La rivolta di Torino

di Francesco Raparelli*

22 / 5 / 2009

L'articolo che segue sarebbe dovuto uscire sul manifesto di oggi. Una scelta opportuna, di fronte al linciaggio mediatico subito dal movimento dell'Onda. A commento della straordinaria giornata di Torino, infatti, una sola voce, quella di Lucia Annunziata, ha provato a dire la verità. Per il resto, dal Corriere a Repubblica, dalla Stampa al Messaggero, uno sguardo omogeneo, tra condanna e menzogna. A seguire omissione e silenzio, quasi a dire che neanche il linciaggio mediatico basta, è preferibile mettere tutto a tacere.

Forse per ingenuità, forse per serietà, ci aspettavamo qualcosa di diverso dal quotidiano il manifesto. Eppure abbiamo sbagliato. Avremmo dovuto capire, dopo l'ignobile articolo di Mauro Ravarino (domenica 17 maggio), che anche nel manifesto l'aria è cambiata e che al linguaggio della verità si preferisce la piccola bega di condominio (il condominio è un modo rispettoso ed elegante di definire la sinistra), al coraggio di raccontare il risentimento e il moralismo stizzito. Non sono bastate le dichiarazioni di Maroni e Mantovano, evidentemente neanche le minacce repressive impongono al manifesto la serietà che porta con se la scelta di identità politica del giornale. Anzi, mentre Battista sul Corriere di oggi propone un alleggerimento delle parole di Maroni, il manifesto al pari di Repubblica preferisce far finta di nulla, far finta che non ci sia uno studente milanese arrestato, far finta che il governo non abbia intenzione di far procedere un'inchiesta tutt'altro che leggera.

Siamo davvero troppo ingenui. Ma forse è il caso di smetterla, forse è il caso di cominciare a replicare a scelte editoriali di merda! Forse è il caso di cominciare a far sentire il nostro dissenso! Non fosse altro perché i siti di movimento in questa fase sono letti più del manifesto e che del manifesto probabilmente non c'è davvero più bisogno. Non ci vuole un economista raffinato per capire che nell'aumento di vendite dello scorso autunno c'è di mezzo l'esplosione dell'Onda, basterebbe un po' di buon senso. Ma quando alla miseria politica si accompagna scarsità di buon senso non resta che prenderne atto e mollare la presa. Che il manifesto sprofondi nel suo destino, di certo l'Onda e i movimenti non lo soccorreranno!

L'Italia è davvero un paese insopportabile e questo non tanto perché a governarlo c'è una solida maggioranza razzista e neocon, una maggioranza radicata nel tessuto produttivo, imbattibile nella scena mediatica, ma soprattutto per la mediocrità della sua opposizione. Un'opposizione senza coraggio né passioni. Basta leggere i giornali di oggi, meglio la Repubblica, o leggere le dichiarazioni di Franceschini per fare questa breve considerazione.

Quando sono esplosi gli studenti greci, al seguito dell'omicidio del povero Alexis, Ilvo Diamanti ha scritto per Repubblica analisi per nulla banali sul tratto comune della nuova generazione in lotta: dalla Francia all'Italia, dalla Grecia alla Spagna ? parafrasando le parole di Diamanti ? una generazione estranea al patto sociale alza la testa e pretende di riavere indietro il futuro che la precarietà le ha sottratto. Nelle scorse settimane, mentre in Francia venivano sequestrati i manager, Bernardo Valli ha dedicato pagine importanti all'anomalia d'oltralpe.

Il radicalismo francese è una sorta di modello da coccolare per la sinistra italica, sempre utile per ricordare a Berlusconi che anche la destra neocon più raffinata, quella di Sarkò, è tutt'altro che al sicuro. Poi Londra e l'assedio della City: per la prima volta capita di leggere Ezio Mauro e Massimo Giannini che si spingono a giustificare la rabbia anti-banche. Certo entrambi condannano la violenza, ma ratificano la necessità di un nuovo patto sociale contro la crisi. Aggiungo infine un elemento non marginale. L'Italia è un paese in cui le sue sinistre celebrano da quasi mezzo secolo i fasti del sessantotto studentesco. Un sessantotto senza operai e senza rivoluzione, indubbiamente, educato e pieno di buona società, comunque anno straordinario e senza pari. Nel sessantotto romano spicca un'esperienza che nessun politico della sinistra italica ha mai ripudiato: Valle Giulia.

Quanto accaduto ieri a Torino non si discosta molto, nella sostanza materiale, dai fatti di quarant'anni fa, così come, seppur con molte differenze, dalle rivolte greche e francesi. Ma ripercorriamo, fuori dalle menzogne giornalistiche, gli eventi torinesi. Almeno 10.000 studenti si mettono in corteo, giunti da tutta Italia, oltre che dalle facoltà torinesi. Desiderio condiviso da tutti è quello di violare la zona rossa, per dire basta a città militarizzate e per opporsi alle riforme universitarie. Migliaia di studenti dell'Onda hanno messo da parte la paura, quella propria della solitudine, e con il coraggio intenso dell'esperienza collettiva hanno provato a camminare, nonostante la polizia in assetto antisommossa cingesse d'assedio il castello del Valentino. Scudi di plexiglass e caschi a proteggere la propria testa dai tonfa. Poi le cariche, già violente il giorno prima. Manganelli, ma soprattutto tanti lacrimogeni, quelli al Cs di genovese memoria, come Mortola. Poi la difesa, agita tutti assieme, senza alcuna separazione tra buoni e cattivi. Immediata la gestione giornalistica: no global e violenti prendono l'Onda in ostaggio. Corriere e Repubblica sostanzialmente omogenei, per la prima volta da settembre.

Occorre dirlo a voce alta, in questo paese di razzisti e codardi, ieri migliaia di studenti dell'Onda hanno alzato la testa, nei confronti di chi alla contrattazione sociale ha sostituito l'autoritarismo. Dopo mesi di lotte gli studenti italiani hanno ricevuto porte chiuse e manganelli. Da che parte sta la violenza, quella vera, quella del potere cieco e sordo? Ieri a Torino c'era solo indignazione, forte e ragionevole.

*Francesco Raparelli, Dottorando di ricerca in Filosofia politica

Articolo in uscita giovedì 21 maggio sul Manifesto.


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