La fabbrica delle illusioni

23 / 12 / 2019

Nell’ultimo evento iperconsumistico, il Black Friday, i movimenti che si battono contro i cambiamenti climatici hanno individuato nella circolazione delle merci e nelle grandi catene distributive, Amazon in primis, obiettivi concreti di iniziativa e di lotta.

Il blocco della circolazione produttiva e della “metropoli –fabbrica” sono le forme riattualizzate del sabotaggio e dello sciopero che un tempo avevano caratterizzato le lotte dell’operaio massa all’interno della fabbrica fordista. Si tratta ovviamente di una suggestione analogica, non di una trasposizione meccanica: il paradigma produttivo si è radicalmente trasformato, così come la composizione di classe. Le modalità di sfruttamento e di estrazione di plusvalore sono mutate, sia dal punto di vista estensivo che intensivo e si dispiegano lungo tutto l’arco della riproduzione sociale.

È la sussunzione reale compiutamente “realizzata”, la sussunzione del vivente, uomo e natura, dentro i meccanismi della valorizzazione capitalistica. Nella macchina totalmente socializzata dello sfruttamento capitalistico produzione–circolazione–consumo sono integrati in un tutto unico: produzione di produzione; produzione di circolazione; produzione di consumo.

La produttività complessiva è data dalla velocità della circolazione, dal just in time, dal rapido consumo e ricambio delle merci, dalla precarietà e flessibilità del lavoro e della vita. Un turbo-capitalismo che rinnova il mito futurista, profondamente intriso di fascismo, della velocità, il culto idolatrico del “nuovo” che cattura la sfera emozionale-immaginativa.

Ben si applica tutto ciò al mondo delle merci, al modo di produzione del capitale post-fordista e all’ideologia neoliberista che lo governa: il continuo impulso verso un consumo illimitato.

Il cittadino-consumatore sovrano e la “servitù volontaria”

È il trionfo della figura del cittadino come consumatore sovrano e “imprenditore di se stesso”, la più totale scomposizione atomistica e individualistica della società. D’altronde Margareth Thatcher aveva ben riassunto il dogma centrale del neo-liberismo: «Non esiste la società, ma solo gli individui». L’economia è solo un mezzo, il vero obiettivo è la conquista del cuore e dell’anima del “libero” consumatore nell’economia di mercato, la cattura degli aspetti più profondi e interiori dell’essere umano.

Va da sé che tutto ciò comporta la rottura dei rapporti e dei legami sociali, della relazione con l’“altro” in nome di un individuo autosufficiente, fondato su se stesso, egoista e in competizione con tutti gli altri, plasmato dall’illusione di essere libero e predisposto, proprio in base a questa illusione, alla “servitù volontaria”. Perché, si chiedeva Spinoza, «gli uomini combattono per la propria schiavitù come si trattasse della loro salvezza?». Perché, come diceva Wilhem Reich, grande psicanalista della scuola freudo-marxista, «le masse hanno desiderato il fascismo?». Perché, ci chiediamo, nonostante il capitalismo sia il più gigantesco sistema di sfruttamento prodotto nella storia, nonostante le sue ingiustizie e diseguaglianze, continua a riprodursi? È solo una questione di “falsa coscienza” delle masse, di capacità di inganno e manipolazione dei corpi e delle menti, per cui basterebbe portare la “vera coscienza” per sciogliere l’enigma?

Temiamo che la questione sia molto più complessa e per essere bene analizzata deve avvalersi non solo della critica all’economia politica, ma anche di altri strumenti, dalla psicanalisi, all’antropologia, alla filosofia del linguaggio, etc. Lo stesso Marx spaziava in molti campi del sapere e delle scienze: dal diritto all’antropologia di Morgan, dalla chimica e biologia, fino alla matematica ed al calcolo infinitesimale. Foucault diceva che il neoliberismo è una «razionalità» specifica, che guida le condotte individuali, struttura le relazioni umane, plasma le soggettività. La concorrenza è il suo principio, l’impresa il suo modello. Questa razionalità non ha frontiere: è globale in tutti i sensi, plasma l’essere sociale in tutte le sue dimensioni. Il tentativo che compie la pratica neoliberale è, in altre parole, quello di governare l’uomo attraverso se stesso, non contro la sua libertà, ma per mezzo di essa; di convincerlo a conformarsi autonomamente al sistema di norme idoneo alla competizione che esso stesso determina.

