Nota su come stiamo nella crisi di sistema in corso

La peculiarità delle rivoluzioni dall'alto

6 / 12 / 2011

La peculiarità delle rivoluzioni dall’alto, è cambiare tutto per non cambiare niente: è anche la storia del Governo Monti, “governo del presidente” come lo avevamo definito, che ha spazzato via tutto ciò che c’era prima di sé: la crisi berlusconiana poteva sfociare in elezioni anticipate e primarie del centrosinistra, che potevano a loro volta e nonostante il volere dei partiti, diventare uno spazio pubblico di massa sull’alternativa e contribuire ad aumentare il divario tra il pensiero unico e una nuova idea di democrazia e di società. Il solco già tracciato dai referendum, dalle amministrative di Napoli e Milano, dalle piazze piene di studenti e metalmeccanici, poteva fare da guida. Quello che c’era ora non c’è più, perché di rivoluzione, anche se dall’alto, si è trattato. Un rivolgimento radicale operato da dentro i Palazzi, per evitare che da fuori, nelle strade e nelle piazze, nelle fabbriche e nelle università, la ricomposizione sociale e politica tra soggetti diversi e tradizionalmente lontani tra loro, anche per un fatto generazionale, stipulassero un patto costituente e in qualche modo sovversivo attorno all’idea che una rivoluzione, nel modo di produrre e redistribuire la ricchezza, nella difesa e conquista di diritti e garanzie, nella condivisione e valorizzazione collettiva dei beni comuni, nel mettere al servizio del comune la potenza della conoscenza generale, bisognava farla davvero. Certo, c’era Berlusconi e con lui la fine del ciclo porno mafioso dei suoi vent'anni di potere, che non andava più bene ai mercati, ma il nodo di fondo è che ciò che si muove nella società minaccia veramente il potere. Berlusconi non era una minaccia, era parte di quel potere e per lungo tempo ha assolto il suo compito. Il problema è che quando le rivolte, l’indignazione, il dissenso, ampiamente previste in un mondo violentemente diseguale, cominciano a farsi strumento di una proposta di cambiamento, capace di affrontare una società complessa come la nostra, e indicare la strada da percorrere per un’intero paese, allora la questione diventa seria. Ora, dopo Monti le ipotesi che avevano contraddistinto il periodo decadente del miliardario di Arcore, dal 14 dicembre del 2011 in poi, sono state cancellate. Le ipotesi, cioè le possibili traiettorie, non i dati materiali. La crisi capitalistica, in tutta la sua concretezza, continua ad abbattersi su tutto, incurante delle diplomazie e degli equilibri di potere. Dall’altra parte il solco creato dai movimenti rimane: è un dato concreto perché non c’è movimento senza che questo determini anche nuova vita per chi ne è parte. Allora, togliendo di mezzo le ipotesi, rimangono i dati concreti. Come ben sappiamo “ricominciare da capo non significa tornare indietro”, e quindi è quella saldatura tra lotte studentesche e operaie, tra lotte per i beni comuni e nuovo welfare municipale, il punto di forza da cui riensare un’opposizione alla fase “Monti”. E il piano non può che andare dai territori all’Europa, in una visione che non consente di tenerli separati. Alla Fiom, che è stata parte fondamentale delle lotte di questi due anni, va rivolta una domanda: come facciamo a difendere tutti, e non solo coloro che lavorano in fabbrica? Come si difende l’idea del contratto nazionale se non apriamo contestualmente nel paese una unica battaglia per il reddito di cittadinanza? Come si difendono le pensioni se non affrontiamo noi la questione di un nuovo welfare per chi la pensione non ce l’avrà mai? Come si vede, la preoccupazione del governo dei professori è quella di condire il massacro sociale con la necessità dichiarata di dare un futuro, anche con il reddito minimo, alle giovani generazioni precarie. Sarà una costante di questa fase di governance, se la crisi dell’euro non la travolgerà prima, quella di dividere ciò che poteva unirsi in un comune sentire mettendolo in competizione. E’ un po’ quello che sono sempre stati abituati a fare questi tecnici del neoliberismo: in Europa la competizione tra gli Stati e per la supremazia nel mercato comune ha generato la follia di una moneta senza costituzione. E oggi è di nuovo quella la logica: la competizione tra Germania, Francia, Italia, verso una Europa a più velocità e forse, come spiega Marazzi, anche a più valute. I comuni sono obbligati, e questa manovra lo conferma con altri tagli, a privatizzare tutto. Ma possono diventare, come accade a Napoli con De Magistris, dei laboratori di nuova resistenza e progetto di alternativa attorno ai beni comuni. E’ da lì, da relazioni che abbiamo consolidato prima di Monti, e da nuova vita che abbiamo acquisito, da domande che interrogano ciò che oggi abbiamo davanti, dall’Europa e dai comuni, che possiamo ricominciare a costruire cammino. Come esiste il Governo dei professori, esiste anche la politica dei professori. Ambedue queste tipologie sono convinte, o si presentano come tali, di sapere tutto in anticipo, prima che accada. Ci sono tradizioni di pensiero centenarie, o millenarie, che non hanno bisogno di mettersi in discussione perché è sempre tutto esatto quello che descrivono in anticipo. Io sono convinto che ci troviamo dinnanzi ad un mondo nuovo, in cui quello che appare scandaloso ed eretico per ogni teoria, è un sano, contradditorio, artigianale e artistico tentativo di provarci, senza paura, a prendere in mano l’esistente. Uniti per l’alternativa l’ho sempre vissuto così, come uno spazio politico eretico, per tutti i professori, quelli al Governo e quelli all’opposizione.


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