In provincia di Venezia, i Cinque Stelle conquistano l'ex roccaforte di PCI, PDS, PD.

Mira al Grillo, ma mira bene!

Ballottaggi: populismo e metamorfosi della governance locale.

22 / 5 / 2012

Il loro indiscusso e indiscutibile leader ha le idee un po' confuse in materia di riferimenti storici: a proposito del successo elettorale di Parma, lunedì sera scriveva infatti sul suo Facebook “abbiamo conquistato Stalingrado, adesso marceremo su Berlino”, dimenticando come (credo si riferisse alla Seconda Guerra Mondiale) nessuno conquistò Stalingrado, ma a difesa della città lungo il Volga assediata resistettero invece a caro prezzo l'Armata Rossa e la popolazione sovietica in armi, respingendo il tentativo di occupazione nazista. E che Parma, dopo quindici anni di giunte delle grandi opere e degli affari, che lasciano in eredità a chi dovrà governarla un Comune spolpato con oltre seicento milioni di debito, da tempo non era più “rossa”.

Ma una Stalingrado i Grillini l'hanno davvero conquistata: è Mira. Maggiore e popoloso Comune della Riviera del Brenta, per secoli ameno luogo di villeggiatura estiva per il patriziato veneziano, oggi policentrico hinterland della metropoli diffusa cresciuta tra la Laguna e il Passante autostradale, dagli anni Sessanta serbatoio di metalmezzadri, dormitorio di una parte significativa della composizione operaia del polo industriale di Porto Marghera e, al tempo stesso, ultima propaggine del distretto produttivo della moda e della calzatura di lusso, che si distende proprio lungo il Brenta tra la periferia di Padova e la laguna.

Cuore di un territorio che, negli ultimi anni, oltre ad essere pesantemente investito dagli effetti economici e sociali della crisi, è stato ed è al centro di una sistematica aggressione ai beni comuni in nome della realizzazione di grandi progetti infrastrutturali (Romea commerciale e Camionabile ad esempio, dopo la realizzazione del Passante) e di enormi speculazioni immobiliari a destinazione commerciale e terziaria (Città della Moda a Fiesso, Veneto City a Dolo o il polo logistico-portuale a Dogaletto-Giare).

Caratteristica precipua di questi mega progetti è che sono sostenuti politicamente da interessi bipartisan, che negli anni hanno certo avuto come protagonista indiscussa la dominante cordata politico-affaristica, costruita dalla coppia Sartori-Galan in quindici anni di governo regionale: dallo Studio Altieri alla Gemmo e alla Mantovani SpA, gli stessi nomi che sempre ritornano, si tratti del Consorzio Venezia Nuova che ha progettato e sta realizzando da monopolista (con quasi cinque miliardi di euro di risorse statali) il sistema di dighe mobili Mo.S.E., o della costruzione di nuovi ospedali con la formula truffaldina del “project financing”. Ma, in misura di gran lunga minore, questi progetti sono stati di fatto condivisi anche dal personale politico e amministrativo dell'apparato del Partito Democratico e dal sistema delle cooperative di provenienza emiliana come, in parte, sta emergendo dall'inchiesta per corruzione che ha coinvolto Lino Brentan, padre padrone del Partito in Riviera, ex amministratore delegato dell'Autostrada Venezia-Padova e attuale consigliere d'amministrazione di Veneto Strade, la creatura del potente assessore regionale alle Infrastrutture, il forzitaliota (ex socialista demichelisiano) Renato Chisso. Come dire, il cerchio si chiude.

In questo contesto, il parallelo con il consenso ai Grillini in Emilia Romagna (il cui “boom”, il Quirinale non se ne dolga, è datato alle ultime consultazione regionali e domenica scorsa anche Comacchio è caduta e Budrio è stata mancata per un pelo) per Mira funziona, eccome!

La Sesto San Giovanni del Veneziano è stata da sempre governata proprio da quel personale politico del PCI prima, del PDS e dei DS poi, del PD infine. Un ceto politico-amministrativo locale tanto tetragono verso l'esterno, spesso ottuso e impenetrabile alla partecipazione civica e sociale, quanto litigioso e rancoroso nei propri interni rapporti tra cordate e bande l'un contro l'altra armate. Legato a doppio filo all'apparato sindacale, dei chimici in particolare, tanto che il sindaco uscente, faticosamente ricandidato dai suoi e poi sconfitto dal giovane studente universitario grillino, alla voce professione poteva solo scrivere: “funzionario sindacale Cgil in aspettativa” (sic!). Una realtà ben diversa dalla vicina Venezia, dove il Partito, comunque si chiamasse, è sempre stato costretto a misurarsi con una dinamica sociale conflittuale ben più vivace e a confrontarsi (e allearsi) con culture politiche differenti, eretiche ma non minoritarie. Mira, invece, è stata finora quanto di più simile al compatto sistema di potere emiliano-romagnolo vi fosse in Veneto. Ed il voto esprime, senza dubbio alcuno, il rifiuto, la domanda di rottura e innovazione nei confronti di quel sistema di potere.

E non a caso, se allarghiamo un po' lo sguardo, le alleanze elettorali di Centrosinistra vincono in quelle città dove sono percepite come “alternativa” all'esistente, proposta di cambiamento, addirittura nella verde Brianza; perdono dove rappresentano la continuità di sistema; faticano ad affermarsi (si pensi al crollo della partecipazione al voto a Genova, in un già pesante dato complessivo che raggiunge a stento il 51 per cento degli aventi diritto) là dove si sono “rigenerate” attraverso il processo delle consultazioni primarie, con candidature “anomale” e figure autorevolmente “innovative”.

