Il risultato che il “fronte del no”, prima del voto, avrebbe sottoscritto
senza problemi come una vittoria. Ma che dopo i quattro seggi del reparto
montaggio – i “no” avevano prevalso in modo decisamente inatteso col 53%
– suona come una beffa. Alla fine i “sì” hanno prevalso solo grazie al voto
degli impiegati (421 favore, 20 contro), i meno toccati dall”accordo”
nelle condizioni di lavoro.
La conclusione è giunta verso le sette di mattina, dopo una lunga notte in cui
le operazioni sono andate decisamente a rilento anche a causa del “giallo”
della sparizione di 58 schede al seggio numero 8, uno dei quattro del reparto
montaggio. Poi si è visto che in realtà la commissione elettorale aveva
sbagliato al momento della vidimazione delle schede, timbrandone appunto 58 in più. Questo dato cambia
anche quello sull'affluenza: invece del 96,07% registrato inizialmente, in
totale ha votato il 94,89 degli aventi diritto (5,154 lavoratori).
Dunque, come ha detto a caldo il segretario nazionale della Fiom, Giorgio
Airaudo, «bisogna apprezzare il grande coraggio e l'onestà di una grandissima
parte dei lavoratori di Mirafiori che hanno detto di no all'accordo. Gli operai
delle linee di montaggio hanno detto di no. Di fatto sono stati decisivi gli impiegati
che a Mirafiori sono in gran parte capi e struttura gerarchica».
Come e meglio di Pomigliano (dove i “no” avevano raggiunto un 36% impensabile
all'inizio), il risultato non permette a Marchionne di prendere cappello e
chiudere la fabbrica, ma gli consegna un corpo sociale che nella sua
maggioranza “vera” (gli operai di linea, quelli che “fanno” la macchina) non è
affatto piegato al suo volere e lo ha detto con forza.
Per poter dare una valutazione seria di questo risultato occore ricordare che
il fronte dei sindacati pro-accordo (Fim Cisl, Uilm, Ugl, Fismic) aveva prima
di ieri il 71% dei voti nelle Rsu, mentre il “fronte del no” (Fiom, in primo
luogo, più Cobas e Usb) soltanto il 29. Si è quindi verificato un “quasi”
perfetto rovesciamento degli equilibri interni a questa fabbrica, da molti anni
dipinta come “rassegnata” e ormai estranea al conflitto sociale.
Se riguardiamo il film dei giorni scorsi, fino al voto, dobbiamo ricordare le
centinaia di persone, uomini e donne spesso in lacrime, che spiegavano alle
telecamere che avrebbero detto “sì” solo perché messi di fronte a un ricatto in
piena regola, un autentico “o la borsa o la vita”. Dobbiamo quindi sapere tutti
– Marchionne, i “sindacati complici”, l'inguardabile classe politica di questo
paese – che persino in questo microcosmo di 5.400 persone messe con le spalle
al muro non trova “consenso” autentico uno imbarbarimento delle vite e un
annullamento dei diritti che vuol riportare il lavoro nelle condizioni degli
inizi dell'800.
Di fatto dunque, e non per paradosso, si tratta del risultato peggiore
possibile per i sostenitori di questa “modernizzazione” a rovescio: dovete fare
quel che avete detto, ma sapendo di avere la maggioranza contro. Qui, nel paese
del bunga-bunga e dell'affidarsi a qualche santo.
Da questo dato prende una spinta decisiva anche tutto il movimento che va
preparando lo sciopero generale dei metalmeccanici del 28 gennaio: “vincere è
possibile”, come aveva spiegato Maurizio Landini prima del voto. Bisogna
smetterla di farsi inchiodare dalla paura e dal pessimismo sistematico. In
fondo, ci sono già riusciti a Tunisi...
Tratto da: Il Manifesto 15.01.11