La rivolta slovena e la ragionevolezza dell'impossibile

Decine di migliaia di persone scendono in piazza in decine di città per quasi due mesi contro l'arroganza delle élites, la corruzione, l'austerity e le condizioni di vita insopportabili

5 / 1 / 2013

Cosa succede in un paese Europeo quando una frazione significativa e crescente dei suoi cittadini, decine di migliaia di persone, scendono in piazza in decine di città per quasi due mesi, con una straordinaria ricchezza e varietà di composizione sociale, di pratiche e di rivendicazioni contro l'arroganza delle élites, la corruzione, l'austerity e le condizioni di vita insopportabili?

Succedono delle ovvietà, certamente: il governo parla pubblicamente di tensione e disordine, censura i giornalisti della televisione pubblica accusandoli di incitare i cittadini “ai disordini”, noiosi appartenenti all'esercito sono identificati tra coloro che innescano scontri con la polizia, insieme a inquietanti formazioni di estrema destra,

Ma soprattutto accadono fatti importanti, entusiasmanti e non banali e, quindi, di non facile lettura ma ai quali è importante dedicare attenzione e intelligenza in un'Europa sempre più attraversata da correnti di insofferenza e cortocircuiti di movimenti ma non dalla chiarezza di un idem sentire, e ancora lontana da una comune prospettiva di uprising generale contro l'europa finanzaria.
(vedere l'intervista a Franco Juri, giornalista Sloveno, Ministro degli Esteri nel primo governo Sloveno di Sinistra e Deputato nella precedente legislatura)

In Slovenia l'esercito, pochi giorni fa per bocca del comandante di stato maggiore, afferma pubblicamente che non si schiererà durante le mobilitazioni già annunciate per gennaio. Una sorta di excusatio non petita che inevitabilmente ha il sapore di una manifesta contromossa preventiva contro la tentazione, paventata peraltro dagli attivisti più attenti solo 2 settimane fa, della proclamazione dello stato di eccezione.

Accade che il capo della polizia venga dimesso dopo aver affermato che i reparti non avrebbero più caricato cittadini in situazioni di piazza confuse, e che gli agenti indossino i fiori che la folla porge loro (“la rivoluzione dei fiori”), come abbiamo visto a Ljubljana il 21 Dicembre, a significare che stanno dalla parte della protesta.

Accade che dopo due mesi di piazza e anche di scontri come non si erano mai visti in Slovenia e di conseguenti arresti, il 21 Dicembre, per l'annunciata “rivolta generale” si trovino in piazza i reduci della guerra d'indipendenza listati a lutto, bambini, coppie di ogni età, anarchici e centri sociali, persone “normali” senza altra appartenenza che la propria indignazione con cartelli che recitano “questa non è una protesta, è una rivoluzione”, “gotov je”, ovvero “è finita, andatevene”.

La scintilla delle proteste (per una descrizione sommariamente corretta vedere http://en.wikipedia.org/wiki/2012_Maribor_protests) è in Novembre, a Maribor, la seconda città della Slovenia con 100mila abitanti, quando il sindaco affida la gestione di un nuovo sistema radar per il controllo del traffico, e del 92% degli introiti delle contravvenzioni, ad una ditta privata. L'aumento vertiginoso dei costi del contratto (30 milioni di euro), irregolarità nello stesso e le 25mila contravvenzioni elevate nei primi giorni fanno scoppiare una protesta, durante la quale 10 dei 30 radar installati vengono distrutti, che velocemente investe la totalità della persona e dell'operato del Sindaco Kangler (soprannominato “lo sceriffo di Maribor” per il suo atteggiamento minaccioso e repressivo) che la stessa Commissione Slovena per la Prevenzione della Corruzione ha ripetutamente tacciato di corruzione.
Mentre aumentano sospetti e indizi che lo stesso sindaco costruisse l'infiltrazione di personaggi equivoci durante le proteste per legittimare l'intervento della polizia, la repressione durissima e inaudita determina manifestazioni di solidarietà in tutto il paese e velocemente la protesta si generalizza e investe non più solamente la figura del sindaco di Maribor ma tutta la classe politica in un vero e proprio “que se vayan todos”: gotov je!

Nei mesi di Novembre e Dicembre la Slovenia è stata percorsa da innumerevoli proteste in decine di città, comprese Maribor e Ljubljana in una stagione di movimento le cui cifre fondamentali sono la spontaneità e il polimorfismo. Il carattere dominante delle rivendicazioni è di una semplicità e di una immediatezza estrema che rende impossibile per la classe politica rispondere in modo interlocutorio ed efficace.