C'è dunque un generale moto di rifiuto che tuttavia, se ancora ve ne fosse bisogno, conferma come non vi sia alcuna linearità, come non vi possa essere alcuna meccanica relazione tra conflitti e movimenti sociali da un lato, consenso elettorale e rappresentanza dall'altra. A Mira infatti (come a Parma, del resto, con la lista “Parma Bene Comune”) si era presentata una lista che esprimeva il portato delle lotte a difesa dei beni comuni, contro i mega progetti di aggressione al territorio, a partire dalla significativa e radicata esperienza dei CAT (Comitati Ambiente e Territorio), così come delle mobilitazioni dei genitori a difesa della scuola pubblica, per la partecipazione civica, ricca di tutti quei contenuti e di quelle energie soggettive che sono la sostanza dei movimenti sociali degli ultimi anni. Questa lista, “Mira fuori dal comune”, ottiene quello che sarebbe stato se non vivessimo tempi eccezionali un ottimo risultato: quasi il 7,5 per cento, decisamente meglio di simili liste civiche “per i beni comuni” che a Parma come a Cuneo o a L'Aquila (anche qui nonostante una straordinaria esperienza di autorganizzazione e lotta nel dopo terremoto) faticano a raggiungere il 5 per cento e quasi mai riescono ad eleggere un solo consigliere.

Ma è come se, ci perdonino la metafora aquilani ed emiliani, proprio nel mezzo di un terremoto, quello che fa crollare consolidati governi locali scuotendo le strutture dei partiti della Seconda Repubblica, qualcuno si rallegrasse per essere riuscito a sfondare una porta a spallate ed essere faticosamente entrato in un Palazzo pericolante. Per far che cosa? Il punto è forse qui l'intraducibilità del conflitto intorno ai beni comuni in lineare ipotesi di rappresentanza politica generale, locale o nazionale che sia. E' di coalizioni sociali, costruite e agite nel vivo dei conflitti, interessate ma esterne a quanto accade sul piano della governance, che abbiamo invece oggi bisogno. Anche perché, sul piano della rappresentanza, quel terreno, condito da un generalgenerico discorso sul “metodo” senza sostanza, sulla trasparenza, sulla partecipazione e via così cianciando per “mandare a casa la Casta”, è oggi tutto occupato dal populismo, dalla sua macchina mediatica e telematica di produzione performativa del consenso. Una macchina, vale la pena sottolinearlo, tutta interna al gioco della rappresentanza e, in ultima analisi, utile a puntellare quei dispositivi di potere che oggi appaiono, nella crisi, profondamente erosi da una verticale crisi di legittimazione sociale. Si pensi all'orgoglio con cui i Grillini, oltre ad escludere dalle proprie liste chiunque abbia “carichi penali pendenti”, fosse anche la difesa di uno spazio autogestito (e infatti a Venezia, pochi mesi fa, votano in Consiglio comunale insieme alle destre una mozione contro il centro sociale Rivolta!) o un blocco stradale, rivendicano il loro essere “semplicemente cittadini”, tecnicamente “competenti” ma senza alcuna precedente esperienza, anche nei movimenti sociali.

Ma la novità interessante, che l'esito dei ballottaggi ci consegna in alcuni singoli contesti locali, a Mira come a Parma, è che lì almeno il gioco del fenomeno emergente sul terreno della rappresentanza, al tempo stesso esorcizzato e alimentato dal sistema dei media mainstream come accadde allora per la Lega, è finito. Inizia una partita diversa: adesso lì i ragazzotti di Grillo sono diventati sindaci, sono i pivot della governance locale. E con le reali dinamiche sociali che attraversano questi territori dovranno, quotidianamente e prospetticamente, confrontarsi. Con i nodi irrisolti della governance locale dovranno, duramente, scontrarsi. Vedremo. Intanto a Parma Pizzarotti comincia annunciando che, prima di bloccare l'inceneritore, bisogna “leggere con attenzione i contratti già sottoscritti” dalle precedenti Amministrazioni. E a Mira Maniero chiama in giunta un poliziotto ad occuparsi del Bilancio e cancella l'assessorato alle Politiche Sociali.

E magari, se sapremo tenerli d'occhio con la stessa capacità di osservazione critica di un antropologo alla Lévi-Strauss, anche le loro imminenti future peripezie avranno qualcosa da dirci a proposito di una (per noi non più rinviabile) rilettura delle trasformazioni che hanno investito il ruolo dei “nessi amministrativi”, di quella vera e propria metamorfosi della “governance locale” di fronte alla portata della crisi e ai suoi effetti sulla statualità e le strutture istituzionali di governo.

Questi ultimi ballottaggi, così come la morsa del Patto di stabilità interna, lo scontro intorno al nuovo balzello dell'IMU, lo strapotere sul territorio della rendita finanziaria e immobiliare e tante altre dure repliche della realtà, ci ricordano che la stagione dei Sindaci eletti dal Popolo, ma anche di un certo “municipalismo partecipativo”, è davvero conclusa. Se ne è già aperta un'altra, in cui trasformazioni produttive e costituzione materiale costringono a guardare quale sia in tutta Europa le relazione inedita che viene a stabilirsi tra dittatura dei mercati finanziari e governance locale. Interpretando senza semplicistiche scorciatoie i sintomi populistici della crisi della rappresentanza, per tornare ad intervenire da protagonisti sulla malattia, per costruire l'alternativa nella crisi della democrazia.

Insomma, Mira al Grillino, ma questa volta bisogna cercare di mirare con una certa precisione.

Gasparo Contarini da Venezia