Da più di 24 ore siamo su questa isola, Lampedusa. Se è difficile intuire la fase e capire come agire rispetto agli stravolgimenti che stanno avvenendo su scala planetaria, è altrettanto difficile riuscire da qui, da questa terra spettacolarizzata e carcerizzata, trovare la lucidità necessaria per raccontare quello che si consuma sotto i nostri occhi.
Verso e oltre il porto vecchio di Lampedusa
Già fin dalla mattina centinaia e centinaia di giovanissimi ragazzi si
sono riversati sulla palata principale del porto vecchio. La prima
immagine che ci appare mentre lentamente ci avvicinavamo al porto per
incontrare i migranti, è quella di un formicaio umano, la grande
frenesia, di un unico corpo scomposto e ansioso, alla ricerca di pace e
di riposo, di risposte e libertà. Appena arrivati in prossimità del
porto, abbiamo capito che la giornata sarebbe stata lunga. Intanto
perché iniziavano a circolare le prime voci di possibili trasferimenti,
poi avvenuti durante il primo pomeriggio con alcuni aerei (circa 200 le
persone trasferite con questa modalità, destinazione probabile Manduria
Puglia), poi perché la tensione è rimasta costante per tutta la
giornata, da parte soprattutto dei giovanissimi, tensione nel cercare e
trovare risposte ai propri fragili e deboli sogni. Quelli di una vita
migliore, naufragata sulle coste bellissime, di un’isola abbandonata al
suo destino. Un destino che trova nel mare il suo significato, quel mare
crocevia di sogni, di culture, quel mare trasformato dalla Fortezza
Europa, in una frontiera spettacolarizzata, plasmata chirurgicamente per
respingere, confinare violentemente e brutalmente la mobilità dei corpi
in fuga e in cerca di protezione. Se poi ai corpi dei migranti si
devono sacrificare i corpi di altre 5.000 persone, abitanti di un’isola
aspra e dura, quanto bella, ciò non importa. L’importante è che continui
quello che abbiamo visto e contrastato negli ultimi dieci anni,
trasformare i migranti approdati, in clandestini, in barba ad ogni
norma, ad ogni minima garanzia per la persona e per la sua dignità.
Il Porto: primo dispositivo di confinamento e produzione di immaginario
E allora il Porto diventa un luogo simbolico di arrivo ma anche di
imbarbarimento: rifiuti sotto al sole, che si trasformano in odori acri e
materiale decomposto, coperte sporche e umide accatastate una
sull’altra, tonnellate di bottigliette di plastica sparse ovunque. Dove
saranno tutte le persone che hanno bevuto quell’acqua? Dormito in quelle
coperte? Quale il loro destino?
Attesa, detenzione, confinamento, espulsione, sono le uniche cose che ci
vengono in mente. Quando i migranti si avvicinano a noi, vorremmo poter
sorridere serenamente, poter dare risposte rassicuranti, ma gli unici
dispositivi e interventi che abbiamo sentito e visto praticare, in
Italia e in Europa, che si tratti della continua produzione di
clandestinità o irregolarità forzata, che si tratti di sfruttamento o
discriminazione, ci indicano chiaramente proprio come sul terreno della
cittadinanza e della sua difesa, si sia limitato quello che di più
bello e vero portano con se questi giovani uomini: il sogno di poter
scegliere, di poter decidere di andare o di restare, di poter cambiare o
autodeterminare, la propria vita.
Mentre tutti questi pensieri ci attraversano - non riusciamo a fermarli -
sentiamo forte salire la tensione, accadono alcune cose significative.
I Pasti
La prima è che durante la somministrazione dei pasti a pranzo, si è sollevato un coro generale, quasi salmodiante, che si avvertiva anche da lontano, perché i pasti distribuiti erano stati trasportati su un furgone della nettezza urbana. La qualità del cibo non sembra ottimale (piatti pronti e imballati), così come le quantità. Cercando di raccogliere alcune informazioni attraverso alcune associazioni locali per capire chi gestisce il servizio viveri, appare chiaro che nella “gestione umanitaria dell’emergenza” ci sia un certo business da parte di alcune coop. Si parla di 30 euro al giorno per migrante.
Sbarchi o Recuperi?
La seconda è che nel pomeriggio abbiamo assistito a tre “recuperi”.
Circa duecento i nuovi arrivi. Questo crediamo sia un aspetto molto
importante da segnalare. Gli arrivi dell’ultima settimana non sono
sbarchi, le carrette del mare, non arrivano autonomamente sulle spiagge
di Lampedusa, ma vengono individuate a largo e trainate o traghettate al
porto dalle motovedette della finanza o della Marina militare.