Spinoza e la triangolazione tra immaginazione, desiderio, assoggettamento

La triangolazione tra l’immaginazione, il desiderio e l’assoggettamento volontario è un enunciato fondamentale dell’antropologia spinoziana, in quanto Il desiderio è per Spinoza l’essenza stessa dell’essere umano. Nell’ Etica scrive: «noi non siamo spinti verso qualcosa, non lo vogliamo, non lo appetiamo né desideriamo perché giudichiamo che sia buono; ma giudichiamo buono qualcosa perché siamo spinti verso di esso, lo vogliamo, lo appetiamo e lo desideriamo» (Eth III, par. 9).

Per questo non è escluso nel sistema di Spinoza che il “conatus” si diriga verso ciò che è controproducente per la conservazione dell’individuo stesso, come il caso emblematico del suicidio, ma anche di scelte e situazioni completamente opposte e rovesciate rispetto a quelle che dovrebbero essere secondo ragione. Acrasia, la chiama Spinoza, ossia come sia possibile, pur immaginando il meglio, seguire e desiderare il peggio? Il conatus di ogni individuo, l’impulso desiderante individuale o collettivo, è quello di realizzare ciò che si immagina possa condurre alla felicità, al pieno godimento: «Siamo spinti a promuovere il darsi di tutto ciò che immaginiamo conduca alla gioia» o anche, sempre nell’Etica, «nella maggioranza dei casi tutti desiderano le cose e le giudicano utili per sola libidine e trascinati dalle passioni».

È interessante, a proposito, seguire la linea tracciata da Frédéric Lordon in Capitalisme, désir et servitude. Partendo dall’assunto spinoziano secondo cui il desiderio di affermazione è il motore che muove la società, Lordon sottolinea come la manipolazione del desiderio renda possibile che il fine sia l’annullamento nel padrone, il proprio «passionale» asservimento e l’allineamento del conatus al “discorso del capitalista”, sui beni di consumo e l’immagine del denaro. «Il denaro ha portato un vero compendio di tutte le cose, onde è avvenuto che la sua immagine occupi di solito in sommo grado la mente del volgo, che difficilmente può immaginare una qualsiasi specie di gioia senza associarla all’idea dei soldi come causa» (Eth IV, cap. XXVIII).

Tra le modalità di assoggettamento espresse da Spinoza, quella che lega il servo al padrone attraverso un beneficio investe sia il corpo – luogo delle affezioni – che la mente, luogo delle immagini. L’immagine del beneficio da ottenere associata al signore che lo può elargire modifica la mente umana e la sua immaginazione in maniera tale da ritenere utile per sé l’assoggettamento, da ricercare la servitù come oggetto paradossale del desiderio. La “cattura del desiderio” da parte del capitale è la radice di un regime che da un lato simula l’offerta di libertà – ovvero permettere agli individui di perseguire il proprio utile – dall’altro, dietro l’immagine di un beneficio, dirige i flussi desideranti dei subordinati verso un accrescimento della propria potenza.

È una linea interpretativa sicuramente problematica ed estremamente complessa, ma ciò non toglie che offra alcune chiavi di lettura sulla realtà effettiva dell’“assoggettamento volontario”. Perché i lavoratori accettano la logica del padrone, nonostante lo sfruttamento, la precarietà del lavoro e del reddito, l’impoverimento relativo ed assoluto? Funziona il meccanismo “desiderante”: la promessa di una felicità futura, di un godimento illimitato, di un “libero” consumo di merci ed oggetti di piacere. Un appagamento illusorio, rispetto al quale vengono rimossi i reali dispositivi di dominio e sfruttamento che stanno a fondamento del processo produttivo, per produrre di più, sempre di più, per godere di più, sempre di più! Non importa se questi desideri rimangono inappagati o per la mancanza di reddito o per la posizione sociale nelle gerarchie di classe, anzi, il processo funziona proprio poiché il flusso desiderante rimane continuamente aperto, illimitato, indefinito. Un perverso, paradossale “potere costituente” della soggettivazione-assoggettamento da parte del capitale contro il “comune".

