La prospettiva ecotransfemminista e le alleanze nel mondo del vivente

18 / 9 / 2019

Dopo il focus-lab “Crisi climatica ed ecotransfemminismi” tenutosi al Venice Climate Camp, Radio Sherwood  ha intervistato Beatrice Del Monte e Marita Cassan, attiviste dell’assemblea transterritoriale terre corpi e spazi urbani di Non Una Di Meno.

Cosa significa affrontare la crisi climatica non tanto da un punto di vista scientifico (come si è fatto per moltissimo tempo), ma da una prospettiva che potremmo definire di genere: che cosa significa essere ecotransfemministi ed insieme antispecisti?

Marita: Noi siamo un’assemblea transterritoriale di Non Una Di Meno e abbiamo lavorato al Piano (il Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, ndr) proprio su queste tematiche.

Il piano di Non Una Di Meno è articolato su nove punti (sulla libertà di movimento, sulla libertà di narrazione, su tutte le diverse libertà e autodeterminazioni a cui vogliamo arrivare, a partire dal concetto della violenza di genere e della violenza contro le donne come violenza sistemica), e abbiamo lavorato al discorso della libertà dalla violenza ambientale.

La nostra è un’assemblea transterritoriale, ci sono le assemblee a livello territoriale e a livello cittadino mentre la nostra funziona con un’accezione che va oltre i confini territoriali, anche del nostro Paese (ci sono compagne che vivono fuori dall’Italia). Uno dei riferimenti teorici e pratici del nostro lavoro è proprio quello dell’intersezionalità, quindi della necessità e la volontà di attraversare i vari movimenti e di intersecare le diverse oppressioni. Abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare nel movimento Restiamo Umani, quindi nelle assemblee che ci sono state sia in Piazza Esquilino a Roma che in altri luoghi; abbiamo lavorato in altri momenti di incontro con altri movimenti ed era abbastanza naturale per noi portare all’interno del movimento contro il cambio climatico questa visione transecofemminista e antispecista.

Questo perché pensiamo che (soprattutto all’interno dei movimenti in Italia) ci sia una visione che prescinde da questo tipo di lettura e di impostazione. Molti movimenti ragionano su una lettura scientifica della situazione ambientale e addirittura sulla sopravvivenza della “specie” umana, che come antispeciste ovviamente non riconosciamo. Quindi il problema esiste perché questo cambiamento climatico mette in discussione la vita delle persone su questo pianeta.

Noi partiamo da un ribaltamento completo di questa idea, pensiamo sostanzialmente che il discorso sia quello di creare una situazione completamente diversa in cui si smonta la gerarchia di potere che esiste, dell’umano rispetto all’animale e quindi, volendo rompere questo tipo di gerarchia, successivamente si rompono anche tutte le altre, anche perché l’umano poi fa il pari con l’uomo bianco occidentale privilegiato colonizzatore, ecc.

Rompendo tutte queste gerarchie, rompendo questo binarismo il discorso che facciamo è proprio quello dell’autodeterminazione di tutti i corpi: quando parliamo di autodeterminazione parliamo di corpi umani e non, parliamo di autodeterminazione di tutte le soggettività nella scelta del loro genere e dei loro orientamenti sessuali, parliamo di autodeterminazione della stessa terra, che riconosciamo come corpo vivente, non da tutelare, ma un corpo che deve vivere in un modo completamente diverso da quello che il capitalismo estrattivista e il patriarcato ci stanno invece imponendo.

 

Beatrice: Io aggiungerei, sul passaggio dell’intersezionalità, che in quanto ecotransfemministe antispeciste ricerchiamo un’alleanza con tutti quei corpi che sono stati storicamente femminilizzati e naturalizzati (il non umano, il vegetale, la terra) perché ci rendiamo conto che si tratta di un tipo di gerarchizzazione che è servita nei secoli al capitalismo per sfruttare liberamente tutti quei corpi che venivano essenzializzati e inferiorizzati.

Quindi non pensiamo che ci sia un legame di tipo biologico tra la donna e la terra, ma che questo sia un legame di rivendicazione politica: quello che cerchiamo noi è un’alleanza tutta da immaginare all’interno dei nostri sistemi di vita, prendendo l’occasione di imparare da comunità indigene che hanno un modo di interpretare e costruire il loro stare nel mondo in modo completamente diverso da noi.