Su questo punto i Lampedusani sono molto insistenti, come a voler
confermare che gli abitanti dell’isola hanno svelato e capito il piano
del governo, piano che chirurgicamente e strategicamente ha trasformato
quest’isola in un centro di identificazione ed espulsione a tappe.
Infatti mano a mano che passano i giorni, i giovani di Tunisi, vengono
fatti avanzare sul molo, per ordine di arrivo. L’organizzazione è
completamente delegata da parte delle autorità presenti (forze
dell’ordine comprese) ad alcuni migranti che vengono identificati come
capi gruppo, la discriminante e che sappiano parlare italiano. Sono
questi capi gruppo, a cui viene delegato l’aspetto di controllo sugli
altri migranti, che li organizzano e li fanno sistemare in file indiana.
Il paradosso è che si autorganizzano verso le identificazioni presso il
centro locale (possibile anticamera per la successiva espulsione) e
verso nuove detenzioni in altri campi come il Cie provvisorio di
Manduria in Puglia.
Minori
Quello che colpisce è vedere nel caotico stiparsi di centinaia e
centinaia di persone, tantissimi ragazzini, stretti nei loro giacchetti o
avvolti nelle coperte. Quattordici, quindici, sedici anni, queste le
loro età. Colpisce parlando con loro che a differenza di quasi tutti gli
altri tunisini presenti, non parlino francese ma solo arabo e che
provengano dai villaggi rurali intorno alla capitale e che molti siano
orfani di entrambi i genitori. Altri invece sono stati spinti dalle
famiglie a partire. Proviamo a spiegargli che in Italia per i minori
stranieri non accompagnati è previsto uno status, una protezione
speciale, ma quando chiediamo se sono entrati i contatto con degli
operatori ci viene risposto che nessuno ha parlato con loro. Save the
Children che opera sull’isola e che abbiamo contattato, dice che sono
tantissimi, che sono stati tutti censiti e sistemati in alloggi sicuri e
protetti (Museo del mare), ma che preferiscono dormire all’agghiaccio
con gli adulti con cui sono partiti, vicini di casa o amici di parenti,
adulti ai quali sembrano essere stati affidati dai famigliari.
Tendopoli e dormitori sotto il cielo
Tutto intorno al porto la collina che lo sovrasta e la spiaggetta
limitrofa sono trasformati in un enorme tendopoli improvvisata con teli
di fortuna e legni di alberi raccolti dal mare. Difficile quantificare
quante siano le tende che appaiono alla nostra vista, sembrano montagne
di sacchetti di plastica abbandonate in quel luogo da anni, ma
all’interno ci sono persone sdraiate che cercano riposo o protezione
anche durante il giorno dai caldi raggi del sole. Qui si trovano i
migranti appena sbarcati o arrivati da qualche giorno. Per gli altri,
arrivati da una settimana, c’è un’altra tendopoli improvvisata ed
allestita nei pressi del centro di identificazione, posto al centro
dell’isola
Evacuazione come produzione di clandestinità
Il piano di evacuazione annunciato non sembra essere adeguato per
rispondere alla necessità di risolvere da subito la situazione. Per
duecento che partono in direzione di nuovi dispositivi di
imprigionamento, ne arrivano altrettanti. Naturalmente della possibilità
che per decongestionare la situazione, venga riconosciuta ai migranti
che hanno sfidato i confini dell’Europa la libertà di arrivare e di
andare, di scegliere dove stare, attraverso lo strumento della
protezione temporanea, nessun segnale. Anzi.
Mentre l’isola e i suoi abitanti soffrono rispetto alla possibilità di
tornare ad una vita normale (come si fa a tornare ad una vita normale
quando scorrono ogni giorno queste immagini di sofferenza e
assoggettamento di migliaia di persone abbandonate a se stesse?!), la
fabbrica della clandestinità è a pieno regime. Nuovi e improvvisati
centri di identificazione ed espulsione vengono allestiti sulla terra
ferma, per trasformare ancora una volta la lunga attesa e l’auspicata
partenza verso il luogo di destinazione scelta da migliaia e migliaia di
persone nell’ennesima produzione di violenza e comando del confine.
Welcome
Chiedere oggi, agire e costruire dal basso nei prossimi giorni, una
grande campagna per la protezione dei migranti e la libertà di
circolazione europea, è l’unico modo che intravediamo per riaffermare il
diritto dei cittadini di Lampedusa e allo stesso tempo quello dei
migranti.