In vista della assemblea nazionale del 15-16 novembre a Roma

L'Onda Anomala prepara la grande mareggiata!

Appello della Sapienza Occupata per l’Autoriforma dell’Università

11 / 11 / 2008

Abbiamo attraversato settimane di intensa mobilitazione, che hanno visto la partecipazione di migliaia di studenti e precari di tutte le università, nelle occupazioni, nelle manifestazioni spontanee, nei blocchi dei nessi produttivi nelle città.
La parola d’ordine, che ha viaggiato con la rapidità della propagazione delle onde, «Noi la crisi non la paghiamo!», è l’espressione di un’intelligenza collettiva che si forma nelle lotte ed esprime completa il rifiuto a pagare i costi della crisi globale.
Da più di un mese assistiamo al crollo sistematico delle borse mondiali, preludio alla vera crisi, quella dell'economia reale. Chi è sopravvissuto fino ad oggi indebitandosi con le banche sarà esposto al rischio di perdere da un lato la capacità d’acquisto e dall’altro la fonte principale di finanziamento dell’apparato produttivo e industriale. In Italia la risposta del governo è chiara: racimolare soldi tagliando indiscriminatamente la spesa pubblica per sostenere il sistema bancario.
La legge 133 prevede infatti una serie di provvedimenti volti a “razionalizzare e ridurre la spesa e il debito pubblico”. Tra i settori che più vengono colpiti da tagli e privatizzazioni ci sono scuole, università e ricerca. Infatti, insieme alla drastica riduzione del personale, si prevede la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazione di diritto privato, cancellando così il carattere pubblico dell’istruzione come sancito dalla Costituzione.
Non ci sorprendiamo, sono ormai 15 anni che universita’ e ricerca non vengono considerati come settori strategici in cui investire, sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra. Crediamo che l'uscita dalla crisi sarà possibile solo investendo in un modello capace di coniugare maggiori investimenti nelle scuole, nell'università e nella ricerca, pubblica e libera dalla dicotomia stato-mercato.
Noi la crisi non la paghiamo! Significa in primo luogo la richiesta di abrogazione delle leggi 133 e 137, in quanto strumenti principali di dismissione di scuola ed università.
Occorre ora continuare ad immaginare una nuova analisi adeguata alla controffensiva proposta dal Governo proprio in questi ultimi giorni. Le linee guida dell’ultimo decreto Gelmini sull’università, aldilà delle presunte "astuzie" comunicative, ci consegnano il quadro più complessivo del tentativo di riforma: differenziare i finanziamenti per gli atenei, usare la retorica del merito per dequalificare i saperi e costruire gerarchie nel mercato del lavoro, imporre una presunta logica dell'efficienza produttiva per innalzare le rette, rafforzare i numeri chiusi e introdurre i prestiti d’onore, ovvero quel meccanismo del debito che sostanzia i processi di finanziarizzazione del welfare, così come la loro crisi. Proprio tale dispositivo (ampiamente dispiegato nella corporate university, ma che già qualifica in nuce la specificità del sistema didattico del 3+2 e dell’ultimo decreto di Mussi) diventa proposta politica ed economica da un lato per privatizzare – ovvero abbandonare alla sua inerziale rovina – l’università, dall’altro far pagare direttamente agli studenti i costi della formazione. Di fronte a questo programma, la proposta di copertura delle borse di studio per gli idonei non vincitori, è una magra consolazione, il tentativo di un Governo in profonda crisi di avanzare una mediazione minima, nel tentativo di innalzare una flebile diga per arginare qualcosa di molto travolgente. Questo qualcosa si chiama onda anomala.
