Lampedusa - Italia: la macchina della paura a pieno regime

28 / 3 / 2011

Vista dalla terra ferma, l’isola di identificazione e detenzione, per chi ha trascorso lì alcune giornate, in compagnia dei migranti abbandonati e spettacolarizzati o degli isolani frastornati e giustamente arrabbiati, non fa paura, ma produce una grande rabbia e indignazione. Un piano di evacuazione non c’è perché l’isola serve così. Serve mostrarla così.

Abbiamo bisogno di conferme alle nostre intolleranze, alla nostre idee stereotipate e xenofobe, che non fanno distinzione fra le appartenenze politiche, ma anzi, ci fanno sentire tutti più italiani ed europei. Lampedusa infatti non fa che ricordarci che i migranti sono sporchi, incivili, che mangiano come animali, che ci vogliono invadere, privare della nostra religione, della nostra libertà. Questo è quello che vogliono farci credere.

E così, le prime tv che troviamo all’aeroporto di Palermo e i primi servizi dei tg che riusciamo a vedere ci stringono lo stomaco.

Dal cuore dell’isola, l’unica cosa a cui potevamo pensare era la contingenza e la necessità di provare a raccontare quei dispositivi di confinamento contro i quali da sempre abbiamo agito nel corso di questi anni; ora ci rendiamo conto che la spettacolarizzazione di vite umane trasformate in corpi da sacrificare, isolani compresi, non sono solo funzionali alla produzione del confine ma anche alla macchina della paura e del razzismo, con tutti i suoi attori e peculiarità.

Ovvero trasformare, produrre profitto “sull’emergenza e dall’emergenza”.
Per queste ragioni l’isola prigione costruita ad hoc dal governo e dall’Europa, anche grazie ad una narrazione stereotipata dei media mainstream (ripetizione continua di frame dominanti come gli approdi e i recuperi in mare o l’indecenza e la disumanità di un’isola trasformata in discarica umana e di rifiuti), diviene ora la più grande macchina di produzione della paura post moderna.

Dal Lago la chiamava “tautologia della paura”, Diamanti oggi in un bell’articolo, la definisce “sindrome dell’assedio”.
L’assedio e la paura servono ora non solo a garantire continuità ai confini della Fortezza Europa ma a ridefinire più in generale il terreno della cittadinanza e della brutalità agita sui corpi di queste persone. Per questo le prime proteste fuori dai Cie di nuova generazione (Mineo e Manduria) scattano grazie a sentimenti sviscerali e razzisti e non per chiedere la libertà di circolazione per i migranti e il riconoscimento del loro status di protezione temporanea.
Questa è la sfida che Welcome prova e deve provare a vincere, a partire da Lampedusa ma anche dagli altri territori. È in gioco il futuro di tutti e tutte noi, così come la possibilità di costruire un’alternativa reale, politica e sociale, agli stravolgimenti epocali che grazie alla crisi stanno ridefinendo in modo violento un nuovo comando sul bios.
Non possiamo restare a guardare!

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* di ritorno dal Presidio Welcome a Lampedusa