La delegittimazione è percolata da alcuni rappresentanti della politica istituzionale – il Sindaco di Maribor, appunto, e poi l'intera giunta – all'intero sistema politico e in alcuni tratti persino all'Europa, come diretto risultato del continuo richiamo agli istituti europei come fonte di legittimazione per una gestione della crisi che infatti assume le note procedure standard: decostruzione del welfare, privatizzazione del paese e dei servizi, precarizzazione di tutti gli aspetti della vita individuale e sociale.

Tutto ciò si traduce nell'idem sentire che attraversa le piazze e gli appelli alla mobilitazione: “andatevene”, unitamente alla difesa dello stato sociale, dei diritti, e persino ad ipotesi di reddito di cittadinanza come primo presidio di resilienza nei confronti della governance europea.

Una mobilitazione, ripetiamo, nella quale si esprime una gamma amplissima e al momento irrapresentabile di diversità per origine, estrazione sociale e pratiche in campo della moltitudine dei soggetti protagonisti: da scontri durissimi, sostenuti spontaneamente e rabbiosamente da persone non riconducibili a percorsi politici strutturati, e arresti, susseguitesi soprattutto a Maribor dove sorprendentemente non c'è una grossa presenza organizzata e consolidata di conflittualità sociale, si passa all'offerta di garofani ai reparti schierati della polizia (che, oltretutto, li accettano e li indossano), mentre i blocchi anticapitalisti condividono la piazza con i reduci della guerra di indipendenza e in diverse situazioni continuano a presentarsi formazioni neonaziste e piccoli gruppi organizzati di stampo militare che innescano talvolta lo scontro con la polizia per poi essere inesistenti nella vita sociale e politica.

Ciò da una parte rende difficile per ovvie ragioni la costruzione di un coordinamento, di una prospettiva politica e di una prassi collettive. D'altra parte, però, restituisce, per altrettanto ovvie ragioni, la profondità dell'insofferenza e della rabbia che attraversa il paese e che è la radice sia dell'incapacità del governo e degli apparati della politica di fronteggiare la situazione sia delle reazioni scomposte degli stessi e, ce ne sono i fondati sospetti, delle tristi e note strategie di tensione e infiltrazione.

Infatti, sebbene la protesta sembra godere di un indubbio e diffuso favore, la tensione palpabile nel paese e negli appelli alle mobilitazioni sembra raccontare più di quanto si potrebbe immaginare dai numeri delle presenza in piazza: numeri importanti e destinati a crescere (fatte le debite proporzioni, è come se in due mesi in Italia fossero scese in piazza circa 600mila persone in totale in differenti città, di cui circa 40-50mila a Roma o Milano), ma non tanto quanto la qualità e l'intensità con cui la mobilitazione determina il discorso pubblico.

Ciò che impariamo è che la crisi che sta vivendo la governance in Slovenia è data dal sovvertimento del discorso pubblico, dal fatto che, parafrasando Camus, i cittadini sono ragionevoli: ovvero, che senza timidezza pretendono ciò che fino ad ora era predicato impossibile da immaginare.

Di seguito la traduzione di un testo diramato dai movimenti sloveni pochi giorni fa

La Provincia Ribelle d'Europa


Enormi manifestazioni di indignazione si sono viste in Slovenia alLa fine del 2012. Rivolte - così sono chiamate da chi le ha vissute - contro i politici corrotti e le misure di austerità. A fronte di condizioni di vita in rapido deterioramento a causa della crisi e dell'austerity, le persone hanno reagito pretendendo le dimissioni istantanee di una elite politica considerata corrotta, riforme del sistema politico che rendano possibile uno stretto controllo popolare sulle decisioni, e il controllo della ricchezza comune da parte di chi la produce.

Le rivolte sono cominciate a Maribor, la seconda più grande città della Slovenia, capitale economica e culturale del Nord-Est del paese, la regione più popolata e più povera.
La miccia delle proteste è stata la decisione, da parte della giunta cittadina, di introdurre un sistema elettronico di controllo del traffico in una cornice di partner-ship tra pubblico e privato entro la quale i proventi delle multe rappresentano il profitto del partner privato.