L’assemblea nazionale del 15 e il 16 novembre sarà un’occasione di discussione importante per tutte le facoltà e gli atenei in mobilitazione, non solo per intensificare la critica rispetto alla legge 133 e ai futuri sviluppi delle politiche di governo, ma soprattutto per concepire una prima discussione che si ponga come obiettivo quello di garantire l’estensione e la durata di questo movimento. Progetto solo in apparenza ambizioso, se si considera che le condizioni per dare una dimensione di complessività e di continuità a questa protesta già si stanno affermando: questo movimento, infatti, nel contestare delle riforme specifiche, già rivolge una critica più ampia a tutto il sistema della formazione e del lavoro. Nel corso di questa mobilitazione, infatti, ogni giorno già poniamo in essere un modo radicalmente differente di attraversare e vivere le nostre università, di creare saperi, di condividere conoscenze e relazioni, di costruire e ripensare alla radice il concetto di pubblico.
Si tratta ora, con questa prima discussione nazionale, di definire un progetto ampio che riesca ad immaginare i discorsi e le pratiche comuni attraverso cui continuare a far vivere la straordinarietà di quello abbiamo fin qui prodotto. Si tratta allora di progettare un’autoriforma, cioè di dar vita non solo ad un’assemblea programmatica, ma ad un momento costituente, in cui tutti insieme definire una proposta di riforma possibile per l’università. Criticare il definanziamento e il progetto di dismissione del sistema formativo significa infatti non attestarsi alla conservazione dell’università esistente, come l’abbiamo vissuta fino ad adesso, perché quell’università è il luogo di moltiplicazione della precarietà, di dequalificazione dei saperi, della subordinazione al potere baronale. La sfida, ben più radicale, è di individuare le tracce progettuali attraverso cui trasformare l’università, non in un più o meno lontano futuro ma nel presente.
L’unica riforma possibile è quella che abbiamo già iniziato a praticare, come studenti, ricercatori e dottorandi, il sapere vivo che anima i diversi settori della formazione. L’autoriforma è per noi l’affermazione concreta di quell’esercizio di libertà collettiva che stiamo conquistando, la pretesa minima di un movimento che già si sta esprimendo in tutta la propria indipendenza e irrapresentabilità da partiti e sindacati.
Rifiutare di delegare ad altri la decisione sull’università, significa cominciare a definire linee di autonormazione attraverso cui far vivere un nuovo modello della formazione.
L’autoriforma è infine il modo per continuare ad agire, come stiamo già facendo, all’altezza e oltre la crisi, per costruire tutti insieme un campo nuovo di possibilità dentro e fuori le università, continuando a propagare e ad organizzare le onde. Perché il tempo della trasformazione è qui e comincia ora. Anzi, è già cominciato.

