Lacrime di coccodrillo

31 / 1 / 2013

Le prime dieci banche italiane hanno puntato sulla roulette dei derivati 218 miliardi di euro, una cifra pari al Pil della Grecia, e in costante aumento, malgrado la crisi (nel 2009 erano “solo 158 miliardi). Nonostante gli obiettivi puntati sullo “scandalo” del Monte dei Paschi di Siena, quest’ultima, con i suoi 18,3 miliardi di derivati, occupa solo il terzo posto in una classifica che vede in testa Unicredit (118 miliardi) e Intesa SanPaolo (59 miliardi).

Ma che i commenti attuali sulla situazione del Monte dei Paschi di Siena, volti ad accreditare la tesi delle “mele marce”, siano un capolavoro di ipocrisia, lo dimostra il fatto che fu proprio Mario Draghi, attuale commissario della Banca Centrale Europea, a consigliare, nel lontano 2001, alla Grecia il maquillage da derivati sui propri conti pubblici. E fu sempre lui, negli anni ’90 direttore generale del Ministero del Tesoro, a firmare contratti su prodotti derivati con Morgan Stanley per limare il debito pubblico italiano e far entrare il Paese nell’euro (vicenda per la quale il Governo nel 2009 ha pagato una penale di 2,5 miliardi).

Ma cosa sono i derivati?

Come si evince dalla denominazione, i contratti su strumenti finanziari derivati derivano il loro valore da altri beni o prodotti che ne formano il substrato sottostante.
L'esempio classico per spiegare il funzionamento di un derivato è quello delle navi inglesi che, nei secoli scorsi, seguivano la via delle Indie per acquistare e commerciare spezie. Il commercio poteva portare enormi profitti, ma era anche molto rischioso, considerato che i proprietari delle navi dovevano fare fronte ai pericoli delle traversate in mare aperto, dei pirati e di altra natura.
Per assicurarsi contro tali rischi, alcuni armatori iniziarono a vendere il loro carico di spezie prima ancora della partenza della nave, a un prezzo fortemente scontato. Chi acquistava in questo modo le spezie poteva quindi realizzare un profitto qualora la nave fosse rientrata, ma si assumeva anche i rischi connessi al viaggio.

In particolare, un derivato ha ad oggetto una previsione (o, per meglio dire, una scommessa) su indici di prezzo di determinate attività finanziarie di varia tipologia (ad esempio, quotazioni di titoli, tassi d’interesse, valute, materie prime, beni etc.) e giusto dall’andamento di tali indici esso trae il proprio valore.


Ma se pure siano nati come strumenti di copertura dei rischi, oggi la funzione dei derivati è radicalmente stravolta : basti pensare che, secondo un recente studio di R&SMedibanca, il 97% di quelli attualmente in tasca agli istituti europei è di tipo speculativo, ovvero serve unicamente per transazioni finanziarie all’unico scopo di fare soldi coi soldi. Percentuali simili si rilevano anche per le tre maggiori banche italiane : Unicredit (92%), Intesa SanPaolo (82%) e Monte dei Paschi di Siena (97,5%).Una finanza-casinò con cifre da capogiro : a giugno 2012, il valore dei derivati in circolazione sui mercati globali era pari a 637 trilioni di dollari, quasi 10 volte il Pil dell’intero pianeta.

Soprattutto, i derivati sono gli strumenti ideali della speculazione, permettendo di scommettere su un evento futuro, dal prezzo del petrolio a quello del cibo al fallimento di Stati sovrani. Oggi nel 99% dei casi non c'è la consegna del sottostante, ovvero su 100 derivati sul grano, uno si chiude con la consegna materiale del prodotto, gli altri 99 sono pure scommesse sul suo prezzo futuro.

In realtà una sterminata massa di scommesse esaspera l'instabilità dei prezzi. Non è un fastidioso effetto collaterale, ma il cuore stesso della finanza globale. La speculazione si nutre delle oscillazioni dei prezzi. Più tali oscillazioni sono ampie e veloci, più posso guadagnare. Più creo disastri tramite i derivati più i prezzi impazziscono, più posso estrarre profitti scommettendo sulle variazioni future dei prezzi stessi, più diventa interessante continuare a giocare, in una spirale senza fine.

Le proposte per arrestare questa follia ci sarebbero, a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie (FTT evoluzione della Tobin Tax promossa dai movimenti con una legge d’iniziativa popolare nel 2001), ma la sua versione italiana, inserita dal Governo Monti nella legge di stabilità esclude quasi interamente i derivati.

