Manifesto dei lavori autonomi - Intervista a Sergio Bologna

Acta presenta il Manifesto

12 / 1 / 2011

Il 12 gennaio a Milano verrà presentato il Manifesto dei lavori autonomi da ACTA - Associazione Consulenti Terziario Avanzato.

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Con Sergio Bologna parliamo dei punti centrali che hanno portato alla stesura del testo che racchiude il percorso di ACTA nella costruzione della visibilità e centralità del ruolo dei lavori autonomi  e nella ricerca delle forme d'organizzazione.

Il manifesto che Acta propone sintetizza le posizioni e le acquisizioni di pensiero che abbiamo accumulato in questi anni.

Prima di tutto cerca di identificare il gruppo di persone o gli strati sociali ai quali si rivolge.

In particolare tutti coloro che svolgono attività in proprio di carattere creativo, professionale o intellettuale. Il target è in sostanza il lavoratore della conoscenza che però non appartiene alle cosiddette professioni regolamentate, quelle per capirci, organizzate in ordini, con proprie casse…e così via.

Questo è importante da sottolineare perché, noi proponiamo un’ organizzazione del lavoro indipendente  trasversale e non organizzata per associazioni professionali, perché riteniamo che oggi ci siano dei problemi di carattere previdenziale, di carattere fiscale e anche di carattere culturale dell’organizzazione della formazione ecc. che sono comuni a tutti coloro che esercitano queste professioni non regolamentate.

All’interno di queste professioni esiste però, ancora oggi una corrente maggioritaria, che è rappresentata dal Colap che vorrebbe ripercorrere la strada degli ordini, dei collegi e così via…

Noi riteniamo invece, sulla base di alcune esperienze di successo, che si sono verificate all’estero ( come ad esempio quella dei freelancers americani ),che chi svolge questa attività deve trovare il modo di organizzarsi in maniera trasversale  e non per singole professioni.

In un libro che stiamo preparando insieme ad un altro collega di Acta e che uscirà tramite Feltrinelli a marzo di quest’ anno, affrontiamo tutte queste questioni e la questione relativa all’ideologia del “professionalismo”.

 Un’ ideologia che risale alla metà  dell’800 e che è stata costituente del ceto medio, della borghesia,  che è andata però erodendosi con l’ingresso delle professioni tecniche nel fordismo o dissolvendosi nel postfordismo durante il quale sono nate un sacco di professioni che prima erano esercitate da salariati e che in seguito ai processi di ristrutturazione sono andate fuori dall’azienda. Diciamo queste cose per identificare queste persone all’interno di un processo storico di trasformazione radicale degli assetti produttivi e ridistributivi.

Quello che in questi giorni mi sta meravigliando in maniera molto positivo è che in altri paesi avviene la stessa presa di coscienza. Proprio tre giorni fa mi è arrivata la comunicazione che in Francia si è costituito un coordinamento di questo tipo di professioni, che si presenta con le stesse caratteristiche che noi abbiamo spiegato all’interno del nostro manifesto, e che si pone come interlocutore con il governo. Tutto questo accade nel momento in cui i governi europei stanno pensando alla riforma delle professioni.

Il secondo punto del nostro manifesto è quello che riguarda la storia di come siamo arrivati ad organizzarci e lavorare in questo modo. Quali, quindi, le trasformazioni del lavoro in questi anni. Un discorso che ritorna sulle caratteristiche del postfordismo, che parte soprattutto dai processi di riduzione dell’intervento pubblico in particolare, dell’intervento sui temi sociali che oggi stiamo vedendo tutti, su come vi siano tagli e riduzioni delle prestazioni che coinvolgono non soltanto queste figure, che sono sempre state lasciate fuori dal sistema del welfare, ma che ormai coinvolgono anche il lavoro dipendente a tempo indeterminato.

Ascolta la prima parte

L'uscita di questo manifesto si inserisce in un momento complessivo, italiano ed europeo, in cui l'evidenza di una nuova declinazione del concetto dei diritti, appare anche nelle figure e soggetti che scendono nelle strade (tutto il discorso sulle nuove generazioni, sul lavoro cognitivo, sulla conoscenza), e che sono al centro della discussione politica. A fianco l'emersione dei nodi di fondo intorno al lavoro "classico" con tutta la discussione di questo momento sulla vertenza Fiat. Una sinergia di temi che possono essere portatori di un nuovo pensiero complessivo sulla declinazione dei diritti.

Penso che ci vorrà molto tempo prima che si riformi e costituisca  un nuovo pensiero collettivo. Quello che non è chiaro nel dibattito è questo fatto: si dice che da una parte ci sono i giovani precari (che protestano perchè non trovano un inserimento lavorativo o vengono assegnati a mansioni non corrispondenti allo studio, ecc.) e dall'altra parte c'è lo smantellamento dei vecchi diritti della classe operaia tradizionale.

Si dimentica il terzo interlocutore, che siamo noi, cioè quel tipo di figure che appartengono al mondo del lavoro dipendente da 20 o 30 anni (non sono quindi giovani), che costituiscono una delle caratteristiche tipiche e costitutive della nuova middle-class.

E' questo il punto che si sta sgretolando: non solo il vecchio operaio Fiat che sta perdendo alcuni suoi diritti e il giovane precario che non li ha. C'è il terzo elemento su cui io ho sempre insistito, cioè la crisi di un particolare tipo di ceto medio, che sostiene tutta la baracca di società italiana e mondiale.

E' quì che si sta producendo la crisi! Quindi quando si dice che esiste l'attacco da una parte ai diritti acquisiti e dall'altro ai giovani precari si dimentica il terzo interlocutore, che secondo me in questo momento è quello che crea maggiore forma di pensiero. Se andate nei siti delle maggiori organizzazioni free lance americane ed europee che si stanno moltiplicando, trovate questo tipo di ceto sociale. O si focalizza questo problema oppure continuiamo a raccontarci la solita palla,  e cioè che esistono i vecchi operai e i giovani precari, che vorrebbero diventare come i vecchi. Bisogna capire che il punto fondamentale è il terzo problema: cioè lo sgretolamento di quel tipo di ceto medio, che in gran parte è il ceto cognitivo, non più giovane e che sta da più di 20 anni sul mercato.

Ascolta la seconda parte

Tu sottolinei il fatto di superare definitivamente questa sorta di contrapposizione che viene posta tra passato e presente e che invece si deve entrare nella contemporaneità e cogliere in questo le centralità che ci sono state delle trasformazioni del mondo del lavoro. A partire da questo, anche la capacità di produrre pensiero, azione ed iniziativa politica,  credo sia anche il centro della proposta che voi avete materializzato questa sera con la presentazione del Manifesto.

Certo, sicuramente. Il messaggio che vorremmo lanciare è rivolto  prima di tutto a chi fa questo lavoro che esca allo scoperto e che accetti di misurarsi con questo tipo di coalizione, la necessità di guardarci in faccia dato che abbiamo tutti lo stesso tipo di problema. Dobbiamo far sentire tutti insieme la nostra voce. Secondo punto: la crisi sociale è molto più complessa di come viene rappresentata. Non è solo la crisi del vecchio ordinamento delle tutele e dei giovani precari. Il sistema capitalistico negli ultimi 20 anni ha mosso in moto dinamiche distruttive che hanno colpito esattamente quella classe su cui aveva costruito il suo consenso e le sue fortune. Che poi politicamente in Italia in questo momento ne approfittano alcuni partiti invece che altri, questo dipende dalla totale idiozia della cosiddetta sinistra, che non ha capito e voluto capire nulla da 20 anni a questa parte.

Ascolta la terza parte

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