L'assenza ovvero la mancanza di lotta di classe

Mancare significa non esistere

16 / 3 / 2014

Cosa c'è che non va?

Non chiedermi di stare senza. Finiresti nei guai (v.r.)

Parliamo di Job act, ovvero degli annunci che ad oggi ne costituiscono l'unica sostanza di cui abbiamo evidenza, e concentriamoci su di una parte della composizione di classe che non è neppure citata.

Che fine hanno fatto le partite iva? I 6-7 milioni di italiani che non hanno un lavoro dipendente e non sono nemmeno imprenditori? E chi non ha questa maledetta busta paga? Diciamolo francamente: essi, noi, non meritiamo per la politica (ed il sindacato) neppure di essere citati.

Per noi, il cui reddito mensile medio al netto delle ritenute INPS, è nell'ordine dei 700-800€, non vi è cassa integrazione in deroga, indennità di disoccupazione, pensione, malattia, maternità; per noi non c'è nemmeno la praticabilità dello sciopero poiché, contrattualmente, non è stabilita (e come verrebbe contabilizzata la detrazione in cedolino laddove non vi è un rapporto formale di dipendenza?).

L'esclusione dalla agenda di governo di questo pezzo strategico della composizione tecnica di classe grida vendetta, conferma la volontà punitiva su di un frattale del sapere e del lavoro vivo che ha avuto negli ultimi vent'anni la potenzialità di innovare il rapporto di lavoro e che ora è ostaggio di caste e casticine politiche e sindacali e, diciamolo chiaramente, subisce l'utilizzo squallido della sua assenza di voce (e di lotta politica!) collettiva da parte di terzi, come Di Vico, per combattere una contro guerra di classe verso i cosiddetti garantiti.

Quando mi riferisco alle partite iva non intendo sottolineare solo le forme tradizionali del terziario avanzato, le note finte dipendenze mascherate da lavoro autonomo (in parte combattute dalla Fornero con il divieto di monocommittenza continuata che non ha sanato il problema, bensì generato l'interruzione del rapporto di lavoro o nuovo lavoro non regolare) per ragioni di estrazione di valore nella filiera produttiva, ma anche alle forme più piccole e spesso innovative del fare micro-impresa dei tessuti economici molecolari.

Le condizioni fiscali e previdenziali contro questi soggetti sono drammatiche ed in netto peggioramento; le aliquote INPS al 28% a fronte di niente -nè ora né domani- sono una forma di punizione collettiva che sta a metà tra la gabella feudale e l'espropriazione del rentier statale contro chi ha scelto o dovuto scegliere l'autonomia e l'indipendenza nel processo produttivo.

Voglio ancora rimarcare che non si tratta dei padroncini evasori fiscali che abbiamo visto lugubremente mediatizzati dai forconi; anzi, si tratta di centinaia di migliaia di giovani uomini e donne che lavorano cinquanta ore alla settimana per via principale con il sapere e che vogliono ridursi alla barbarie politica di cui prima.

Ma è tempo che ognuno sia padrone del proprio futuro: o questo pezzo di classe, complesso e composito al proprio interno, comincia ad organizzarsi nel e per il conflitto sociale o il ritmo della lamentela e le voci della sirene che invitano alla canea della lotta tra (poveri) dipendenti e (poveri) indipendenti saranno prescrittive.

Possiamo praticare nuova organizzazione? Possiamo scegliere il reddito garantito come nostro salario minimo (vedasi i dibattiti in corso in Gemania e USA ed in Italia stupidamente osteggiati dal sindacato) su cui attestarci in un'ipotesi di nuova nostra piattaforma? Possiamo cominciare a parlare di mutualismo?

Forse finora le nostre vite attive hanno affrontato solo due lati della triade magistralmente proposta da Hanna Arendt ne “La condizione umana” -scritto non a caso dopo le anomale lotte operaie e di cittadinanza del '56 in Ungheria- ovvero “lavoro” e “fabbricazione”: ora è tempo di fare “azione”.

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