E il coccodrillo, fingendo di piangere, intanto digerisce.

Contributo per ecoNomia di Marco Bersani Attac Italia

Scheda : alcuni esempi di derivati

Interest Rate Swap

E’ una delle forme più diffuse di derivato finanziario.
Nel suo caso, l’elemento sottostante è costituito dall’andamento dell’indice di un tasso di interesse.
Le due parti (la banca ed il cliente) si obbligano ad effettuare dei reciproci pagamenti, secondo un piano di scadenze concordate, sulla base di un differenziale tra due tassi di interesse diversi (di solito uno fisso ed uno variabile) entrambi applicati ad un determinato capitale nozionale di riferimento.
In linea teorica, una impresa può essere interessata a stipulare un contratto IRS per contrastare o eliminare l’incertezza legata ad un debito contratto a tassi variabili, specie in un contesto previsionale di ipotetico rialzo dei tassi: in tal caso, il prodotto dovrebbe assolvere alla cosiddetta  funzione di copertura.
Spesso però nella pratica si è riscontrato che le banche abbiano venduto dei prodotti IRS di scarsa o di nessuna utilità per il cliente (impresa o ente pubblico).
Ad esempio, nel recente periodo triennale di tendenza al ribasso dei tassi, molti clienti sono stati paradossalmente penalizzati dal fatto di avere negoziato un IRS che, nonostante il fine dichiarato fosse quello di proteggerli da un rischio di rialzo dei tassi, li ha infine costretti a pagare alle banche dei cospicui differenziali tra il tasso fisso imposto dalla controparte e il tasso effettivo vigente al momento della scadenza (o delle scadenze) dei singoli flussi.

Commodity swap

Il commodity swap è un derivato collegato al prezzo di una merce o materia prima.
Le due parti (la banca e il cliente) si accordano per scambiarsi tra loro un prezzo fisso concordato contro un prezzo variabile, da determinarsi sulla base di parametri collegati  al costo futuro della merce o materia prima sottostante.
Durante l’efficacia del contratto ed alla fine di ogni periodo di riferimento, si possono presentare due distinte situazioni:

il prezzo variabile è più alto del prezzo fisso: la controparte pagatrice del prezzo variabile corrisponderà il differenziale, se positivo, tra prezzo variabile e prezzo fisso moltiplicato per la quantità per il periodo di riferimento.

il prezzo variabile è più basso del prezzo fisso: la controparte pagatrice del prezzo fisso corrisponderà il differenziale, se positivo, tra prezzo fisso e prezzo variabile moltiplicato per la quantità per il periodo di riferimento.

La funzione del commodity swap dovrebbe essere quella garantire il cliente dal rischio di oscillazione del prezzo di un determinato bene. Detto prodotto può essere funzionale sia a chi agisce su un mercato con funzione di venditore (ad esempio, un produttore di un bene alimentare) e voglia garantirsi dal rischio di eccessivo ribasso del prezzo di una merce e sia a chi agisce come importatore/acquirente di una determinata materia prima (ad esempio, petrolio, rame, ecc.) e voglia tutelarsi dal rischio di eccessivo rialzo del prezzo della stessa commodity.

Credit Default Swap

Il Credit Default Swap è una sorta di polizza assicurativa emessa a copertura del rischio di insolvenza creditizia.

Questo il suo schema-base: un venditore di protezione (protection seller) interviene in un rapporto pre-esistente tra un compratore di protezione (protection buyer) ed un terzo soggetto debitore del secondo (ad esempio, l’emittente di una obbligazione).

Il compratore di protezione, per evitare di sobbarcarsi (totalmente o solo parzialmente) il rischio di insolvenza del terzo soggetto (definito reference entity) preferisce cedere una quota del rendimento del suo credito (ossia, di solito, una quota dei suoi interessi attivi) a favore del protection seller: quest’ultimo, in cambio di tale beneficio, si impegna ad accollarsi tutta o una parte dell’eventuale perdita che il compratore di protezione dovesse subire in caso di insolvenza del terzo soggetto (reference entity).

Di recente, i CDS sono stati emessi in copiosissima quantità in relazione ai titoli del debito pubblico sovrano dei Paesi dell’area-Euro, contribuendo in misura decisiva all’ampliamento dello spread di rendimento tra i titoli dei Paesi relativamente più forti (come la Germania) e quelli dei Paesi più deboli (come la Grecia).