Messico atomico

4 / 5 / 2011

Il disastro nucleare che sta avvenendo in Giappone ha risvegliato, anche in Messico, il dibattito circa l’opportunità o meno di insistere sulla generazione di energia attraverso l’uso della risorsa nucleare. Attualmente in Messico circa il quattro per cento della produzione elettrica nazionale si realizza attraverso la centrale nucleare di Laguna Verde, situata sulla costa del Golfo del Messico, nei pressi del rinomato porto di Veracruz. Costruita negli anni 80, la centrale messicana ha cominciato a far funzionare il suo primo reattore nel 1990 per poi aggiungervi un secondo reattore qualche anno dopo.

Sebbene poche ore dopo il disastro nipponico, il governo si sia impegnato a sostenere che una eventualità simile non potrebbe mai accadere nella sismica terra messicana, il dubbio si fa largo, e diversi settori della società hanno cominciato a storcere il naso davanti all’ipotesi presentata solo pochi mesi prima dallo stesso governo: quella di attingere al nucleare quale nuova e ricca fonte energetica. Nel mese di dicembre appena passato, il governo messicano, anfitrione della Conferenza sul Cambiamento Climatico di Cancun (la famigerata COP16), aveva molto vantato la decisione di ridurre unilateralmente le emissioni di gas a effetto serra ricorrendo all’uso di «energie pulite».

Poche settimane dopo, lontano dallo sguardo indiscreto degli osservatori internazionali e con la presenza del solo pubblico (esperto) locale, l’impresa parastatale Commissione Federale di Elettricità (Cfe) e il Ministero dell’Energia presentavano pomposamente la Strategia Nazionale Energetica 2011-2025 che consiste nell’aumentare la produzione “pulita” di energia sino a un 35 per centro del totale nella data limite stabilita. Peccato che Georgina Kessel, attuale ministra dell’energia, includa tra le energie pulite appunto il nucleare. Certo, il 16 marzo una folta schiera di attivisti ambientalisti, accompagnati da uno sparuto gruppo di «esperti» del settore, aveva immediatamente chiesto al governo una revisione dell’attuale impianto di Laguna Verde e la messa in discussione del ambiziosa Strategia Nazionale già presentata.

Ma mentre nel mondo l’energia nucleare subisce un freno importante, in Messico le cose vanno avanti. Segno ne è la conferma della Strategia Energetica Nazionale, che ha visto un primo passo nell’annunciata intenzione di «rafforzare» la produzione di Laguna Verde di un 20 per cento grazie a due contratti firmati dalla Cfe con le multinazionali Iberdrola (Spagna) e Alstom (Francia).

Non solo: un altro segnale è l’intervento di voci importanti in campo scientifico a sostenere la necessità di ridurre l’emissione dei «gas di serra» e della dipendenza da combustibili fossili utilizzando l’atomo. Tra questi il messicano Mario Molina, premio Nobel della Chimica nel 1995, che il 5 aprile scorso ha dichiarato che in fondo la tragedia giapponese, pur essendo «un incidente molto serio», è comunque una sciagura «abbastanza locale» e quindi i messicani non devono preoccuparsi. Anzi, sostiene il Nobel messicano, «l’energia nucleare deve continuare ad essere una delle nostre opzioni perché sappiamo che con le tecnologie moderne i rischi (di incidenti) possono essere ridotti enormemente».

Neanche l’anniversario della tragedia di Chernobyl ha aiutato la diffusione del messaggio lanciato dagli ecologisti. In Messico l’energia nucleare è un futuro possibile e senza referendum tra i piedi giacché nella legge messicana non esiste. Con quali soldi, non si sa. Con quali imprese coinvolte, neanche. L’importante è che il progetto vada avanti… a tutto atomo.