Proponiamo, dopo una prima plenaria di presentazione dei lavori gestita dalla Sapienza in mobilitazione, la suddivisione dell’assemblea in tre workshop tematici: Didattica, Welfare e diritto allo studio, Formazione e lavoro. Al loro termine le presidenze dei workshop si riuniranno per definire dei report da presentare il giorno successivo in plenaria assieme ad una proposta di agenda politica. In contemporanea si svolgerà una riunione per affrontare il tema delle forme organizzative e di coordinamento degli atenei in mobilitazione.

Sabato 15 Novembre
10.30- 13.00 Plenaria
13.00- 14.00 Pranzo
14.00- 17.30 Workshop
17.30- 18.00 Coffee Break
18.00- 21.00 Workshop
21.00- 23.00 Riunione delle presidenze dei Workshop (report dei tre punti tematici e agenda)
Riunione sulle forme di autorganizzazione del movimento

Domenica 16 Novembre
9.00- 12.00 Plenaria
12.00- 16.00 Assemblea Scuola e Università


Primo Workshop
Didattica
Le riforme che hanno ridisegnato l’università negli ultimi quindici anni l’hanno consegnata all’interno di un paradosso: proprio nel momento in cui si poneva il problema della capacità di fornire una formazione in grado di introdurre al mondo del lavoro, tanto più si produceva precarietà, crisi, mal funzionamento. Una generazione intera è stata utilizzata come cavia per esperimenti mai riusciti. La famigerata “riforma Zecchino” partiva dai seguenti presupposti: l'università italiana produceva un numero ridotto di persone con un livello di formazione eccellente, ed in un tempo troppo lungo; i laureati erano troppo pochi e troppo in avanti con gli anni rispetto ai loro colleghi europei. Troppe persone andavano fuori corso, non si laureavano o si laureavano in tempi troppo lunghi. Il “3+2” nasceva quindi con l'obiettivo di concepire una nuova laurea, la triennale, in grado di fornire velocemente un grosso numero di studenti spendibili e competitivi nel mercato del lavoro italiano ed estero.
Si trattava insomma della produzione di quel “capitale umano” divenuto ormai strategico nell'epoca della globalizzazione: la trasformazione della forza-lavoro in soggetti economici in grado di muoversi come “imprenditori di sé stessi”, attraverso un livello di competenze attestato che rendesse autonomi, in grado di aumentare la propria efficienza e il proprio valore lungo il corso del tempo, e che permettesse, nello stesso tempo, un livello di reddito adeguato. La ristrutturazione dei percorsi formativi, e l'introduzione del sistema dei crediti seguivano il medesimo intento: da una parte, finalizzare il curriculum ad un profilo professionalizzante e introdurre una stretta cogenza tra questo e gli ambiti disciplinari; dall'altra, misurare, attraverso la quantificazione in crediti del “lavoro” universitario accumulato, le competenze professionali.
Oggi assistiamo al completo fallimento della riforma. Nulla di tutto quello che era stato messo in campo ha sortito il suo effetto, ed anzi l'università italiana versa da allora in uno stato di crisi continua. Il sistema del “3+2” non è riuscito in alcun modo a determinare quel filtro in funzione del quale era stato pensato; presto ci si è resi conto che la laurea triennale ha permesso al massimo un lavoro sottopagato, dequalificato e precario, e per di più fin da subito si è innescata l`esigenza di ulteriori livelli di formazione. La proliferazione degli esami ha prodotto un’evidente frammentazione dei saperi, il conseguente sviluppo di un sapere tecnicistico e destinato ad una rapida obsolescenza a scapito di una formazione complessiva e critica. Se a questo si aggiunge l’introduzione delle prove in itinere e la frequenza obbligatoria è evidente il forte irrigidimento dei tempi di vita e di studio.
D’altra parte c’era da aspettarselo: la trasformazione dell’accademia da servizio pubblico a soggetto economico erogatore di prestazioni, la liberalizzazione dei servizi formativi e la deregolamentazione del mercato delle competenze non poteva fare altro che diminuire il potere contrattuale degli studenti e dei precari della ricerca. E così un sistema didattico imbrigliato e asservito alla logica della misurazione è divenuto il luogo attraverso cui inoculare il senso di inadeguatezza rispetto al mercato del lavoro: manchevolezza continua rispetto alle richieste delle imprese e dell`università, necessita di riempire il tempo privato con uno studio mai riconosciuto, e richiesta di stages e tirocini sottopagati se non gratuiti o di master costosissimi.
In questo contesto pensare un’autoriforma della didattica significa cominciare ad agire nell’università una trasformazione radicale. A questo proposito è necessario avviare un ragionamento riguardante l’accorpamento degli esami, l’abolizione del sistema del credito, della frequenza obbligatoria e dei numeri chiusi; la messa in discussione dell’attuale sistema didattico basato su una trasmissione verticale del sapere, tanto attraverso una didattica partecipata quanto tramite percorsi di autoformazione autogestiti dagli studenti.
Svincolare i propri progetti di studio, ripensare percorsi universitari all’insegna dell’autonomia, liberare il proprio tempo e la circolazione dei saperi, tutto ciò costituisce l’unica via nell’università riformata per garantire l’indipendenza della ricerca e la riqualificazione dei processi formativi.

Secondo Workshop
Welfare e diritto allo studio

Nell'ambito del progetto di autoriforma dell'università, la connessione tra welfare e diritto allo studio è elemento centrale del nostro dibattito in vista della costituzione di un’università autonoma dalla dicotomia stato/mercato.
I ministri Tremonti e Gelmini tentano di mettere a sistema la possibilità di contrarre prestiti da parte degli studenti per poter finanziare il proprio percorso formativo (laurea, master, specializzazioni). L'aumento vertiginoso delle tasse universitarie, auspicato dai progetti di riforma del governo, e il rafforzamento del meccanismo dei prestiti d'onore costituiscono un dispositivo di indebitamento che, come dimostrano le accademie anglosassoni, amplifica il processo di precarizzazione che già da anni ha investito i soggetti della formazione. Non è più in questione solo l'esclusione dall'università, anzi, la richiesta di formazione è incomprimibile: i prestiti d'onore consentono di utilizzare un welfare privatizzato in assenza di fondi pubblici e investimenti privati.