Ogni individuo può così immaginare e sognare che se sarà meritevole, bravo, efficiente, obbediente, allineato ai desideri del” padrone “, economico o istituzionale che sia, riuscirà ad avere alla fine una ricompensa per la quale vale la pena sacrificarsi. E’ un vero e proprio dispositivo, illusorio quanto si vuole, ma terribilmente efficace, che funziona proprio perché non funziona, non si conclude mai, è senza fine, senza finalità precise e determinate.

Individualismo narcisistico e possessivo contro la costruzione del comune

Vale la pena a questo punto segnalare la vera questione dirimente: il capitale post-fordista e neoliberista perfeziona e porta al suo massimo compimento la costruzione dell’individuo e dell’individualismo possessivo, propria dell’ ideologia borghese. Già Marx ridicolizzava le “robinsonate” dell’economia politica liberale ai suoi esordi: l’esaltazione dell’individuo autosufficiente, separato dall’insieme delle relazioni sociali e produttive, “imprenditore di se stesso”. Non solo questo, ma ben di più: si tratta di una costruzione storicamente determinata, legata al sorgere del modo di produzione capitalistico, che però assume la figura di un’essenza naturale, metastorica. Un “fantasma”, insomma, una proiezione illusoria, ma che acquista un corpo, una consistenza reale.

Marx era un cultore delle tragedie shakespeariane, soprattutto l’Amleto, cosi come dei primi “horror”, da Dracula al dottor Frankenstein, e questo senso della spettralità del mondo delle merci nel capitalismo si manifesta in particolare nel primo libro del Capitale, nel capitolo sul “feticismo della merce e il suo arcano”. È il mondo rovesciato: i prodotti dell’attività umana si ergono di fronte a essa come una potenza estranea e dominatrice; il “lavoro astratto”, il lavoro in quanto tale, che dà forma al “valore” permettendo lo scambio tra merci che possiedono diversi valori d’uso, si materializza nel denaro; i rapporti sociali appaiono come semplici rapporti fra cose, autonome rispetto a chi le ha prodotte, occultando che le merci sono il frutto del lavoro umano.

I fantasmi di Marx non sono mere finzioni, ma si materializzano in un mondo stregato, capovolto e sono l’effettivo funzionamento dell’economia e del mercato capitalistico. Anche in questo caso, come nell’astrazione “individuo” isolato dal contesto sociale e comune, le astrazioni fantasmatiche appaiono come una proprietà naturale delle cose stesse, occultando la loro storicità. È un punto importante in Marx: non è sufficiente svelare alla coscienza dei lavoratori la vera essenza rispetto alla falsa apparenza, poiché quell’apparenza, il fantasma, è vera, è il vero modo di funzionare dell’economia capitalistica e va eliminata alla radice, nel movimento reale che trasforma lo stato di cose presente, nella lotta di classe.

Il post-strutturalismo e la questione del “soggetto”

Le problematiche del fantasma, dell’individuo, della soggettività ritornano con forza nel post-strutturalismo, in Faucault, Derrida, Deleuze, Guattari, Lacan. In particolare, la psicanalisi lacaniana e l’Anti Edipo di Deleuze-Guattari si pongono l’obiettivo di decostruire il concetto di “individuo” posto come sostanza naturale, già data, forgiata dalle relazioni della famiglia patriarcale e basata sul complesso di Edipo. Si tratta di una critica corrosiva a Freud, che finisce per ristabilire un riallineamento con l’ordine simbolico della Legge, con l’autorità, con il discorso del capitalista.

