Lampedusa - Nel tempo dell’attesa

22 / 4 / 2011

Tre ragazzi tunisini, da tempo residenti a Lione regolarmente, vengono a sapere che i rispettivi fratelli (tre famiglie diverse) sono sbarcati a Lampedusa. Si mettono in viaggio e raggiungono l’isola. Bussano al centro in cui sono rinchiusi. Chiedono di poterli vedere. Gli si dice di mostrare i documenti, bisogna controllare. I tre ragazzi forniscono i loro documenti. Dopo un po’ un’ufficiale dei Carabinieri riferisce loro l’esito della verifica effettuata: i loro fratelli sono già da tre giorni al Cie di Modena, spiacenti. Dramma? Non proprio. Farsa.

I ragazzi di Lione insistono: è impossibile, abbiamo parlato con loro solo poche ore fa e ci hanno detto di essere qui. Vogliono solo poterli vedere, poterci parlare. Niente, non si può, non ci sono, non c’è nulla da aggiungere.

Il tutto avviene sotto gli occhi di alcuni giornalisti che assistono increduli alla scena. Eh si, increduli, perchè si scoprirà poche ore dopo che i ragazzi da poco sbarcati non sono affatto a Modena. Erano a Lampedusa, forse partiti (rimpatriati) un paio d’ore prima, forse addirittura in lista per il volo successivo e quindi ancora dentro il centro mentre veniva chiesto di loro.

Perchè tutto ciò? Perchè impedire a dei cittadini Ue (certo, di origine tunisina, ma regolarmente abitanti in Francia) di poter vedere dei loro parenti o anche solo di poter sapere la verità su dove essi sono, sulla loro destinazione?

Storie di ordinaria amministrazione a Lampedusa.

Come la storia di una donna che da alcuni giorni gira per le vie del paese. Ormai la conoscono tutti, è la mamma di un ragazzo sbarcato non si sa bene quando e presentatosi spontaneamente al centro pochi giorni fa. Lei vive a Trapani regolarmente da vent’anni e vorrebbe riavere suo figlio con sé. Ma suo figlio al momento è un numero, nient’altro, il Sindaco di Lampedusa si interessa “gentilmente” al suo caso (di fronte ad una mamma il cuore si intenerisce, davanti ad una telecamera poi...) ma non si sa cosa si potrà fare, c’è chi dice che gli verrà dato un permesso speciale di due settimane (esiste veramente?) ma dopo che succederà?

Storie, due semplici storie tra le migliaia che passano di qui e di cui nessuno si interessa.

Ormai il circo mediatico è in smobilitazione. Non arriva più nessuno, il mare è grosso, ci sono le feste di pasqua da passare in famiglia e insomma “non c’è più notizia, s’è sgonfiato tutto...ci vorrebbe un barcone che affonda per riprendere tutto...”.

Lampedusa è svuotata, al momento sembra vi siano ancora solamente 82 migranti sull’isola, partono due aerei al giorno con trenta tunisini per ogni volo (accompagnati ognuno da due poliziotti, per un totale di 90 posti ogni volo) alla modica cifra di circa 150.000 euro a botta. Le compagnie aeree sono le più diverse, a seconda di dove c’è posto, o meglio, a seconda di chi ha charter liberi da affittare. Per i non tunisini invece ci sono i traghetti, le navi che a botte di 800-1000 persone imbarcano verso i vari centri dislocati sulla penisola carne umana stipata a chili, senza che vi sia personale civile, assistenziale o sanitario, ad accompagnarli in viaggi che durano a volte anche giorni, peregrinando da un posto all’altro in modo un po’ casuale, solo ed esclusivamente polizia e carabinieri. Su queste navi c’è di tutto: richiedenti asilo, persone scappate dalla guerra, situazioni giuridiche molto diverse anche alla luce delle seppur strette leggi italiane. Eppure si smistano a carrettate, a pacchi, senza discerne, senza sapere, informarsi, capire.

Sull’isola rimangono poliziotti ovunque, nuova fonte di economia locale per alcuni (anche se il pagamento con fattura a 90 giorni da parte dello stato non rende felici gli isolani spesso abituati ad una sorta di paradiso fiscale non dichiarato) in una sorta di Alcatraz moderna, un carcere diffuso a cielo aperto per certi versi simile alla Manhattan di “fuga da New York”.

In realtà qui si stanno facendo le pulizie di Pasqua, oggi si sono visti i primi, timidi e corteggiatissimi gruppi di turisti, avanguardie di quell’onda che tutti sperano arrivi, portando con sé non più facce scure e squattrinate bensì volti bianchi e danarosi.

Dulcis in fundo arriverà anche la protezione civile. Quella stessa che non s’è minimamente fatta vedere da queste parti nel momento critico del bisogno umanitario. Ma che a brevissimo smantellerà il cimitero di barconi sequestrati con cui sono arrivati i migranti che ondeggiano al porto abbandonati (ma controllati dall’esercito, chissà poi perchè).

Barconi che contengono ancora salvagenti, indumenti, pezzi di pane, scarpe, coperte, pezzi di quelle poche cose che dall’altro lato del mare qualcuno ha provato a portarsi dietro per cambiare la propria vita, la propria storia...quella storia che qui ancora troppi non vogliono ascoltare, vedere, sapere.