Attorno ad il nodo dello sviluppo di movimento contro la crisi

L'opzione europea

22 / 5 / 2012

Di ritorno dalle giornate di Bockupy portiamo con noi entusiasmo ed alcune idee forza che vogliamo condividere con tutti coloro che, in movimento contro la crisi, capiscono che l'agire politico europeo è obbligato oltre che una scelta soggettiva.

Blockupy può essere letto come una tesi sulla possibilità di costruire una coalizione di movimento europea contro la crisi, ha avuto come ipotesi la disponibilità politica di reti sociali e soggettività a costruire una pratica discorsiva unitaria ed avrà come comma un meeting europeo per settembre in Spagna.

Da qui si parte.

Lo stato della crisi di Eurozona è ad un punto di svolta, all'incrocio complesso tra la messa in mora della politica economica dell'austerità e dell'uso del debito come leva di governo monetario sulle democrazie nazionali e la pressione competitiva delle altre isole continentali -dai BRIC alla rinnovata energia degli States- e dalla crescente insubordinazione dal basso per un cambio di rotta- si noti per inciso come il risultato dei ballottaggi alle amministrative tende a premiare la scelta alternativa.

Questa europa è stato un progetto transnazionale ed oligarchico di parte capitalistica costruito per l'egemonia della rendita e contro le ipotesi di cittadinanza sociale e democratica; esso ora scontenta tutti, anche  le oligarchie nazionali i cui distretti produttivi sono sotto l'altissima pressione delle reti lunghe mondiali. A questo proposito si noti come il territorio locale “non protegge più”, come non esistano più isole cooperative nelle cui reti corte rifugiarsi a protezione della crisi: adesso non si può neppure immaginare di fare “locale contro il globale”.

Il baricentro della governance a queste latitudini è distribuito tra Francoforte/ Strasburgo/ Bruxelles, lì si fa la politica economica, si gestisce la moneta e la politica finanziaria, si definiscono i perimetri legislativi delle leggi quadro fondamentali sui temi cruciali -migrazione, pareggio di bilancio, grandi opere, acqua e servizi pubblici locali, OGM ad esempio. Mai come prima là si definisce ciò che quasi amministrativamente recepiscono i governi nazionali;il policy making è in mano ad un consiglio amministrazione -mai vagliato democraticamente- dell'azienda europa, come un colpo di stato trasnazionale agito senza rumore, in un contesto d'eccezione ed in un clima di paura sociale.

Non solo quindi è irrinunciabile un agire definitivamente europeo, ma scegliamo di stare in europa, perchè vogliamo giocare la partita di fare linguaggio politico comune almeno su base continentale.

Non è un obbiettivo semplice, bensì terribilmente complesso visto che la relazione tra culture politiche differenti e stratificate nel tempo nei cicli di lotta va costruita con passione e fatica, le pratiche di movimento non sono immediatamente sovraponibili e si deve scegliere di farle divenire comuni e che ci sono da consolidare dispositivi biopolitici in una nuova generazione di militanti.

Insomma, c'è lo spazio politico per dare vita dal basso ad una coalizione sociale contro la precarietà ed il debito in Europa e per l'Europa ed ora si tratta di darle corpo concreto e materiale in un programma di conflitti sociali.

L'accumulazione di movimento che abbiamo conquistato con lo spezzone anticapitalista di sabato a Francoforte va valorizzata nei prossimi mesi rilanciando il dibattito e la pratica europea.

La crisi della rappresentanza, politica e sindacale, ci consegna una chance importante: tiriamo i dadi e giochiamocela fino in fondo.