Per Lacan l’inconscio non è il teatrino famigliare dove si rappresenta sempre la stessa scena, che imprigiona la costruzione del soggetto dentro la famiglia patriarcale. L’inconscio (potremmo dire l’ordine simbolico, la struttura impersonale preesistente a ciascuno di noi e in cui ci troviamo gettati inconsapevolmente fin dalla nascita) non è un teatro rappresentativo, ma è strutturato come un linguaggio, e di conseguenza in relazione con l’altro da sé. L’inconscio ha strutturalmente un carattere sociale, un impulso che porta oltre se stessi e in cui il soggettivarsi di ogni singolo dipende dal rapporto con le altre singolarità comuni.

Già Marx aveva colto la centralità del linguaggio nella costruzione dell’essere sociale. Il linguaggio “è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini” (Marx, L'ideologia tedesca, p. 29). Emerge qui il concetto di trans-individuale, il che non significa ciò che va oltre l’individuo, come se questo fosse una sostanza già data, ma al contrario che fonda l’individualità stessa nella reazione costitutiva con l’Altro.

La cattura del desiderio dell’Altro ed il consumismo

La traccia indicata da Lacan per quanto riguarda i processi di soggettivazione tocca, seppure in maniera non lineare, problematiche marxiane: il rapporto tra bisogno e desiderio, consumo feticistico degli oggetti e “discorso del capitalista”.

La suggestiva immagine del “grido nella notte” del bambino che ha fame svela il dispositivo del riconoscimento: vuole soddisfare un bisogno, ma anche desidera il rapporto con la madre, la sua presenza, il non abbandono. In questa relazione non solo desidera l’altro, ma anche l’essere desiderato, desidera il desiderio. Il riconoscimento del sé deriva da questa dialettica, in cui la soggettivazione dipende dall’altro e in questo senso è passiva, ma nel contempo gli permette di “soggettivarsi”, di riconoscersi nella sua singolarità.

Solo che questa presenza desiderata non può mai essere piena, non può mai essere completamente appagata: è una presenza-assenza che crea un vuoto, uno iato, una apertura. In questa piega si insinuano l’immaginario e il simbolico, la potenza eccedente del desiderio, l’impulso costante a trascendere la propria individualità per cercare di colmare questa lacuna nel potenziamento delle relazioni intersoggettive con l’Altro da sé.

L’astuzia del capitale consiste nel catturare questo dispositivo e tradurlo nel mondo delle merci, negli oggetti di consumo travestiti da fantasmi immaginari, feticci che devono creare l’illusione del riempimento, appagare il senso di vuoto. Nessun oggetto di consumo può assolvere a questa funzione, si “consuma” appunto subito, il piacere e il godimento decadono velocemente, si crea il bisogno di altri oggetti in un circolo infinito e illimitato. Un desiderio senza desiderio, un godimento senza godimento!

È come l’esempio classico di chi va al supermercato non tanto perché manca qualcosa, ma perché va a vedere se qualcosa manca! Il capitalismo sovrappone i due piani: la “mancanza “nel desiderio (la mancanza dell’Altro) e la” mancanza” nel bisogno (la mancanza di un oggetto utile e necessario) facendo del desiderio un bisogno: la merce si acquista perché bisogna desiderare di acquistarla, non tanto perché corrisponda ad un bisogno o necessità vera, ed in questo modo il flusso vitale della potenza desiderante viene piegato, dispiegato, ritagliato sulla continua riproduzione del ciclo del mercato.

Ma come spezzare il cerchio magico e fantasmatico del feticismo, del narcisismo individualistico, della manipolazione capitalistica del desiderio? Non c’è che una strada: la produzione di una nuova soggettività, scavando in profondità nei meccanismi complessi di dominio e assoggettamento, decostruirli e smontarli, cogliere l’importanza del linguaggio, del simbolico, dell’immaginario, costruire nuovi eventi e nuove narrazioni. Insomma, riappropriarsi della “macchina desiderante” per la produzione del comune, quel vuoto e quella mancanza che stanno a fondamento delle nostre lotte.

► Immagine di copertina: Aidan Sartin Conte, [OBLIVION], A Different State of Mind 007 - Echelon