Misoginia tra violenze e tabù sociali

26 / 11 / 2009

E’ stata celebrata ieri in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne.

Diversi sono stati i momenti istituzionali  nel Paese con i quali è stata affrontata la questione nei palazzi  e nei salottini di turno, ma uno solo sembra il modo di voler vedere il problema e di affrontarlo.

Il modo sbagliato. Quel modo che parla di sicurezza.

Facilmente comprensibile se proviamo ad analizzare il "decreto antistupri" convertito in legge in via definitiva nell’aprile di questo anno.

Il 25 Novembre è passato, gli slogan sono stati lanciati e anche le parole d’ordine: sorpassare la paura e denunciare gli abusi.

Oggi i riflettori sono di nuovo spenti, torna il buio e prendono forma nelle azioni le tristi statistiche.

Una donna su tre tra i 16 e i 70 anni è stata vittima almeno una volta nella sua vita di violenza o maltrattamenti; ai danni di mogli, fidanzate e conviventi i reati più gravi. Il 65% degli abusi si consuma tra le calde e sicure mura di casa .

Donne che hanno creduto alle lusinghe e alle menzogne  e che forse non avranno più il desiderio di cercare l’amore per paura di un nuovo dolore, delle cicatrici dell’anima che fanno male e che si porteranno per sempre  con sé.

Ma siamo cosi’ sicuri che il problema della violenza sulle donne si possa esaurire  cosi', isolandola dalla societa’ nella quale viviamo, prendendola come una delle forme di barbaria di questo mondo? Siamo sicuri che l’attacco alle liberta’ della donna non sia invece il catalizzatore di tutte le forme di violenze sociali? Può la sola denuncia risolvere e ancora, siamo certi anche nei nostri ambiti di movimento di essere immuni da queste forme di sessismo?

In natura, nel regno animale, la femmina viene rispettata dal proprio maschio, viene intesa come perno fondamentale per la continuazione della specie. Esistono altresì forme di omosessualità nel regno animale che vengono intese come dominanza.

Ecco allora che chi violenta è il potere e il potere è machista, d’accordo appieno  con Francesco Pivetta che recentemente in un dibattito riassumeva il concetto  con un detto popolare “comandare è fottere”.

Penetrare, infilare, possedere sono dinamiche sessuali di dominanza, istinti bassi che ogni appartenente alla razza umana possiede e che l’essere può sfruttare a suo piacimento.

Penetrazione intesa come dominanza sociale che sfocia nella violenza e nell’umiliazione dell’attivo  nei confronti del passivo, del forte nei confronti del debole.

Non può allora la sola denuncia risolvere perché tante volte non è la paura a far chiudere la bocca ma la vergogna di essersi trovate nella situazione della vittima. E’ un tabu’ sociale per il quale chi è forte è bravo e chi è debole è sbagliato.

Sbagliato è  la donna, il gay, il trans, la lesbica, il migrante, il rom, ogni minoranza che il potere può penetrare e ricattare.

Siamo tutti caldamente invitati ad andare nelle stazioni di polizia e denunciare. Ma in quelle stesse stazioni di polizia possiamo solo denunciare la violenza esercitata sui nostri corpi a casa, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie ma non possiamo denunciare la violenza che si subisce nelle questure, nelle carceri e nei centri di identificazione ed espulsione.

Nei Cie si stupra e a stuprare è la polizia, quella che mandano nella strade per difenderci, quella che sta dietro l’occhio delle telecamere di controllo sociale. La stessa che ieri ha caricato le femministe e le antirazziste, a piazzale Cadorna a  Milano, che stavano dietro ad uno scomodo striscione “Nei Cie la polizia stupra”.

La  stessa scelta del 25 di novembre come data internazionale della lotta contro la violenza sulla donna deriva dalla violenza del potere nei confronti di donne, fu un accordo preso dalle partecipanti all'IncontroFemminista Latinoamericano e dei Caraibi che si realizzò a Bogotà nel 1981, accettando il sollecito della delegazione della Repubblica Dominicana che proponeva che in questo modo si rendesse omaggio alle sorelle Mirabal: Minerva, Patria e María Teresa. Esse sono un esempio vivo del tipo di donna impegnata nelle lotte del suo paese.
Le tre sorelle caddero per la violenza dal regime di Trujillo. La partecipazione attiva delle sorelle Mirabal nella lotta contro Trujillo guadagnò loro la fama di rivoluzionarie.

La discussione riguarda noi tutti, nessuno escluso. Il problema della misoginia è un fatto reale che esiste in ogni ambiente. Urge un chiarimento anche tra di noi.

Credo che i valori dei collettivi femministi vadano superati da alcuni punti di vista, fortunatamente grazie alle lotte di quelle compagne abbiamo oggi diritti  conquistati  e innegabili ma non basta, bisogna fare di più a partire dalle considerazioni di carattere generale.

Siamo gli angeli del ciclostile ma siamo anche gli angeli delle lotte studentesche, delle occupazioni di case, della difesa del territorio, della difesa delle libertà personali di genere e non.

Cosa fare allora ?

Gli spunti vengono ancora una volta dalle sorelle e dai fratelli delle comunità zapatiste.

La partecipazione in massa delle donne al levantamento, in una società pervasa da machismo imperante è stata una rivoluzione nella rivoluzione, che è partita dalle donne ma che si è potuta dare solo con la collaborazione degli uomini nell’ascolto e nel cambiamento delle abitudini. Nella consapevolezza che il potere sfruttava gli uomini nei campi e che gli uomini abusavano delle donne nelle case. Che il potere dettava regole sociali e che quelle regole sono state sconfitte solo lottando insieme, uomini e donne, bambini e anziani.

L’esercito zapatista è il primo esercito rivoluzionario a nominare donne, lesbiche, gay e trans come propri referenti.

Non siamo tutti uguali, ma vogliamo gli stessi diritti e li conquisteremo solo nella lotta e nelle nostre diversità di genere.

                                                                                                             Ramona Vive, la Lucha Sigue!