Il pentito Carmine Schiavone parla di come il sistema messo in piedi dai Casalesi ha avvelenato il Lazio e Campania. Ma svela anche come gli apparati dello Stato erano tutti al soldo del clan.

Lo Stato-Mafia nelle parole di Schiavone.

di Antonio Musella

24 / 8 / 2013

Nessuno ci vendicherà: / la nostra pena non ha testimoni
(da “Amore non ne avremo” di Peppino Impastato).

Le parole del pentito Carmine Schiavone rilasciate appena qualche giorno fa alla collega Chiara Cerqueti, fanno un certa impressione. Non tanto per il loro contenuto relativo ai rifiuti. Il sistema di sversamento ed interramento dei rifiuti tossici speciali tra la provincia di Latina e quella di Napoli è una verità storica ormai inconfutabile. La storia del clan dei Casalesi ha visto come business maggiormente remunerativo proprio il sistema di smaltimento illegale dei rifiuti speciali. E mentre alle aziende del nord e del centro Europa venivano offerti prezzi stracciati per lo smaltimento i fanghi pericolosi, la popolazione di due regioni, la Campania ed il Lazio veniva avvelenata per sempre.
Ciò che però mi ha colpito davvero delle parole di Schiavone sono due affermazioni. La prima è una constatazione che è stata sostenuta da tempo da una piccola parte di quel movimento, in grado di andare dalle parrocchie ai centri sociali, che in questi anni ha denunciato con forza l’avvelenamento del territorio. Schiavone racconta come il clan dei casalesi “manteneva tutte le caserme….polizia, carabinieri e guardia di finanza”. L’ex componente della cupola dei Casalesi entra nello specifico economico: “spendevamo 3 miliardi al mese di cui 500 milioni per corruzione”. I tutori dello Stato, quelli che avrebbero dovuto difendere i cittadini dai criminali, quelli che avrebbero dovuto contrastare quei traffici che hanno irrimediabilmente avvelenato il litorale del Lazio e della Campania erano tutti al libro paga dei Casalesi. Lo Stato ed il cosiddetto anti-Stato, andavamo pacificamente a braccetto. Magistrati coraggiosi sarebbero arrivato solo anni dopo. Le inchieste di Sirleo, Noviello, Ceglie, Cantone, sarebbero arrivate solo troppo tempo dopo. Intanto nelle cave tra Latina e Castelvolturno, anche in quelle di sabbia nei pressi del litorale, quelle che scendevano fino a 18 metri sotto il livello del mare raggiungendo l’acqua, si sversavano gli scarti industriali di tutto il paese. Per garantire i profitti di un fabbrica in Toscana si avvelenavano milioni di persone al Sud con il controllo vigile - senza eufemismi - degli apparati dello Stato. Il controllo consisteva nel garantire che tutto andava come dovesse andare, ovvero che a tutela degli interessi di una parte del paese se ne avvelenasse un’altra. Senza dubbio questo tipo di sistema messo in piedi dai Casalesi non è stato e non è l’unico nel paese. Imprenditori e criminali spesso, molto spesso, sono categorie che si sovrappongono fino a diventarne una sola. E se i Casalesi avevano costruito un sistema sulla direttrice Nord-Sud del paese, altri sistemi locali hanno fatto danni ugualmente. Basta guardare i casi della diossina di Brescia, dell’avvelenamento delle lagune in Friuli, dell’amianto in Toscana ed altri mille esempi di inquinamento criminale frutto delle attività industriali. Lo Stato va visto sempre tenendo presente di quella preziosa chiave di lettura fornitaci da Luciano Ferrari Bravo, la categoria dello “Stato-Mafia” dentro il quale interessi economici convergenti si fondono nel controllo del monopolio della forza e nella repressione delle spinte sociali che si prefiggono di rovesciare il sistema.
Alcuni potrebbero pensare che le dichiarazioni di Schiavone si riferiscano solo al tempo passato. Ma ascoltando attentamente le parole dell’ex boss non ci si può non porre delle domande. Schiavone dice di essere stato ascoltato dalla commissione d’inchiesta parlamentare sulle ecomafie, dice di aver dato i nomi delle società che erano in affari con i casalesi sullo smaltimento dei rifiuti, dice di aver addirittura dato le targhe dei camion che trasportavano rifiuti. E’ possibile che nessuna di queste aziende, nessuno degli intermediari, nessuno degli appartenenti alle forze dell’ordine colluso, sia mai stato indagato?
La storia recente delle ecomafie ci racconta di una serie infinita di prescrizioni e processi finiti nel nulla. Eppure, tranne il processo Pellini – in cui sono stati coinvolti e condannati appartenenti all’Arma dei Carabinieri sul territorio di Acerra – in nessun caso questo oleato sistema, il volto vero dello Stato-Mafia, quell’insieme di imprenditori, camorristi, politici e forze dell’ordine, è mai apparso in tutta la sua limpidezza. Delle due l’una. O Schiavone ha raccontato fatti parziali o addirittura mendaci, oppure c’è stata una precisa volontà politica e giudiziaria di non andare fino in fondo.
In ogni caso bisogna sempre fare attenzione a dare il giusto peso a Schiavone. E’ un pentito e non gli va dato alcun onore.
Non trovo per nulla toccanti le sue affermazioni sulle “malformazioni neonatali che significano uccidere un bambino dalla nascita”. Anzi il secondo aspetto che maggiormente mi ha colpito delle dichiarazioni di Schiavone riguarda i suoi figli. Quando parla di suo figlio Francesco dice che è “un ragazzo per bene”. Senza dubbio non può che essere un sollievo che il figlio di uno dei capi della cupola dei Casalesi non abbia scelto la vita mafiosa, non può che essere motivo d’orgoglio innanzitutto per lui. Ma Schiavone aggiunge che suo figlio “ha un modo di pensare da ragazzo del nord”. In questa affermazione c’è tutto il disprezzo, assurto a dogma culturale, che i camorristi hanno per i giovani meridionali. Per loro i giovani delle loro terre potevano essere buoni solo come killer, criminali, esattori, oppure come esercito di forza lavoro disponibile a buon mercato per le aziende del nord, oppure infine, utili ad ingrossare le fila delle forze dell’ordine cosi’ poco temute dai Casalesi. Vede signor Schiavone i giovani del sud sono quelli che maggiormente si sono battuti contro l’avvelenamento della propria terra. Sono quelli che quando il suo clan era tutt’altro che colpito a morte, avevano la forza di denunciare il legame tra le scelte politiche e gli interessi criminali. Sono quelli che oggi si battono per la bonifica di un territorio che lei stesso insieme ai suoi compari ha avvelenato. Sono quelli che si battono contro la corruzione, quelli che credono che l’unica antimafia possibile sia quella in grado di mettere in discussione lo stato di cose presenti e non quella che di fatto ne rappresenta la faccia pulita e politically correct, fatta di feste della legalità, campeggi da boy scout ed etichette di legalità. Vede signor Schiavone i ragazzi del sud sono ancora quelli costretti ad emigrare, a fare i conti con la disoccupazione e la precarietà, sono quelli che però decidono anche di mettere al servizio delle loro terra quelle che sono le conquiste soggettive, le esperienze, i saperi.
Mossi dalla dignità e non dal calcolo.