Pensiamo ad un tavolo che riesca a dar vita ad una discussione adeguata al problema della crisi sia finanziaria che dell’università: continueremo ad opporci ad una logica che ci vuole vedere indebitati per poter accedere alla formazione universitaria, anzi, rivendichiamo denaro per poter decidere del nostro presente.
La richiesta di reddito diretto per tutti i soggetti sociali, o il salario sociale dei soggetti in formazione, costituiscono un punto centrale all’interno del progetto di autoriforma dell'università: sono la misura di quell'autonomia soggettiva che ci libera dal ricatto del lavoro precario.
Così come si tratterà di definire un progetto complessivo che riesca a dar vita a dei percorsi vertenziali di rivendicazione delle forme di reddito indiretto: come é alla base di molti sistemi di welfare europei, vogliamo usufruire di servizi fondamentali come la casa, le borse di studio, le mense, l'accesso alla cultura (cinema, libri di testo, teatri, musei, tecnologie informatiche) e ai trasporti, per garantire la libera mobilità di studenti, dottorandi e ricercatori.


Terzo Workshop
Formazione e lavoro

Università e lavoro rappresentano un connubio inscindibile dal quale un progetto di autoriforma non può prescindere.
Oggi l'offerta didattica, asse portante dell'università, è in larga misura condizionata e subordinata alle necessità del mercato del lavoro, quando non direttamente asservita alle richieste del piccolo e medio imprenditore locale. Al contrario riteniamo che invece dovrebbe garantire la definizione di percorsi formativi e di ricerca liberi da logiche economiche e di potere. Pensiamo che la ricerca debba essere autonoma ed indipendente, libera di scegliere tempi e campi di indagine, con la società come unico interlocutore legittimo.
Per questo innanzitutto è indispensabile avviare un reale processo di democratizzazione dell'intero sistema universitario, nell'ottica di un cambiamento strutturale capace di eliminare gerarchie, baronato e cristallizzazioni di potere che contribuiscono ad una polarizzazione nella produzione del sapere e a scelte deformate da interessi particolari. A questo proposito pensiamo sia necessario discutere l'abolizione delle classi di docenza per favorire, anche tramite concorso nazionale, differenti sistemi di reclutamento e finanziamento per dottorandi e ricercatori. E' altrettanto evidente la necessità di rivisitare i sistemi valutativi correnti della didattica e della ricerca, superando l'attuale retorica di meritocrazia ed eccellenza, iniziando a ragionare su quali debbano essere i soggetti preposti alla valutazione, secondo quali criteri essi debbano valutare e con quali scopi.
Considerando inoltre che i lavoratori precari sono diventati un elemento strutturale del sistema universitario, ci poniamo il problema di ridiscutere le attuali forme contrattuali partendo dall'abolizione di tutti i contratti "atipici", nonché degli stages gratuiti e dei tirocini non retribuiti. L'instabilità lavorativa da una parte limita lo sviluppo dell'indipendenza e dell'autonomia del ricercatore, dall'altra disincentiva l'accesso ai percorsi formativi della ricerca. Ad un livello più generale, proponiamo un'analisi critica complessiva del modello di università–impresa inserita nel contesto economico, culturale e sociale neoliberista, nel tentativo di ripensare i meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro che ruota attorno agli atenei. In questo contesto è di particolare importanza una discussione in merito alla possibilità che le università pubbliche si trasformino in fondazioni di diritto privato, introdotta nell'art.16 della legge 133, con particolare riferimento alle questioni dei canali di finanziamento, della gestione della proprietà intellettuale (brevetti, copyright, ecc.), del reinvestimento degli utili e dello status giuridico della docenza.
Questo provvedimento ci appare in aperto contrasto con i criteri di democratizzazione e autonomia della ricerca che riteniamo fondativi di questa autoriforma.

Infine invitiamo tutti gli atenei ad una riflessione sul tema dell'autorganizzazione del movimento, intendendo con questo termine la ricerca di forme decisionali che rispettino l'autonomia dei singoli atenei in lotta e che al contempo garantiscano la continuità organizzativa di tutto il movimento, in quanto tale questione costituisce una delle premesse necessarie per un'autoriforma dal basso dell'università. Rispettando le molteplici espressioni locali del movimento, riteniamo che tale argomento non possa essere trattato in un workshop specifico, respingendo così ogni ipotesi di separazione tra forme e contenuti. Per questa ragione il tema dell'autorganizzazione sarà oggetto di dibattito dell'assemblea plenaria e di una riunione tematica che si terrà nel corso della prima giornata.


Vedi anche:
Verso la grande mareggiata. Cronache multimedia delle mobilitazioni studentesche del 7 novembre.
L’onda anomala prepara la grande mareggiata!. Dalla Sapienza occupata una proposta: manifestazione nazionale a Roma il 14 novembre. 15 e 16 assemblea.
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