Le polemiche sulle candidature della lista Tsipras

Manettari alle urne

Liberarci - anche in Europa - da vent'anni di sottocultura giustizialista.

7 / 3 / 2014

Lo ripetiamo per i più duri di comprendonio o per i pettegoli più in malafede: non ci occupiamo di liste elettorali e di candidature. Come abbiamo spiegato alcune settimane fa, sul piano nazionale così come su quello continentale, “il terreno della rappresentanza istituzionale non è quello dei movimenti sociali, che hanno rivendicato e rivendicano la propria autonomia e lo spazio costituente del conflitto. Ma è altrettanto vero che il voto per il rinnovo del Parlamento Europeo catalizzerà da qui a fine maggio la discussione pubblica continentale. E la candidatura di Alexis Tsipras a presidente della Commissione costituisce senza dubbio un fatto nuovo e rilevante.” Non a caso, Globalproject.info sta pubblicando materiali utili a comprendere che cosa questo passaggio significhi per chi si batte per una prospettiva di radicale cambiamento in Europa. Punto.

Tuttavia vi è un aspetto, nelle polemiche alimentate negli ultimi giorni dalla “grande stampa” intorno alla composizione della Lista “l’AltraEuropa con Tsipras”, su cui riteniamo sia giusto e utile intervenire. Desta scandalo – si dice - la candidatura, nella circoscrizione Centro, di Luca Casarini. E non solo in quella destra forcaiola che, da quindici anni a questa parte, ne aveva fatto un bersaglio da colpire, mediaticamente e giudiziariamente, per il suo attivismo e il ruolo che, volente o nolente, aveva giocato nel ciclo del movimento “no global e no war”. Raccontano i media mainstream che la sua candidatura avrebbe incontrato fiere opposizioni anche tra alcuni “garanti” della Lista, primo fra tutti Paolo Flores D’Arcais. E oggi esterna contro Luca, dalle pagine del Corrierone nazionale, Sonia Alfano – eurodeputata uscente di Italia dei Valori (era il partitino personale di un certo Antonio Di Pietro, ricordate?) – che, come poco elegantemente si suol dire “trombata” in base alle regole che la Lista stessa si era data, scarica veleno: “non me la sono sentita di accostare il mio nome a quello di Luca Casarini, visto che da sempre la mia politica si basa sulla legalità, sulla lotta alla mafia, sul rispetto delle divise”.

Niente poco di meno.

La signora Alfano deve avere le idee abbastanza confuse. Ma è in buona compagnia, perché a lei si aggrega anche Curzio Maltese – autorevole penna di Repubblica, capolista della stessa lista a Nordovest – dando sostanzialmente ragione a chi ritiene “inopportuna” la candidatura di Luca.

Che cosa gli viene contestato? Il fatto di essere un “pregiudicato”, cioè di essere stato condannato, in alcuni casi in via definitiva, per diversi reati legati alla sua militanza nei movimenti sociali, condivisi con migliaia di altre e altri in Italia: dalla protesta contro la fiera del biotec Mobilitebio al blocco dei treni che trasportavano armi destinate alla guerra in Iraq, e via di questo passo.

Che cosa c’entra questo con la “lotta alla mafia” evocata dalla signora Alfano?

Ecco perché la polemica mediatica si fa per noi interessante: perché illumina il delirio senile in cui precipitano vent’anni di sottocultura giustizialista. Nel ristretto orizzonte mentale degli scandalizzati dalla candidatura Casarini, esiste un unico indistinto concetto di “legalità”, una notte ben più oscura di quella in cui tutte le vacche diventavano nere. Non c’è alcuna differenza tra i reati di mafia e quelli commessi per affermare diritti sociali negati. E il tutto si salda con un sacro “rispetto delle divise”, come minimo fuori luogo nel paese degli omicidi Giuliani, Aldrovandi, Uva, Cucchi e … il tragico elenco potrebbe continuare a lungo.