Una massa di persone furiose iniziò a distruggere i radar installati mentre attraverso i social networks e collettivi locali si organizzarono rivolte contro il sindaco Kangler, coinvolto in numerosi episodi di corruzione, il cui slogan era "Gotov si!" ("siete finiti!").
A seguito dell'elezione di Kangler al Consiglio di Stato, che è la seconda camera del Parlamento Sloveno in rappresentanza delle istanze locali, del lavoro e degli interessi delle imprese e che garantisce l'immunità ai suoi membri, la "rivolta di Maribor" acquisì un nuovo impulso.
Durante la Seconda Rivolta di Maribor, il 26 Novembre 2012, un abitante della città su dieci era in Piazza della Libertà. La folla tentò di raggiungere il Municipio, draconianamente difeso dall polizia che attaccò selvaggiamente i manifestanti usando gas lacrimogeni, agenti a cavallo e ed elicotteri. Molte persone furono bastonate e arrestate dalla polizia mentre difendevano il loro diritto a protestare.
Durante la Terza Rivolte di Maribor, il 3 Dicembre 2012, si riproposero violenti scontri con la polizia, ai quali parteciparono moltissimi giovani: la polizia riuscì a controllare il centro della città solo dopo quattro ore di conflitto. Più di 120 persone vennero fermate e 30 furono arrestate e incarcerate preventivamente, fino alla fine dell'anno.
Dopo ciò, il Sindaco promise di dimettersi entro la fine dell'anno, e infatti ha rassegnato le dimissioni il 31 Dicembre. Tuttavia, ciò non è stato sufficiente per gli abitanti di Maribor: essi pretendono che l'intera giunta e l'intero consiglio comunale si dimettano e hanno proclamato una nuova rivolta per il 7 Gennaio 2013.
La febbre di Maribor ha contagiato velocemente l'intero paese: praticamente in ogni angolo del paese hanno cominciato ad essere organizzate rivolte contro il governo, l'elite politica corrotta, i sindaci e i governi delle città. A Murska Sobota, il centro della regione orientale Prekmurje, quasi un terzo degli abitanti partecipò alla prima rivolta. In molti luoghi, specialmente a Maribor, Ljubljana e Jesenice, sono avvenuti scontri tra la polizia e le componenti più giovani.
La repressione poliziesca ha indubbiamente segnato questi primi due mesi di indignazione. Oltre agli arresti di massa e alle detenzioni preventive, il governo di destra fa uso di agenti provocatori per criminalizzare l'indignazione.
Durante la rivolta di Ljubljana, seguita alla Seconda di Maribor, apparvero gruppi di militari addestrati alla provocazione di piazza che organizzarono un iniziale battaglia contro la polizia fornendole il pretesto per attaccare i manifestanti.
In questo modo, il governo tentò di raffigurare l'indignazione dei giovani che si scontravano con la polizia come una cospirazione ora dell'estrema sinistra, ora dell'estrema destra o addirittura degli "islamici". Da allora la turbolenza sociale iscritta nei corpi dei giovani e nella rabbia che esprimono viene costantemente demonizzata in pubblico e vista con sospetto anche nelle componenti più pacifiche interessate in un cambiamento politico ma non troppo attente alle questioni sociali.
Lo spirito della rivolta non si è limitato alle pratiche di piazza ma si è visto nel breve e riuscito sciopero selvaggio alla Gorenje con i lavoratori che che scandivano "Gotof si" verso il loro AD.
Sembra che durante queste rivolte le persone abbiano iniziato a riscoprire il loro potere. Nonostante i motivi dell'indignazione e le aspettative sono molteplici come diverse sono le persone in piazza, questo primo ciclo di rivolte ha sedimentato delle rivendicazioni comuni: tutti devono dimettersi dalle loro posizioni, non solo il governo ma tutta la casta politica; il sistema politico deve essere cambiato in modo che i cittadini riconquistino un effettivo controllo sui politici e sulle decisioni; società ed economia devono essere riorganizzate in modo tale che le persone riconquistino il controllo sulla ricchezza comune.
In Gennaio è atteso un nuovo ciclo di rivolte in Slovenia. La seconda settimana di Gennaio inizia con una nuova rivolta di Maribor, con la richiesta che l'intero consiglio comunale si dimetta, e con una rivolta a Ptuj contro il governo corrotto della città. In seguito sono annunciate rivolte del sapere contro lo smantellamento di scuola e universitò pubbliche. Per arrivare a una seconda rivolta generale della Slovenia a Ljubljana.
Contemporaneamente, rivolte e proteste a livelli locali continuano ad accadere senza sosta.
I sindacati del pubblico impiego stanno spingendo per lo sciopero generale a fine Gennaio, e sarà non solo la prima volta che una mobilitazione popolare e una mobilitazione sindacale coesistono in Slovenia ma anche un evento di grande interesse poiché molti partecipanti alle rivolte esprimono aspre critiche alle leaderships sindacali e le rivolte stesse sono viste come la risposta dal basso all'incapacità dei sindacati di fronteggiare la situazione, la corruzione e l'austerity.

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Intervista a Franco Juri - ljubljana 21.12.2012

intervento di apertura alla manifestazione a ljubljana 21.12.2012

manifestazione a ljubljana 21.12.2012

Prima Rivolta di Maribor

Prima rivolta di ljubljana