bar sulla costa tirrenica della provincia di Cosenza sono sotto il controllo della cosca dei Muto. I Muto, alleati delle ndrine della piana di Gioia Tauro dei Mammoliti e dei Piromalli, sono i “signori del mare”.
Ed è proprio con quattro affiliati al clan Muto che Francesco Fonti, il pentito, dice di aver affondato il Cunski, la Yvonne A ed una terza nave.
“I signori del mare”, dopo aver incassato per i “servizi” fatti al largo delle coste di Cetraro, ora perdono ingenti guadagni derivati dalla vendita del pesce.
Eppure Francesco Fonti era affiliato alle ndrine della Locride quelle che da Taurianova a Bovalino, da Oppido Mamertina in Aspromonte fino a Palizzi controllano la provincia di Reggio Calabria.
Fonti era affiliato alla famiglia Romeo delle ndrine di Siderno e San Luca, quelli della strage di Duisburg che vedevano questi contrapposti alle ndrine Strangio e Nitta.
La ndragheta a differenza della camorra è strutturata in maniera orizzontale con un oleato sistema di sussidiarietà e di solidarietà interna legata agli affari da parte delle ndrine. Fonti, infatti, gli affondamenti li aveva fatti proprio con gli affiliati ai Muto di Cetraro, “i signori del mare”.
Lo stesso Fonti nelle sue interviste all’Espresso parla di contatti diretti con i politici del Psi – dice di aver avuto commesse da De Michelis per conto di Craxi – riguardo al traffico di rifiuti tossici via mare, provenienti da tutta Europa. Il Cunski infatti proveniva dalla Norvegia.
Fonti straparla, tira in ballo politici che non sono più sulla cresta dell’onda ma rischia di scoperchiare qualcosa di grosso, una vera e propria rotta dei veleni che dall’Italia si sposta verso Sud. Inoltre Fonti mette in crisi gli affari della ndrangheta di oggi, mette in crisi il sistema politico calabrese colpito da uno tsunami di delegittimazione e rabbia delle comunità locali che hanno finalmente preso coscienza della distruzione della propria terra.
Bisognava per qualcuno, mettere le cose al proprio posto.
Quindi dopo alcune settimane di rilievi ci viene raccontato che quella lì sotto non è il Cunski ma la motonave Catania. Eppure quelle immagini viste in televisione del relitto inquadrato sul fondo di Cetraro, ancora intero, consumato ma ancora espressione di un’architettura navale, poteva sembrare una nave affondata circa 20 anni fa.
Gia’ circa 20 anni fa.
Invece sarebbe il Catania affondato circa 100 anni fa.
E dopo 100 anni una nave costruita ad inizio secolo con quei materiali di allora e finita sottacqua a causa di un bombardamento inglese si sarebbe mantenuta in quelle condizioni ?
Ma il delitto, come detto è perfetto.
Chi puo’ scendere a 300 metri di profondità e confutare la tesi che quello non è il Catania ma il Cunski? Dati i costi esorbitanti praticamente nessuno…
Intanto a Fonti viene tolta la scorta, la Procura di Paola che indagava sul caso decide di archiviarlo, anche il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso sentenzia che il caso è chiuso.
In questo modo ovviamente Fonti viene completamente screditato e nessuna altra indagine sarà possibile a causa dell’inattendibilità della fonte, d’altronde il governo ci dice che lì sotto non c’è nemmeno il Cunski.
Via le prove e via il testimone reo confesso.
Il delitto è perfetto.
Appare assolutamente plausibile, visto il contesto, che il lavoro del ministero dell’ambiente della siciliana Prestigiacomo abbia operato per insabbiare tutto. La tesi della inutilità ad intervenire perché nelle acque non c’era radioattività non poteva tenere a lungo. Quindi bisognava modificare completamente un quadro probatorio. Con una costosissima magia fino a 300 metri di profondità.
La stessa Prestigiacomo che minacciava rotture sanguinose nel Pdl, spalleggiata dal governatore della Sicilia Lombardo, quando gli era stata tolta la delega alle energie.
Il più grande parco eolico del paese e tra i più grandi d’Europa sta per sorgere nei pressi di Palermo. Soldi cash grazie agli incentivi europei sulle rinnovabili. Soldi sicuri e pronti, subito, a differenza di un nucleare che arriverà chissà quando, soldi in odore di mafia.
Intanto nessuno al ministero, ne tantomeno altrove si pone il problema di cercare dove sia il relitto del Cunski visto che quello al largo di Cetraro a loro detta non lo è. E la Yvonne A ? La Riegl col suo carico di scorie radioattive al largo di Capo Spartivento, proprio sotto la locride nel versante ionico dove le cosche di San Luca e Siderno, quella a cui era affiliato Fonti, comandano ?
Cosi’ come il carico della Jolly Rosso, cosa c’e’ nella cava delle Femmine nella valle del fiume Oliva. Per non parlare del versante tirrenico della provincia di Reggio, quello tra Palmi e Gioia Tauro, tra Rosarno e San Ferdinando, dove i Piromalli impongono il controllo del porto, dell’inceneritore di Gioia Tauro e delle centinaia di discariche abusive della piana.
Una pietra di veleno chiude il caso delle navi dei veleni.
I pescatori torneranno in mare. Il ministro ai suoi affari. I politici alle loro clientele.
Chissà però che cio che si è espresso ad Amantea appena una settimana fa riesca a mantenere una propulsione tale da mettere a nudo il re.
Il delitto perfetto non esiste.
Lo scoglio dell’Ulivo resta anche lui al suo posto, con le radici nel mare, in attesa che i veleni chiusi in quei sarcofaghi ne distruggeranno la linfa.

Malabria