Stiamo parlando di un delirio solo italiano. Nello stesso congresso in cui ha indicato Tsipras come proprio candidato alla Presidenza della Commissione, la Sinistra Europea ha approvato l’adesione alle mobilitazioni di Blockupy, la coalizione che si propone di bloccare, con azioni di radicale disobbedienza civile, la prossima inaugurazione della nuova sede della Banca Centrale a Francoforte. Lo stesso Alexis Tsipras ha, nei file delle polizie europee che lo riguardano, il foglio di via dall’Italia comunicatogli a colpi di manganello dai carabinieri che impedirono alla delegazione di compagni greci da lui guidata di sbarcare dal traghetto ad Ancona per partecipare alle iniziative contro il G8 di Genova 2001. E oggi Syriza partecipa, attivamente e nel rispetto delle reciproche autonomie, ai movimenti sociali che in Grecia confliggono ogni giorno con la “legalità” del regime dell’austerity imposto dalla Troika, producendo centinaia di pratiche “illegali”, dall’occupazione di case e fabbriche alla rottura dei divieti a manifestare, dalle autoriduzioni al blocco fisico di progetti devastanti come lo sfruttamento minerario del territorio. Qualcuno aveva avvertito i manettari di casa nostra?

Ecco perché questa polemica, sfrondata dall’interessato pettegolezzo mediatico, dovrebbe interessare direttamente i movimenti. Perché viene al pettine uno dei nodi irrisolti degli ultimi due decenni. Perché il sacro culto della legalità, e l’anti-berlusconismo costruito esclusivamente su questo, hanno contribuito a spuntare le armi della critica alle politiche neoliberiste affermatesi in questi anni, impedendo di combatterle per quello che realmente erano dal punto di vista dei rapporti sociali. Perché l’egemonia a sinistra della sottocultura manettara continua a offrire legittimazione ad una legislazione, quella italiana, tra le più arretrate in Europa in materia di diritti e di garanzie, si parli di droghe e carcere, torture e abusi delle forze dell’ordine. E continua a garantire copertura a grandi e piccole operazioni giudiziarie che, quotidianamente, limitano la libertà di movimento per centinaia di attiviste e attivisti. Ben venuta dunque sulla scena pubblica, anche quella elettorale, una Nicoletta Dosio in più, con il suo percorso di militante no Tav della Valsusa e una Sonia Alfano in meno.

A questi signori qualcuno, en passant, dovrebbe anche iniziare a chiedere conto dei risultati di anni di retoriche e professionismo dell’ “antimafia”. Mentre su questo si costruivano ruoli e carriere, che ne è di un’analisi adeguata dell’attuale livello di integrazione tra grandi organizzazioni criminali e capitalismo finanziario, tra narcocapitalismo “illegale” e flussi di capitale “legale”? E sul piano delle pratiche, non è forse abbastanza “antimafia” l’occupazione di uno spazio sociale nelle periferie delle nostre metropoli, al Nord come al Sud ormai, o il sabotaggio di quelle grandi opere infrastrutturali, nei cui appalti è ormai più che acclarato il coinvogimento di capitali mafiosi?

Anche da questo punto di vista, lo spazio politico europeo – che, per carità, non si esaurisce affatto in quello elettorale – può rivelarsi un interessante campo di contraddizione e di azione per la conquista di margini di libertà ulteriore per l’iniziativa di movimento e il conflitto sociale. Può essere la dimensione in cui spostare dinamicamente più avanti il rapporto tra diritto e trasformazione sociale. Non è arrivata forse dalla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo la prima condanna dello Stato italiano per la sospensione delle garanzie costituzionali in quel luglio del 2001 a Genova? Non è forse europeo il terreno di scontro intorno a dispositivi emergenziali, come quel “Gefahrengebiet” ritirato ad Amburgo grazie alla convergente iniziativa autonoma di movimento e all’indignazione di tanti “democratici”?

Forse, più Europa può aiutarci a liberare finalmente il campo dai manettari di casa nostra. E a conquistare più libertà per tutti.